Tutte le COP partono con aspettative alte ma non sempre il risultato ha un immediato effetto sulle politiche climatiche nazionali. L’ultima a essere davvero ricordata è stata quella di Parigi del 2015, anche se gli accordi raggiunti in quell’occasione non sono stati il risultato di un unico summit ma il punto di arrivo di anni di negoziati. La COP29, la prima dopo il Global Stocktake della COP28 che ha sancito l’intesa sull’allontanamento dalle fonti fossili, si prospetta secondo molti come una COP intermedia, una di quelle che preparano il terreno per le successive, in questo caso per la COP30 di Belém.
I suoi temi però indicano che non si tratterà di una conferenza di poco conto: sarà l’occasione per ridiscutere l’obiettivo per la finanza climatica verso i paesi in via di sviluppo e l’ambizione degli NDC, si proverà a trovare un’intesa sui mercati del carbonio sotto l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi e si discuterà di adattamento, valutando i piani nazionali e cercando indicatori comuni per monitorarne lo sviluppo collettivo.
Dopo l’exploit di partecipanti alla COP28 di Dubai, Baku vedrà numeri più bassi che confermano comunque una crescita nel medio periodo e non dipendono necessariamente da un minor interesse, ma anche da questioni logistiche: secondo le stime ufficiali del governo azero, la città ha infatti una capacità ricettiva inferiore alle 30.000 persone.
Il significato delle COP e il ruolo dell’Azerbaijan
Le COP (acronimo di Conference of the parties, Conferenza delle parti) sono la sede di negoziazione dei tre più importanti trattati sul clima delle Nazioni Unite: l’UNFCCC (la convenzione quadro sui cambiamenti climatici firmata a Rio de Janeiro nel 1992), il Protocollo di Kyoto (adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005) e l’Accordo di Parigi, firmato nel 2015. Le COP sono un’occasione di grande visibilità per gli stati, in particolare quelli che di anno in anno ospitano la conferenza.
Quest’anno a ospitare la COP29 è l’Azerbaijan, un paese ricco di risorse naturali che negli ultimi dieci anni ha raddoppiato la propria produzione di gas e triplicato le esportazioni, allargando i propri legami commerciali tramite accordi con le principali compagnie energetiche internazionali e affermandosi come uno degli attori principali della regione caucasica orientale. Sono attualmente otto i paesi europei che importano gas dall’Azerbaijan, assicurandosi un quarto della produzione del paese e, grazie a un memorandum di intesa del 2022 con la Commissione europea, le esportazioni annuali verso l’Unione raggiungeranno 20 miliardi di metri cubi entro il 2027, quasi il doppio dei 12 del 2023.
Quest’anno il contesto politico internazionale è tra i più tesi degli ultimi decenni, per questo l’Azerbaijan sta inquadrando la COP29 come una “COP di pace”, da un lato con l’obiettivo dichiarato di discutere della prevenzione dei conflitti che, stimano gli analisti, saranno alimentati dal cambiamento climatico, dall’altro nel tentativo di utilizzare la cooperazione internazionale sulla questione climatica per contribuire a sanare le tensioni esistenti, per esempio chiedendo alle parti l’interruzione delle ostilità per l’intera durata della Conferenza.
I temi della COP29: la finanza climatica
La protagonista di questa COP29 sarà la finanza climatica. Nel 2009, alla COP15 di Copenaghen, i paesi industrializzati si sono impegnati a raggiungere l'obiettivo collettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 per l'azione climatica nei paesi in via di sviluppo. L’obiettivo, confermato alla COP16 di Cancún e alla COP21 di Parigi e raggiunto solo nel 2022, rappresentava però più una dichiarazione politica che una valutazione delle reali necessità finanziarie, stimate oggi infatti in 2.400 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, di cui almeno 1.000 da mobilitare a livello internazionale: 10 volte quanto si è appena riusciti a raggiungere. Alla luce del disallineamento tra obiettivi concordati e necessità reali, già l’Accordo di Parigi prevedeva la discussione di un New Collective Quantified Goal on climate finance (NCQG), da concordare entro il 2025.
Sarà quindi responsabilità della COP29 trovare un accordo, anche sulla copertura e l'orizzonte temporale, i meccanismi di trasparenza e, soprattutto, la divisione dell'onere: quali tempistiche accordare? Quale priorità tra mitigazione e adattamento? Saranno inclusi anche le perdite e i danni? Solo finanziamenti pubblici o anche privati? Quale bilanciamento tra sovvenzioni e prestiti? Con quali tassi? E soprattutto: chi sarà tenuto a donare, solo i paesi industrializzati secondo la divisione dell’UNFCCC o anche altri?
Temi che si inseriscono nella più ampia discussione sulla ristrutturazione dell’architettura finanziaria internazionale che ha preso sempre più spazio negli scorsi anni non solo all’interno delle COP, ma anche nei meeting annuali della World Bank e dell’International Monetary Fund, e in forum internazionali come il G20, con l’obiettivo di discutere e concordare meccanismi finanziari più efficaci e accessibili per i Paesi in via di sviluppo.
I Nationally Determined Contributions (NDC)
Dopo il fallimento politico nell’implementazione del Protocollo di Kyoto, le COP hanno lavorato per creare un meccanismo che non si fondasse più su un’architettura top-down, con impegni quantitativi divisi tra alcuni paesi, ma su un approccio bottom-up, in cui tutti i paesi (e non più solo quelli industrializzati) devono impegnarsi in strategie di decarbonizzazione fondate sulle proprie caratteristiche e capacità nazionali, nello sforzo di allinearsi all’obiettivo comune di mantenere l’aumento della temperatura media sotto i 2 gradi (auspicabilmente 1,5) rispetto ai livelli preindustriali.
Con questo fine, al cuore dell’Accordo di Parigi (nell’Articolo 4), sono stati istituiti gli NDC, i Nationally Determined Conributions, che ogni Parte dell’Accordo deve sviluppare specificando le modalità con cui intende contribuire nel breve (a 5 anni) e medio termine (a 10 anni). Gli NDC non impongono una struttura uniforme né prevedono meccanismi sanzionatori in caso di disallineamento con gli obiettivi annunciati. La capacità di questi strumenti di allineare l’azione climatica degli stati risiede nell’elemento top-down dell’Accordo di Parigi, spesso poco considerato: il sistema di governance, che vincola le Parti a delle azioni collettive volte a implementare gradualmente un’azione climatica sempre più in linea con gli obiettivi di stabilizzazione delle emissioni e della temperatura. Con questo fine, gli NDC vanno presentati ogni cinque anni per progredire con la massima ambizione possibile (strutturando così quello che in gergo COP viene chiamato ratchet mechanism) e vengono sottoposti a un meccanismo di revisione da parte del Segretariato della COP, che può richiedere di aumentarne l’ambizione.
Il prossimo ciclo di NDC dovrà essere presentato tra i 12 e gli 8 mesi prima della COP30 (quindi tra novembre 2024 e febbraio 2025). A oggi sono 168 gli NDC presentati, da 195 Parti (gli stati membri dell’Unione Europea presentano un unico documento). Il Global Stocktake (SGT) della COP28 ha però sancito che i progressi portati avanti collettivamente dalle Parti sono insufficienti in tutti i settori dell’azione per il clima (mitigazione, adattamento e finanza). Infatti, secondo le stime dell’UNEP, secondo gli impegni attualmente dichiarati al 2030 si potrebbe raggiungere un aumento della temperatura tra i 2,5 e i 2,9 gradi. Il compito della COP29 sarà quindi quello di promuovere l’ambizione del nuovo ciclo di NDC e il loro allineamento con il Global Stocktake di COP28.
I meccanismi di cooperazione dell’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi
Alla COP29 verrà discussa la modalità di attuazione di un mercato internazionale di crediti di carbonio. L’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi stabilisce in che modo le Parti possono cooperare volontariamente per perseguire i propri obiettivi climatici, tramite meccanismi di mercato e non. La conflittualità su questo tema si è tradotta in una situazione di stallo nei negoziati degli ultimi anni, evidente anche alla COP28 e ai negoziati intermedi di Bonn. I risultati positivi dell’ultima riunione del Supervisory Body incaricato di discutere l’articolo 6.4, però, sembra indicare che una quadra potrebbe essere meno lontana di quanto sembri, avendo già raggiunto un accordo sugli standard per i requisiti per lo sviluppo e la valutazione dei progetti e sui requisiti per i progetti di carbon removal.
Alla COP29 i negoziatori lavoreranno per concordare i processi di autorizzazione per i crediti di carbonio, le metodologie di calcolo e verifica per evitare il doppio conteggio delle riduzioni delle emissioni, e la gestione (centralizzata sotto l’egida delle Nazioni Unite o decentralizzata, fondata più su accordi bilaterali) di un tale mercato.
Piani nazionali di adattamento e Global Goal on Adaptation (GGA)
La COP29 avrà anche il compito di stabilire obiettivi quantitativi e misurabili, insieme a meccanismi concreti di attuazione, per promuovere un adattamento efficace alla crisi climatica. Con la consapevolezza che le azioni di mitigazione non saranno sufficienti per prevenire gli impatti del cambiamento climatico già in atto, l’Accordo di Parigi, nell’articolo 7.1, prevedeva un Obiettivo globale sull’adattamento (GGA) per delineare un quadro unificante che guidasse un miglioramento della capacità di adattamento del mondo, un rafforzamento della resilienza e una riduzione delle vulnerabilità ai cambiamenti climatici, consentendo azioni tempestive, scalabili e specifiche.
Se alla COP28 era stato discusso il quadro generale del GGA, alla COP29 spetta definire indicatori specifici e misurabili per monitorare gli sforzi di adattamento, all’interno del programma di lavoro EAU-Belém che si concluderà alla COP30. La difficoltà risiede nel fatto che le azioni di adattamento sono fortemente legate alla sfera locale, ed è quindi complesso individuare indicatori comuni che guidino gli sforzi internazionali. I negoziatori discuteranno anche l’impegno finanziario internazionale per l’adattamento, con particolare attenzione alle esigenze dei paesi in via di sviluppo, per cui le necessità in questo ambito sono stimate in 400 miliardi di dollari l’anno entro il 2030.
La COP28 aveva anche invitato le Parti a creare dei piani nazionali di adattamento (PAN) entro il 2030. Quest’anno verranno discusse ulteriori indicazioni da fornire ai paesi su come preparare e attuare questi piani, attraverso lo sviluppo di nuovi standard e strumenti per migliorare la valutazione e la gestione dei rischi legati al cambiamento climatico.
Incentivi e disincentivi della cooperazione climatica
Raggiungere un accordo su questi temi sarà complesso. I vari paesi sono spinti da interessi divergenti e l’azione per il clima deve fare i conti con il problema del free riding o "comportamento opportunistico". Le emissioni di gas serra, indipendentemente da dove siano prodotte, hanno effetti su scala globale: quando un paese riduce le proprie emissioni affronta costi immediati per farlo ma i benefici sono percepiti in ogni parte del mondo. Nonostante il vantaggio complessivo, quindi, ogni paese ha un incentivo economico a sfruttare gli sforzi altrui, godendo dei benefici senza contribuire in modo adeguato.
Si aggiungono poi le difficoltà intorno alla cooperazione internazionale sui temi energetici, dovute a interessi divergenti legati alle risorse strategiche e ai mix energetici dei diversi stati, a vulnerabilità disomogenee, a differenti capacità politiche, economiche e tecnologiche e a diversi equilibri di potere su altri tavoli negoziali.
A complicare gli equilibri c’è anche la rielezione di Trump, che già nel 2017 aveva ritirato gli USA dall’Accordo di Parigi e ha come obiettivo dichiarato di puntare sull’ottimizzazione delle risorse interne, con un incremento nella produzione e nell’export di gas e normative meno rigide. Sarà quindi più restio a vincolare gli Stati Uniti da un punto di vista ambientale. Inoltre, sebbene Trump si insedierà alla Casa Bianca a gennaio 2025, l’incertezza del suo operato in ambito climatico rischia di minare la credibilità degli attuali negoziatori statunitensi. Allo stesso tempo, un eventuale ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi e dall’UNFCCC obbligherebbe a raggiungere un nuovo equilibrio di potere nell’arena climatica internazionale, che potrebbe andare a vantaggio della Cina, leader nelle tecnologie verdi.
Restano comunque solidi motivi per sedersi al tavolo negoziale, tra cui un incentivo per i paesi per partecipare ai negoziati internazionali sul clima e in generale a influenzare i quadri giuridici che guideranno la transizione energetica. L’azione climatica portata avanti negli ultimi anni infatti, seppur insufficiente, ha posto le basi per un cambiamento del sistema economico, in particolare attraverso uno sviluppo dei mercati delle tecnologie verdi e diversi disincentivi (in primis le carbon tax) che nel lungo termine renderanno meno conveniente per i paesi portare avanti una strategia di sviluppo economico ad alta intensità di carbonio. Insomma, è chiaro che la transizione energetica, a un certo punto, si farà. La vera domanda è chi riuscirà a beneficiarne e chi rimarrà indietro.
Immagine dal sito ufficiale di COP29