Solo 13 delle 195 parti firmatarie dell’Accordo di Parigi hanno pubblicato i propri piani di riduzione delle emissioni (NDC) per il 2035 entro il 10 febbraio, la deadline fissata dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Tra i paesi che hanno fatto i compiti a casa ci sono gli Emirati Arabi Uniti, il Brasile, la Svizzera, il Regno Unito, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, il cui piano però dovrebbe essere abbandonato dal neo presidente Donald Trump che vuole uscire dall'Accordo di Parigi. Nella lista figurano anche Uruguay, Andorra, Ecuador e Santa Lucia, Isole Marshall, Singapore e Zimbabwe. Anche il Canada si è aggiunto mercoledì 12, nonostante le critiche degli esperti. 

Cina, Unione Europea e India sono invece tra i principali responsabili della crisi climatica che non hanno ancora presentato i loro piani climatici. Nonostante ci sia ancora tempo prima della prossima COP30 programmata in Brasile a novembre, i segnali politici sull’azione climatica globale non sono positivi.

La maggioranza dei paesi ha bisogno di più tempo

Il 6 febbraio a Brasilia, durante una conferenza di aggiornamento sullo stato di avanzamento delle azioni climatiche globali a 10 anni di distanza dall'Accordo di Parigi, il segretario esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell ha dichiarato che “la stragrande maggioranza dei paesi si prenderà un po’ più di tempo per garantire che questi piani siano di prim’ordine”. Stiell conta di riceverli entro settembre in modo da presentare il report di sintesi degli NDC prima della COP30 di Belem.

Si tratta di documento importante perché misurano l’ambizione dei paesi confrontandola con ciò che gli scienziati dell’IPCC ritengono essenziale per raggiungere gli obiettivo climatici dell’Accordo di Parigi: tagliare entro il 2030 le emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2019. Lo scorso anno, a una settimana dall’inizio di COP29 a Baku, i risultati emersi dal report furono piuttosto deludenti. Gli impegni climatici combinati presagivano una riduzione delle emissioni di appena il 2,6% rispetto ai livelli del 2019, quindi largamente insufficienti per tenere l’aumento di temperatura globale al di sotto della soglia di 1,5° C.

All’incontro di Brasilia, il neopresidente della COP30 André Corrêa do Lago ha sottolineato l’importanza di coinvolgere anche attori diversi dai governi nazionali, come aziende, città e regioni. In un momento in cui il multilateralismo climatico inizia a scricchiolare sotto i colpi di leader negazionisti come Donald Trump e Javier Milei, “bisogna vedere anche il bicchiere mezzo pieno,” ha detto Stiell. “Come gli investimenti nell’energia verde.” 

“È scioccante che solo 13 paesi su 195 abbiano aggiornato i propri NDC, con la maggior parte delle nazioni ricche in ritardo sulla scadenza”, ha dichiarato Tasneem Essop, direttore esecutivo dell’organizzazione Climate Action Network (CAN). “Avvertiamo un’allarmante mancanza di volontà politica sugli impegni presi a Parigi.”

Il limbo europeo sugli NDC

Secondo un’analisi di Carbon Brief, i paesi che non hanno rispettato la scadenza rappresentano l’83% delle emissioni globali e quasi l’80% dell’economia mondiale. Tra questi c’è l’Europa che già durante la scorsa COP29 di Baku ammise l’impossibilità di presentare gli NDC in tempo. Il nuovo mandato di Ursula von der Leyen alla Commissione europea promette di essere molto meno regolamentato e green dell’esecutivo precedente, fautore di uno dei piani climatici più ambiziosi a livello globale, il Green Deal.

“Siamo in attesa di segnali da Bruxelles”, commenta a Materia Rinnovabile Francesco Corvaro, inviato speciale per il cambiamento climatico del governo italiano. “Da un lato c’è un tentativo della presidente Ursula von der Leyen di rimanere fedele al Green Deal ma tenendo conto della competitività industriale. Dall'altro però la vicepresidente della Commissione europea Teresa Ribeira è allineata su una visione più ortodossa della transizione verde.”

Il piano di mitigazione attuale prevede di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, su un percorso verso la neutralità carbonica da raggiungere entro il 2050. Ma quale target fissare per il 2035 è ancora un mistero. Lo scorso anno l’esecutivo Ue suggerì un target del 90% entro il 2040, sostenuto da Danimarca e una manciata di altri paesi, ma bocciato per esempio dalla Polonia che lo considera irrealistico.

Secondo Corvaro, “l’italia dal punto di vista tecnico ha fatto tutto quello che doveva fare inviando alle Nazioni Unite il Biennial transparency reports (BTR)”, un documento che ciascun paese firmatario dell’Accordo di Parigi deve presentare ogni due anni, spiegando in modo dettagliato i progressi di mitigazione e adattamento climatico. “Per capire la direzione politica di Bruxelles dovremo tenere d’occhio la tornata elettorale tedesca”, conclude l’inviato speciale per il clima. “E anche il risultato politico in Polonia, uno dei più grandi emettitori europei, potrebbe avere un certo peso.”

 

In copertina: Simon Stiell © UN Climate Change - Kamran Guliyev via Flickr