Largamente anticipate, attese, discusse e analizzate, le Due Sessioni 2025 (Lianghui) sono state inaugurate nella Grande Sala del Popolo di Pechino il 4 e il 5 marzo.

Come scrive Asia Society, il più importante evento del calendario politico cinese è “la cosa più vicina a un carnevale” per l’élite politica della Repubblica Popolare, con migliaia di alte cariche, burocrati, analisti e giornalisti (oltre 3.000 gli accreditati, anche stranieri) che si riuniscono nella capitale per una settimana (fino all’11 marzo). Quest’anno, in particolare, sulle riunioni simultanee del Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (CPPCC) e del Congresso nazionale del popolo (NPC) l’attenzione era alta per una serie di motivi: prima di tutto, perché il 2025 è l’anno conclusivo del 14° Piano quinquennale, nonché del controverso piano Made in China 2025 lanciato un decennio fa; in secondo luogo, per l’hype sulla guerra tecnologica e commerciale fra Cina e Stati Uniti; e infine, naturalmente, per l’attesa dei nuovi target di crescita economica, vista la fatica con cui si è arrivati al famoso 5% fissato per il 2024.

Su quest’ultimo punto in realtà non c’è stata nessuna sorpresa. Come ci si immaginava, nel suo report sul lavoro del governo letto in plenaria la mattina del 5 marzo, il Primo Ministro Li Qiang ha annunciato per il 2025 un target di crescita del PIL di circa il 5%, come l’anno scorso. La vera notizia – benché pure questa già prevista dagli analisti più attenti – è stata semmai la decisione di alzare di un punto percentuale il rapporto deficit/PIL, fissato quindi al 4%: una misura che arriva chiaramente per dare un po’ di respiro a un’economia in affanno.

Tra le parole chiave nel discorso del premier, ritorna lo “sviluppo di alta qualità”, con riferimento in particolare alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale ma anche al clean tech; e poi la necessità di spingere i consumi interni, e l’impegno a nuove “aperture” per incoraggiare commerci e investimenti esteri. Infine, la promessa (un po’ ambigua in verità) di ridurre di un altro 3% l’intensità energetica e di avvicinarsi “con prudenza” al picco di emissioni.
Ecco la nostra analisi del discorso di Li Qiang.

Un 2024 “straordinario”

“Il 2024 è stato un anno davvero straordinario nel percorso di sviluppo della Cina”. Così ha esordito il Primo Ministro Li Qiang nel presentare il Rapporto sul lavoro del governo la mattina del 5 marzo.

Naturalmente prima sono stati elencati tutti i punti di merito, a cominciare dal sospirato 5% di crescita del PIL, raggiunto, va detto, un po’ in corner e con l’aiuto di varie misure finanziarie.
La crescita economica è stata quindi declinata nei suoi vari aspetti, come i 12,5 milioni di nuovi posti di lavoro creati nelle città (con una popolazione urbana arrivata al 67% del totale) e, soprattutto, lo sviluppo delle cosiddette “nuove forze produttive” (xin sheng chanli), che sono state un po’ il mantra di quest’ultimo anno: high tech, servizi IT, veicoli elettrici e clean tech, intelligenza artificiale e tecnologie quantistiche. Li ha celebrato i successi in questo settore, ricordando in particolare che la produzione di veicoli a nuova energia (elettrici e ibridi) ha superato la soglia dei 13 milioni di unità, mentre il valore aggiunto delle industrie chiave dell'economia digitale è salito a circa il 10% del PIL.

Quanto al tema ambientale, il premier ha celebrato l’impegno per migliorare la qualità dell’aria delle grandi città cinesi: se fino a qualche anno fa l’inquinamento atmosferico costituiva una vera e propria emergenza sanitaria, oggi “i giorni con qualità dell’aria buona o eccellente hanno superato l’87%” (molto meglio che in Pianura Padana). Mentre sul fronte clima e transizione energetica, la capacità di energia rinnovabile installata in Cina nel 2024 è cresciuta di 370 GW (su un aumento globale di 473 GW ), e oggi l’elettricità generata da fonti rinnovabili conta per il 40% del totale del Paese.

Festeggiati i successi, non si potevano non menzionare i problemi. Innanzitutto sul piano internazionale: “cambiamenti mai visti in un secolo si stanno verificando in tutto il mondo a un ritmo rapidissimo”, ha detto Li Qiang. “Una situazione internazionale sempre più complessa e pesante potrebbe impattare significativamente sulla Cina in settori come il commercio, la scienza e la tecnologia. La crescita economica globale manca di slancio, crescono l'unilateralismo e il protezionismo, il sistema commerciale multilaterale sta subendo interruzioni e le barriere tariffarie continuano ad aumentare. Tutto ciò – ha aggiunto Li – sta minando la stabilità delle catene industriali e di fornitura globali e ostacola i flussi nell'economia internazionale”

Quanto al piano interno, la ripresa economica – ammette il premier – è ancora lenta e “la crescita non abbastanza forte”, e soprattutto il consumo domestico è “stagnante”.

Target 2025: crescita “attorno” al 5%, ma il disavanzo crescerà al 4%

Promuovere lo sviluppo di alta qualità, modernizzare l’industria, favorire le aperture “di alto livello”, spingere la domanda interna, incoraggiare l’innovazione tecnologica, garantire stabilità per il real estate e le borse. E, in testa alla lista, il promemoria sui target del 14° Piano quinquennale da completare entro fine 2025. Sono questi i “buoni propositi” per il nuovo anno elencati da Li Qiang.
Una serie di parole d’ordine a cui corrispondono concreti obiettivi numerici, primo fra tutti il target di crescita del PIL individuato “attorno al 5%” (con quell’avverbio prudentemente piazzato accanto a un numero che da solo, viste le recenti fatiche, sarebbe stato un po’ troppo perentorio).
Li ha parlato poi del tema – ultimamente caldo soprattutto per i giovani – del lavoro, fissando come obiettivo un tasso di disoccupazione urbana rilevato di circa il 5,5% e la promessa di creare altri 12 milioni di nuovi posti di lavoro nelle città.

Se questi erano tutti target più o meno attesi, la vera novità, come si accennava, è la decisione di alzare di un punto percentuale il rapporto deficit/PIL, fissandolo così al 4% (per fare un confronto, quello europeo è intorno al 3,5%). Non deve essere stata una scelta facile per il governo cinese, considerata la storica rigidità sul tema deficit. L’ultima volta che la Cina si era concessa una deroga all’auto-imposto 3% era stata nel 2020, quando, in piena emergenza pandemia, il Ministero delle finanze aveva alzato il rapporto a oltre il 3,6%. Insomma, si tratta di un segnale piuttosto chiaro degli sforzi che il governo di Xi Jinping intende mettere in campo per ridare respiro all’economia. “È la prima volta nella storia che la Cina fissa il rapporto deficit/PIL al 4% - ha commentato alla testata cinese Global Times l’economista Tian Yun – Questa misura lancia molteplici segnali sugli sforzi intensificati dei decisori politici cinesi per superare le sfide e promuovere uno sviluppo economico di alta qualità”.

Sforzi che si concretizzeranno, ha detto Li Qiang , nell’emissione di 1.300 miliardi di yuan di obbligazioni del Tesoro speciali, ovvero 300 miliardi in più del 2024. Oltre ad altri 4.400 miliardi di yuan di obbligazioni a scopi speciali delle amministrazioni locali, destinati soprattutto al settore edile e all’acquisizione di terreni, per ridare slancio a quello che era uno dei comparti tradizionalmente di punta dell’economia cinese e che oggi, dopo lo scoppio della bolla immobiliare, non riesce a riprendersi.

Ci saranno poi misure per aumentare i consumi interni e per incoraggiare “vigorosamente” gli investimenti dall’estero.

Industrie del futuro

Sull’onda dei recenti successi dell’industria high tech cinese (dall’AI di Deepseek alle auto elettriche di BYD fino alla missione sul lato oscuro della Luna), il discorso di Li Qiang ha dato poi ampio spazio alle cosiddette “industrie del futuro” e alla digital economy. In particolare ha annunciato un meccanismo finanziario per aumentare i fondi a settori come il biomanufacturing, le tecnologie quantistiche, l'embodied AI e la tecnologia 6G.
Ma l’incoraggiamento a questi comparti dell’economia cinese non si limita al piano finanziario: l’high tech cinese è diventato nell’ultimo anno una vera e propria bandiera, un motivo di orgoglio nazionale nello scontro tecnologico (e ora con Trump sempre più commerciale) con gli Stati Uniti. Lo ha dimostrato l’insolito simposio indetto da Xi Jinping lo scorso 17 febbraio per incontrare i CEO delle principali aziende tecnologiche cinesi, come Ren Zhengfei di Huawei, Wang Chuanfu di BYD, Liu Yonghao di New Hope, Yu Renrong di Will Semiconductor, Wang Xingxing di Unitree Robotics e Lei Jun di Xiaomi. Si tratta di un segnale di supporto da parte dei decisori politici che, come ha commentato l’economista Liu Peiqian al Global Times, “potrebbe rivelarsi persino più potente dello stimolo fiscale”.

Clima e transizione: con prudenza verso il picco di emissioni

Il capitolo ambiente e clima è arrivato verso la fine del discorso. Non che negli anni passati avesse meritato la pole position, ma probabilmente la Cina si sente in questo momento in una posizione piuttosto scomoda per quanto riguarda i suoi target climatici. Con il ritorno di Donald Trump e l’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi, il carico di responsabilità della potenza cinese nell’azione climatica globale si è fatto più importante. Tutti gli occhi sono puntati sui risultati (va detto straordinari) della transizione energetica del Dragone, sulla decarbonizzazione (non troppo trasparente) della sua industria e sul raggiungimento del picco di emissioni di carbonio, che la maggior parte degli analisti internazionali ha previsto arriverà già entro fine 2025.

Come abbiamo già spiegato in varie occasioni su queste pagine, il governo cinese preferisce però mantenere una posizione più prudente, concentrandosi più sul rilancio dell’economia che sul taglio delle emissioni. E infatti, dopo aver naturalmente annunciato il sostegno alla transizione green (che comunque significa anche green trade ed esportazioni di tecnologie come batterie, EV e fotovoltaico su cui la Cina è leader indiscussa), Li Qiang, con l’ormai consueta formula, ha detto che il governo cinese lavorerà “attivamente e con prudenza per raggiungere il picco delle emissioni di carbonio e la neutralità carbonica”.

È un impegno che si traduce, certo, in alcune interessanti iniziative concrete, come la creazione di un gruppo di parchi industriali net zero, la costruzione di nuove installazioni di rinnovabili nelle aree desertiche (come il Deserto del Gobi) e di parchi eolici off-shore. Ma che poi si arena su un target, a detta di molti analisti, un po’ troppo prudente: ovvero la riduzione del 3% dell’intensità energetica.
Il problema qui non è tanto la percentuale, quanto la terminologia. Come spiega su Linkedin Lauri Myllyvirta, analista dell’Asia Society Policy Institute e del CREA di Londra, nel 2023 la Cina, con una specie di gioco di prestigio, ha praticamente cambiato la definizione di “intensità energetica” per adattarla alle necessità della sua economia. Con il termine “intensità energetica” in genere si intende la quantità di energia consumata per unità di PIL, e l’energia viene considerata indipendentemente dalla sue fonti, siano esse fossili o rinnovabili. Ma siccome l’industria cinese sta passando alle rinnovabili ad un ritmo piuttosto sostenuto, limitare il consumo di questo tipo di fonti energetiche è parso al governo cinese un po’ troppo controproducente; così si è deciso di indicare con “intensità energetica” solo il consumo di energia da combustibili fossili.

Quindi per quest’anno, scrive Myllyvirta , “la Cina si è posta l'obiettivo di ridurre il consumo di combustibili fossili per unità di PIL di ‘circa il 3%’. Non è affatto un obiettivo forte, e potrebbe far sì che le emissioni aumentino di oltre il 2%. Non credo che aumenteranno così tanto, ma questo dimostra che il governo cinese non sta dando priorità al controllo delle emissioni di CO2 al momento”.

“La mia aspettativa per il 2025 – conclude Myllyvirta – è che la crescita delle rinnovabili acceleri ulteriormente rispetto ai livelli del 2023-24, mentre la crescita della domanda energetica rallenterà, portando a un calo delle emissioni. Le incertezze però sono grandi, soprattutto perché non è questo l'obiettivo prioritario del governo cinese”.

Immagine: Envato Elements