Sono tempi duri per il mercato volontario dei crediti di carbonio. Tra scandali mediatici, poca trasparenza e mancanza di linee guida, il valore di mercato di uno degli strumenti di mitigazione promosso dagli Accordi di Parigi è calato del 61% rispetto al 2022. A fotografare il momento difficile del carbon offsetting ci ha pensato il report redatto da Ecosystem Marketplace ‒ iniziativa no profit che analizza i dati di broker e trader –, che ha registrato un crollo di oltre 1,1 miliardi di dollari in un solo anno, passando dagli 1,9 miliardi di dollari del 2022 ai 723 milioni di dollari nel 2023.

Ciascun credito di carbonio rappresenta la riduzione o la rimozione di una tonnellata di CO₂ che le aziende acquistano o vendono sul mercato per raggiungere i propri obiettivi climatici. Questi crediti sono divisi in diverse categorie e vengono emessi per varie ragioni, dal rallentamento della deforestazione alla protezione della biodiversità, dalle piantumazioni di alberi che assorbono CO₂ fino alla produzione di energia rinnovabile.

REDD+, i crediti di carbonio della discordia

Al momento i crediti più discussi e criticati sono quelli emessi dai progetti REDD+ (Reducing Emission from Deforestation and Forest Degradation). Derivano da attività che dovrebbero fermare o rallentare progetti di deforestazione già programmati, e nell’ultimo anno il loro valore è calato del 62%. Secondo gli autori del report, la flessione sarebbe dovuta a una diffusa sfiducia. A metterne in discussione la trasparenza è stata soprattutto un’investigazione giornalistica, pubblicata dal Guardian e altri media nel gennaio del 2023, che rilevò come il principale certificatore mondiale, Verra, stesse emettendo crediti di carbonio “inutili” e collegati a potenziali violazioni dei diritti umani. L’azienda poi contestò l’inchiesta accusando gli autori di aver utilizzato dati poco affidabili. Ma anche un'analisi della Goldman School aveva definito i crediti di Verra “esagerati in tutti i fattori di quantificazione”.

Julia Jones, coautrice di uno degli studi oggetto dell’inchiesta e professoressa alla Bangor University, ha dichiarato che sono necessarie riforme urgenti. “Numerosi progetti che emettono crediti REDD+ hanno venduto più crediti del dovuto”, si legge in un articolo pubblicato su Nature. “Tuttavia, non deve passare il concetto che affrontare il cambiamento climatico rallentando la deforestazione tropicale sia tutta una truffa.” Secondo Jones, sono necessari maggiori finanziamenti per fermare la perdita di biodiversità e la deforestazione, e una riforma del carbon market potrebbe svolgere un ruolo chiave.

Stephen Lezak, program manager presso la Smith School of Enterprise and the Environment dell’Università di Oxford, ha paragonato l’attuale carbon market a un edificio in fiamme. “Abbiamo bisogno che le persone facciano i vigili del fuoco e corrano verso l’incendio piuttosto che allontanarsene”, ha spiegato Lezak al Guardian. “Limitare il riscaldamento globale a 1,5°C non è semplicemente fattibile senza strumenti di finanza climatica di questo tipo.”

La riforma del carbon market è in stallo

Introdotto nel 1997 dal Protocollo di Kyoto, il concetto di scambiare crediti di carbonio nacque sotto l’egida del Clean Development Mechanism. L’obiettivo era incoraggiare i paesi più ricchi a investire in progetti di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo. Questo meccanismo attirò però critiche e malumori perché poco flessibile alle esigenze del settore privato. Agli inizi del nuovo millennio emerse così il cosiddetto Voluntary Carbon Market, un mercato che, dopo anni deregolamentazione, sta per essere riformato dal Paris Agreement Crediting Mechanism (stabilito nel 2015 dall’articolo 6.4 degli Accordi di Parigi). Un meccanismo che include un organo di vigilanza delle Nazioni Unite (Supervisory Body) incaricato di sviluppare standard, linee guida, metodologie, registri delle attività e processi di accreditamento per organi di certificazione.

"L'attuazione del meccanismo è un'impresa enorme”, aveva dichiarato a marzo Maria AlJishi, presidente del Supervisory Body. “Stiamo sviluppando strumenti metodologici e linee guida tenendo in considerazioni le preoccupazioni sollevate alla conferenza sul clima di Dubai.” Se ne riparlerà quindi a novembre, alla conferenza sul clima di Baku. Dove le parti tenteranno di sciogliere anche il nodo dell’addizionalità, ovvero la necessità di dimostrare che la riduzione o la rimozione delle emissioni di carbonio è avvenuta grazie al progetto e non per caso.

 

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Immagine di copertina: Envato

 

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