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Missione compiuta. Il Segretario di stato americano Marco Rubio ha dichiarato lunedì 10 marzo che l'amministrazione Trump ha completato in sei settimane l’epurazione di USAID, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, tagliando l'83% dei programmi e trasferendo i restanti sotto l’egida del Dipartimento di stato.

"Eliminati 5.200 contratti, costati miliardi di dollari, che non hanno servito, e in alcuni casi hanno persino danneggiato, gli interessi nazionali degli Stati Uniti", ha scritto il Segretario di stato su X.

Non è servita a fermare questa decisione voluta da Donald Trump nemmeno la sentenza del giudice federale Amir H. Ali che ha definito eccessiva l’autorità della presidenza, limitando di fatto l’ingerenza sull’indirizzo di spesa dei fondi allocati dal Congresso, che si è limitato a sbloccare l’erogazione dei pagamenti per gli aiuti esteri approvati prima del 13 febbraio, astenendosi dall’annullare del tutto la cancellazione di massa dei contratti dell’agenzia, decretata dal dipartimento di stato. Ben 1.600 funzionari sono stati licenziati, 4.200 sospesi sine die.

Chiude così, in maniera spettacolare, dopo 64 anni, USAID, agenzia indipendente per la cooperazione, fondata da John F. Kennedy per gestire gli aiuti umanitari e l'assistenza allo sviluppo in oltre 100 paesi. Una decisione con impatti ancora tutti da comprendere.

Basti pensare che nel 2024 USAID aveva movimentato ben 72 miliardi di dollari di APS. Con i tagli attuali significa che circa 60 miliardi non saranno erogati, eliminati o reindirizzati per altri programmi del DoS.

Il mondo della cooperazione internazionale è nel caos. Da Washington DC arrivano informazioni confuse e spesso contrastanti, come hanno dichiarato numerosi addetti ai lavori, incluse ONG italiane.

Secondo il Washington Post la segretaria esecutiva dell’Agenzia, Erica Y. Carr, avrebbe inviato una mail l’11 marzo per chiedere ai dipendenti di distruggere e bruciare documenti classificati, gettando il panico a Capitol Hill, dato che la richiesta viola il protocollo di sicurezza sui documenti.

Il presidente Trump ha giustificato la chiusura di USAID definendola un'agenzia "gestita da un gruppo di radicali" e ha dichiarato che era "tempo di eliminarla". A sostenere questa posizione anche il miliardario Elon Musk, che ha definito USAID "un'organizzazione criminale" e "oltre ogni possibilità di riforma". Il Dipartimento per l'efficienza governativa (DOGE), guidato da Musk, ha provveduto al licenziamento e alla sospensione di migliaia di dipendenti.

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Un impatto senza precedenti

A dare la misura dell’impatto è la portavoce ONU Stephane Dujarric. “Molti dei programmi cancellati riguardano paesi fragili che dipendono fortemente dagli aiuti statunitensi per sostenere i sistemi sanitari, i programmi di nutrizione e per evitare la fame. Impattate negativamente anche questioni importanti come la lotta al terrorismo, il traffico di esseri umani e di droga, compreso il fentanyl, e il monitoraggio e l'assistenza ai migranti risentiranno dei tagli statunitensi.”

In Sudafrica la sospensione dei finanziamenti ha interrotto promettenti sperimentazioni di vaccini contro l'HIV, mettendo a rischio importanti progressi nella ricerca. Nel porto di Houston, circa 30.000 tonnellate di cibo destinate agli aiuti internazionali sono ancora bloccate, con il rischio di deterioramento, a causa della sospensione degli aiuti.

Un’analisi del Center for Global Development ha individuato numerose istituzioni a rischio per il taglio di fondi: l’International Development Association (IDA), the African Development Fund (AfDf), the Asian Development Fund (AsDf), the World Food Program (WFP), il Global Fund, e Gavi, the Vaccine Alliance. Tutte rischiano centinaia di licenziamenti e di programmi cancellati o ridimensionati.

L’impatto sulla cooperazione italiana

Sono numerosi i progetti implementati da ONG italiane insieme a organizzazioni internazionali finanziate da USAID che ora dovranno trovare nuove fonti di finanziamento. “Per AVSI l'impatto è abbastanza consistente, USAID era il principale donatore, per il 2025 avrebbe pesato sul nostro bilancio per 17 milioni di euro di contributi, pari circa al 15%”, spiega Giampaolo Silvestri, segretario generale di AVSI. “A inizio marzo abbiamo ricevuto le termination letter per alcuni dei nostri progetti in Uganda, Ecuador, Kenya e Somalia. Complessivamente significa chiudere attività per 675.000 beneficiari che non riceveranno più assistenza alimentare, medica, attività educative e di formazione.”

Tra i progetti anche assistenza agli orfani delle vittime di AIDS, supporto ai profughi per creare piccola imprenditoria, assistenza alle donne. “Ma anche 480 posti di lavoro persi per il nostro staff locale, che stiamo cercando di tutelare in ogni modo”, aggiunge Silvestri.

L'impatto sull'ambiente

Una piccola ma significativa parte dei fondi USAID viene spesa per la conservazione della natura. Secondo un rapporto presentato al Congresso degli Stati Uniti lo scorso dicembre, solo per il 2023 l'USAID ha stanziato 375,4 milioni di dollari per progetti sulla biodiversità, finanziando attività diverse come il pattugliamento dei ranger nelle aree protette, il ripristino degli habitat e le operazioni di conservazione delle comunità.

Questi finanziamenti hanno tradizionalmente goduto di un ampio sostegno bipartisan al Congresso e sono stati stanziati attraverso un "earmark per la biodiversità" nella legge annuale di stanziamento per il Dipartimento di stato. 

Molto peggio sarà per il clima. I dati di Carbon Brief dimostrano che l’obliterazione di USAID decimerà i finanziamenti globali per il clima provenienti dal mondo sviluppato, con impatti potenzialmente devastanti sulle nazioni vulnerabili.

L'anno scorso gli Stati Uniti sono stati responsabili di circa 8 dollari su 100 di quelli versati dal mondo ricco ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a ridurre le emissioni di gas serra e far fronte all'impatto di fenomeni meteorologici estremi.

Ben 11 miliardi di finanza climatica mancheranno all’appello nel 2025, proprio nell’anno che si sarebbe dovuto lavorare per lo scale-up delle risorse pubbliche per il clima. Un terzo di questi soldi avrebbero dovuto essere canalizzati attraverso USAID.

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Il futuro della cooperazione?

“Dobbiamo essere orgogliosi che l'Italia abbia un documento di programmazione triennale di cooperazione e che continui a definire la cooperazione allo sviluppo parte della politica estera e un asset portante di questo paese”, commenta Silvestri. “La cooperazione come sistema può essere migliorata ma non deve passare il messaggio che arriva dall’America, che ritrae le iniziative di cooperazione come inutili e secondo cui tutti gli affari esteri devono perseguire solo una mera logica transazionale.”

Per Borja Santos Porras, docente della IE University, “l’Unione Europea potrebbe essere uno degli attori principali nel mitigare l'impatto del ritiro di USAID. Si è impegnata a investire 300 miliardi di euro attraverso il Global Gateway tra il 2021 e il 2027 in settori chiave come la salute, le infrastrutture e la sostenibilità. Il disimpegno degli Stati Uniti rappresenta un'opportunità geostrategica per l'UE di posizionarsi come alternativa affidabile. Tuttavia, la complessità e la burocrazia legate all'attuazione di progetti di partenariato su larga scala potrebbero non generare lo stesso impatto percepito degli aiuti umanitari e allo sviluppo tradizionali, limitandone potenzialmente l'efficacia nel breve periodo.”

Ma al momento i paesi dell'UE e il Regno Unito sembrano più interessati a tagliare la propria spesa per la cooperazione e riconvertirla in spese in armamenti, una situazione potenzialmente catastrofica per i progetti di cooperazione con conseguenze poco gradevoli per gli europei stessi: dall’emergenza di nuove pandemie all’aumento dell’immigrazione dall’africa. “È il momento di chiedersi che tipo di sviluppo vogliamo”, conclude Silvestri. 

In tanti guardano alla Cina, che ha aumentato gli investimenti e la presenza soprattutto in Africa e in America Latina con la Belt and Road Initiative (BRI). Con il ritiro dell'USAID, la Cina potrebbe cogliere l'opportunità di espandere il proprio soft power, estendendo ulteriormente la propria presenza nei paesi emergenti e a basso reddito, offrendo ancora più finanziamenti e assistenza a quelli che prima dipendevano dagli Stati Uniti. La mossa finale? Annunciare di non essere più un paese in via di sviluppo e prendere dentro le Nazioni Unite il posto da tanto tempo occupato da Washington.

 

Questo articolo è realizzato in collaborazione con Oltremare - AICS

 

In copertina: foto di cplbasilisk, via Flickr