Dopo le prime mosse di Donald Trump era facile prevedere che le cose sarebbero andate a finire così. Il presidente degli Stati Uniti ha deciso di affondare il colpo su uno dei pilastri della cooperazione internazionale per la lotta al cambiamento climatico, il Green Climate Fund (GCF).

Con un tratto del suo marker nero, Trump ha ritirato la promessa degli Stati Uniti d’America di sborsare al GCF la bella somma di 4 miliardi di dollari, aprendo una voragine che ora il vertice del fondo cerca disperatamente di colmare. Anche bussando alla porta di Cina e India per raccogliere nuove risorse.

L’uscita degli Stati Uniti dal Green Climate Fund non è solo una questione contabile, naturalmente. Gli USA sono stati i maggiori contributori al fondo, con 6 miliardi di dollari promessi dalle amministrazioni Obama e Biden, di cui però solo 2 erano stati effettivamente versati prima del ritorno di Trump.

L’importanza del Green Climate Fund

I fondi del GCF − che ha sede a Incheon, in Corea del Sud, ed è stato creato dalle Nazioni Unite nel 2010 − sono considerati importanti per aiutare oltre 100 paesi in via di sviluppo a mitigare gli effetti del cambiamento climatico e a sviluppare infrastrutture sostenibili. Senza quei miliardi, progetti cruciali per la transizione energetica, la protezione delle foreste e la gestione dell’acqua rischiano di essere ridimensionati o, peggio, cancellati.

Di fronte a questa crisi, la direttrice del Green Climate Fund, Mafalda Duarte, ha lanciato un appello ai paesi emergenti più ricchi: Cina e India. “La situazione è molto difficile e ci lascia con la necessità che altri assumano posizioni di leadership”, ha affermato Duarte in un’intervista all’agenzia Bloomberg. Nel mirino ci sono Cina e India, primo e terzo emettitore mondiale di gas serra e tra le principali economie del pianeta.

“Speriamo di vedere questi paesi assumere un ruolo più importante”, ha detto Duarte, parlando di una indispensabile “coalizione degli ambiziosi”, ovvero un gruppo di paesi che scelga di investire attivamente nella lotta contro il riscaldamento globale.

India e Cina restano scettiche

Per adesso non c’è una risposta esplicita a questo appello. Da sempre paesi emergenti come India e Cina sostengono di essere ancora nazioni in via di sviluppo, con priorità e problemi interni da gestire, e che i soldi per rimediare alla crisi climatica vanno sborsati da chi − l’Occidente capitalistico − ha la responsabilità storica delle emissioni, oltre ad averne emesse il volume maggiore.

Secondo uno studio del World Resources Institute, la Cina negli ultimi anni ha contribuito con oltre 30 miliardi di dollari al finanziamento climatico globale, ponendola allo stesso livello del Regno Unito come quinti maggiori fornitori di finanziamenti per il clima, dopo Giappone, Germania, Stati Uniti e Francia.

Durante una riunione del board del GCF di metà febbraio, Germania e Svezia hanno suggerito che i paesi con redditi elevati ma non tradizionalmente donatori – come i ricchi stati del Golfo – aumentino i propri contributi. L’Arabia Saudita ha però respinto categoricamente questa idea, definendola “inaccettabile”. Il rappresentante saudita ha dichiarato che i paesi in via di sviluppo non dovrebbero essere costretti a compensare i tagli di uno dei maggiori inquinatori storici, riferendosi chiaramente agli Stati Uniti, che non hanno partecipato alla riunione del consiglio GCF.

Le conseguenze dei tagli di Trump

Per adesso i paesi europei si confermano i maggiori sostenitori del Green Climate Fund. Germania, Francia, Regno Unito e Giappone hanno già contribuito con più fondi rispetto agli USA, e la Commissione Europea ha annunciato che valuterà un ulteriore incremento del proprio impegno.

Tuttavia senza i miliardi statunitensi potrebbero nascere problemi, anche se per ora un portavoce del fondo esclude conseguenze. Il GCF, ha dichiarato, dispone di “un solido portafoglio di progetti” e prevede di approvare fino a 3 miliardi di dollari in nuovi investimenti solo quest’anno.

L’ultima raccolta fondi per il periodo 2024-2027 dell’istituzione aveva totalizzato 13,6 miliardi di dollari, una cifra superiore ai 10 miliardi del ciclo precedente, ma ora l’assenza del contributo statunitense rischia di ridimensionare gli ambiziosi piani del fondo.

Il Green Climate Fund ha approvato negli ultimi anni investimenti per 16,6 miliardi di dollari, finanziando progetti in oltre 100 paesi. L’obiettivo è di raggiungere un portafoglio di 50 miliardi entro il 2030. Tuttavia, come ha sottolineato Duarte, senza nuovi impegni finanziari la capacità del fondo di sostenere le ambizioni climatiche globali sarà gravemente compromessa.

 

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In copertina: Mafalda Duarte fotografata da Benjamin Mole/IIED, via Flickr