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Una valanga di provvedimenti e dichiarazioni ha accompagnato la cerimonia di insediamento di Donald Trump come 47° presidente degli Stati Uniti d'America. Più o meno tutto quello che aveva promesso (o minacciato) di attuare sulle questioni dell’ambiente, del clima e dell’energia lo ritroviamo a vario titolo e con diversa efficacia giuridica nella miriade di executive actions firmate pubblicamente subito dopo la cerimonia.

Dal nuovo ritiro degli Stati Uniti dal sistema degli accordi di Parigi all’eliminazione (che forse non potrà essere attuata) degli incentivi all’acquisto di auto elettriche e dei vincoli sull’acquisto di auto a motore termico. Dal congelamento della costruzione dei campi eolici al rilancio della trivellazione di gas e petrolio ovunque, aree protette comprese.

Ancora, è stata sospesa l’erogazione di più di 300 miliardi di dollari di fondi per le infrastrutture verdi che erano stati stanziati dall’amministrazione Biden. Non citando i dazi sulle importazioni da Messico e Canada e quelle annunciate nei confronti dei BRICS (cioè di Cina e India) e dell’Europa, il neopresidente non è si privato nemmeno di varare una misura che di fatto abbatte le possibilità di regolamentare l’intelligenza artificiale.

Difficile non prevedere un pesante impatto della seconda presidenza Trump sugli scenari climatici ed energetici globali, così come avverrà per quanto riguarda i rapporti di forza geopolitici. Certamente è tutto da vedere − e lo capiremo soltanto nei prossimi mesi − quanto si cristallizzerà davvero in fatti concreti e quanto resterà allo stato gassoso di parole e suggestioni.

Quel che ci possiamo sentire di affermare è che l’aggravarsi progressivo della crisi climatica, il parallelo processo di accelerazione della transizione energetica e il graduale spostamento dell’asse del potere globale dagli Stati Uniti verso l’Asia, cioè verso la Cina e verso l’India, sono dinamiche profonde di questo ventunesimo secolo che continueranno a operare sullo sfondo di quanto vedremo sul proscenio. Spinte profonde, con una inerzia talmente possente, che sarebbe illusorio pensare di riuscire ad arrestare o invertire nell’arco di una breve stagione politica.

I decreti firmati da Trump

Vediamo in estrema sintesi le misure varate da Donald Trump nel giorno stesso del suo insediamento. Cominciamo con la dichiarazione di “emergenza energetica nazionale”, che punta a rimuovere alcune regolamentazioni che ostacolavano la costruzione di infrastrutture per combustibili fossili, come gasdotti e impianti nucleari. Questa mossa dovrebbe portare “una nuova era di prosperità energetica” per gli Stati Uniti.

Segue il secondo ritiro dall’Accordo di Parigi del 2015 sull’emergenza globale del clima, che secondo il presidente imporrebbe restrizioni economiche ingiuste agli USA a vantaggio della Cina. “Mi ritiro immediatamente dall’ingiusto e unilaterale accordo sul clima di Parigi, una truffa,” ha dichiarato Trump, aggiungendo che “gli Stati Uniti non saboteranno le proprie industrie mentre la Cina inquina impunemente”. Secondo alcune interpretazioni sarebbero revocati anche tutti i finanziamenti concessi dagli USA nell'ambito della Convenzione sul clima e che non sono sotto il cappello dell'Accordo di Parigi, come ad esempio quelli che a suo tempo erano stati promessi per i paesi più poveri nell’ambito del fondo Loss and Damage.

Terzo: è stata sospesa l’approvazione di nuovi progetti di energia eolica offshore, al largo delle coste. “Gli Stati Uniti sono benedetti da petrolio e gas e li useremo. Non faremo la roba dell’eolico”, ha detto il presidente Trump, secondo cui i “grandi brutti mulini a vento” danneggiano le balene, rovinano i paesaggi e uccidono gli uccelli.

Quarto: sono stati revocati i divieti di concessioni per l’estrazione di petrolio e gas offshore, che di fatto bloccavano le trivellazioni nella maggior parte delle acque costiere degli Stati Uniti, nell’ambito di una vasta revisione delle politiche sui combustibili fossili. È inoltre stata introdotta una serie di modifiche volte a promuovere l’estrazione di petrolio, gas naturale e minerali critici in Alaska.

Quinto: Trump ha ordinato alla propria amministrazione di considerare l’eliminazione dei sussidi e di altre politiche che favoriscono i veicoli elettrici. La direttiva prevede specificamente la cancellazione delle esenzioni che consentono agli stati di limitare la vendita di auto a benzina.

Sesto: gli Stati Uniti usciranno dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il che significa un taglio di circa il 15% del bilancio dell’OMS, che impegna una parte significativa di questi fondi a programmi sanitari essenziali.

Infine, parlando dell’intelligenza artificiale, Trump ha revocato un ordine esecutivo del 2023 di Joe Biden che imponeva agli sviluppatori di IA di condividere con il governo i risultati dei test di sicurezza prima del rilascio pubblico dei loro sistemi.

Inoltre, ha annunciato un massiccio investimento nell’IA attraverso una joint venture denominata Stargate, con una dotazione iniziale di 100 miliardi di dollari, che potrebbe essere aumentata fino a 500 miliardi. Il progetto coinvolge aziende come OpenAI, SoftBank e Oracle, con l’obiettivo di sviluppare infrastrutture avanzate per l’IA negli Stati Uniti, inclusa la costruzione di nuovi data center e campus per OpenAI.

I dazi di Trump e le risposte dell’Europa

E i mercati non temono i dazi? Pare che sia proprio così. Oggi, mercoledì 22 gennaio, non si sono verificate particolari tensioni sui mercati finanziari. Nulla o quasi è successo anche dopo le nuove dichiarazioni di Donald Trump che hanno messo nel mirino Canada e Messico con dazi del 25%, annunciato una probabile tariffa del 10% sui prodotti cinesi e una altrettanto grave su quelli europei. “L’Unione Europea è molto, molto ingiusta nei nostri confronti. Si beccheranno anche loro le tariffe. È l’unico modo per ottenere giustizia”, ha dichiarato.

Gli ha replicato a stretto giro la presidente della BCE Christine Lagarde, dal Forum economico mondiale di Davos, dicendo che “in Europa dobbiamo prepararci e sapere come rispondere”. Alla domanda se l’UE abbia la forza per assorbire l’impatto di nuove barriere commerciali, Lagarde ha risposto che i paesi UE hanno un ampio potenziale da sfruttare sviluppando ulteriormente il mercato interno. Lagarde ha notato che l’obiettivo di Trump non è del tutto chiaro e che l’idea di sostituire l’import dall’Europa con produzione interna americana “è discutibile”. In ogni caso “il dialogo deve continuare”.

Sempre ieri, martedì 21 gennaio, a Parigi il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ricevuto da Emmanuel Macron, ha affermato che “la presidenza Trump sarà una sfida per l’Europa”. Stamani, alla plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ribadito che con il 2025 inizia “una nuova era di dura competizione geo-strategica. Abbiamo a che fare con potenze delle dimensioni di un continente. E interagiscono tra loro principalmente in base ai propri interessi. Questa nuova dinamica dominerà sempre di più le relazioni tra gli attori globali. Le regole di ingaggio stanno cambiando. In Europa questa nuova realtà potrebbe non piacere, ma dobbiamo farci i conti. I nostri valori non cambiano. Ma per difenderli, alcune cose devono cambiare.”

E se l’amministrazione Trump metterà in pratica la minaccia di nuovi dazi contro i prodotti europei, “la UE è pronta a difendere i propri interessi. Siamo pronti a rispondere in modo proporzionato se sarà necessario, come abbiamo fatto durante la prima amministrazione Trump”, ha detto il Commissario UE per l’Economia Valdis Dombrovskis.

Gli Stati Uniti tra perplessità e speranza

Negli States è da segnalare il commento del direttore della Zero Emission Transportation Association, Albert Gore. “La catena del valore di veicoli elettrici e batterie dell’America ha già creato oltre 240.000 posti di lavoro negli Stati Uniti e ha attratto impegni di investimento privato superiori ai 182 miliardi di dollari”, ha affermato. “Gli ordini esecutivi offrono alcune opportunità per garantire le catene di approvvigionamento dei minerali, ma comportano anche il rischio di ostacolare la crescita della produzione di batterie e veicoli.”

Secondo Thomas Hohne-Sparborth, Head of Sustainability Research di Lombard Odier Investment Managers, “la transizione ambientale continuerà, anche in questo nuovo contesto politico. Il linguaggio potrebbe passare dal concentrarsi su clima e decarbonizzazione a temi come innovazione, infrastrutture e accessibilità economica, che consideriamo due facce della stessa medaglia. L’amministrazione potrebbe sostenere lo sviluppo della guida autonoma, che, sebbene non motivata da obiettivi ambientali, favorirebbe indirettamente la diffusione dei veicoli elettrici. La priorità data al ritorno delle industrie strategiche negli Stati Uniti potrebbe, inoltre, creare opportunità nei settori dei semiconduttori, delle batterie e di altri segmenti chiave”.

Infine, il commento di Jeff Ordower, North America Director di 350.org: “Sapevamo che le politiche del presidente Trump avrebbero rappresentato una minaccia diretta per il clima e per le comunità emarginate. Ma ci rifiutiamo di cedere alla disperazione. La storia ci insegna che le persone possono, e sapranno, affrontare queste sfide. Ogni frazione di grado è importante in questa lotta per un futuro sicuro, e continueremo a difendere soluzioni che pongano al centro giustizia e resilienza. Costruendo comunità, sia a livello locale che globale, traiamo forza dalla rinnovata determinazione tra gli attivisti climatici di tutto il mondo”.

 

In copertina: Donald Trump fotografato da Gage Skidmore, via Flickr