Dopo la netta vittoria di Donald Trump alle presidenziali USA, il mondo si interroga sulle conseguenze del voto a stelle e strisce. Se su alcuni aspetti aleggiano dubbi (per esempio, cosa ne pensa la Cina?), su altri prevalgono le certezze. In tutto il mondo gli esperti climatici concordano nel ritenere la rielezione del tycoon a presidente degli Stati Uniti e la riconquista repubblicana del Senato americano due eventi molto preoccupanti, perché da sempre sul cambiamento climatico The Donald ha espresso il proprio scetticismo (per usare un eufemismo visto che l’ha definito “una grande bufala”).

Trump uscirà dall’Accordo di Parigi per la seconda volta?

Oltre a essere storicamente tra i maggiori produttori di anidride carbonica dai tempi della rivoluzione industriale, tuttora gli Stati Uniti rimangono tra i paesi più inquinanti al mondo, come emerge dalla mappa di Global Carbon Atlas. Nel 2022, con un totale di emissioni calcolate in 5.057 milioni di tonnellate di CO₂ (MtCO₂), gli USA sono stati secondi solo alla Cina, in testa alla classifica con 11.397 MtCO₂, mentre l’Italia si è posizionata 18ª, con 338 MtCO₂.

Il timore più che fondato è che Trump, come aveva già fatto durante il primo mandato, possa non solo venire meno all’Accordo di Parigi sul clima, il cui obiettivo di tenere il riscaldamento globale sotto la soglia di +1,5°C entro fine secolo pare già fuori portata, ma pure sfilarsi dal coinvolgimento con le Nazioni Unite nella lotta alla crisi climatica. Anche se di fatto si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio prossimo, la sua rielezione già pesa sulla COP29, la 29ª conferenza sul clima che partirà a Baku, in Azerbaijan, lunedì 11 novembre.

Sul fronte interno Donald Trump ha promesso di espandere il più possibile la produzione di combustibili fossili come petrolio, gas naturale e carbone e ha più volte criticato le azioni energetico-climatiche di Biden, che invece Kamala Harris avrebbe portato avanti. Supportato dal futuro vicepresidente J.D. Vance, il tycoon le ha definite “nuova truffa verde” e “piano per arricchire la Cina”, per via dell’importante presenza di Pechino nel settore clean tech.

Con Trump a rischio l’Inflation Reduction Act e non solo

Quali sono le politiche climatiche volte a ridurre le emissioni di gas serra che il 47° presidente degli Stati Uniti metterà nel mirino? In primis l’Inflation Reduction Act (IRA), approvato da Biden nell’agosto 2022. Il più grande investimento sul clima della storia americana ha stanziato investimenti per 433 miliardi di dollari, di cui 369 destinati alla produzione di energia nazionale e alla promozione di energia pulita, puntando entro il 2030 a una riduzione delle emissioni di gas serra del 40% rispetto al 2005.

Trump potrebbe abolirlo, se non in toto, almeno in alcune sue parti. Le disposizioni più a rischio sarebbero gli incentivi per i veicoli elettrici, mentre i crediti per le aziende manifatturiere potrebbero rimanere in un’ottica di “America first and pro-U.S. business,”, come sottolinea David Shepheard, partner ed esperto di energia presso la società di consulenza globale Baringa, ad AP

Sono a rischio, poi, alcune norme emanate dall’agenzia federale per l’ambiente (EPA, Environmental Protection Agency), tra cui quelle per limitare l'inquinamento delle attività petrolifere e del gas. Di fronte ai ricorsi legali presentati da gruppi industriali e stati controllati dai repubblicani, ora probabilmente il Dipartimento di giustizia non le difenderà.

E ancora: dato che il motto di Trump è “drill, baby, drill”, il tycoon probabilmente ripristinerà le trivellazioni petrolifere nell’Arctic National Wildlife Refuge dell’Alaska. Anche se proprio mercoledì 6 novembre l’amministrazione Biden si è mossa con una norma che cerca di frenare questo rischio, è quasi certo che si riaccenderà ancora una volta la battaglia attorno a un’area incontaminata, che ospita una vasta gamma di specie minacciate, tra cui orsi polari e caribù.

Cambiamento climatico, cosa succederà ora con Trump?

Insomma, le prospettive sono piuttosto funeste, tanto che The Guardian definisce l’elezione di Trump “a wrecking ball”, ovvero una palla da demolizione sul clima. Una seconda amministrazione Trump, secondo un’analisi di Carbon Brief, potrebbe aumentare le emissioni di gas serra di 4 miliardi di tonnellate entro il 2030, infliggendo circa 900 miliardi di dollari di danni climatici in tutto il mondo.

D’altra parte è anche vero che bisognerà vedere se Trump vorrà o riuscirà davvero a realizzare tutto quello che ha promesso in campagna elettorale, fermando energie pulite come quelle eolica, solare e geotermica. Per esempio, l’abrogazione di parti della legge sul clima potrebbe rivelarsi controproducente, perché la maggior parte degli investimenti e dei posti di lavoro si trovano nei distretti congressuali repubblicani. Trump stesso ha affermato che anche lui è interessato a sviluppare la prossima generazione di reattori nucleari, più piccoli dei reattori tradizionali. Inoltre, da quando il CEO di Tesla, Elon Musk, lo ha appoggiato, ha decisamente ammorbidito la sua retorica contro le auto elettriche.

Un ruolo cruciale lo giocheranno anche i singoli stati e le amministrazioni locali, così come le industrie e il mondo della ricerca e dell’innovazione. Di fatto, c’è un fronte bipartisan che sostiene l’energia green, e le realtà già impegnate a raggiungere emissioni nette pari a zero continueranno a lavorare in questa direzione.

 

In copertina: Donald Trump fotografato da Gage Skidmore, via Flickr