L’Italia deve abbracciare una posizione di “neutralità tecnologica” per raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione, valutando “in modo scientifico e non ideologico, anche la fonte nucleare”. Così ha esordito il ministro Gilberto Pichetto Fratin, in audizione il 9 ottobre davanti alle Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive.

L’oggetto della seduta era appunto il ruolo delle tecnologie nucleari nella transizione energetica italiana, tema che il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha ampiamente dimostrato di avere a cuore. L’ultima revisione del PNIEC (il Piano nazionale integrato energia e clima) a luglio e l’istituzione, a settembre 2023, della Piattaforma per il nucleare sostenibile hanno nell’ultimo anno alimentato molte aspettative, e altrettante critiche, circa un eventuale revival dell’atomo in Italia.

Una possibilità su cui il ministro Pichetto sta lavorando alacremente, tanto da aver già formato – come ha annunciato stamattina – un gruppo di esperti per revisionare la legislazione sul tema, con l’obiettivo di “presentare entro fine 2024 una bozza di legge-delega che possa abilitare la produzione da fonte nucleare”. Una legge, insomma, che consentirebbe di superare (bypassare, sarebbe meglio dire) i risultati dei due referendum abrogativi del 1987 e del 2011, puntando sulla maggiore sostenibilità e sicurezza delle nuove tecnologie nucleari rispetto alle centrali di vecchia generazione.

Nuove o vecchie, rimangono tuttavia da sistemare le scorie radioattive presenti sul territorio italiano: una storia che ancora dovrà aspettare per dirsi conclusa, se, come ha precisato il ministro questa mattina, non avremo un Deposito Nazionale operativo prima del 2039.

Neutralità tecnologica e nucleare di ultima generazione

“Siamo dell’idea che una transizione sostenibile, sicura e competitiva possa essere traguardata solo abilitando tutte le tecnologie, sia quelle esistenti che quelle future.” Nella visione di Pichetto Fratin, illustrata di fronte alle Commissioni Ambiente e Attività produttive, la posizione di neutralità tecnologica adottata dall’Italia significa dunque valutare la “produzione di energia da fonti rinnovabili, da gas con cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS), e anche da fonte nucleare”.

Per questo motivo, ha precisato Pichetto, nell’aggiornamento del PNIEC, “oltre all’orizzonte previsto del 2030, abbiamo guardato anche al 2040 e al 2050”. Un orizzonte a lungo termine che si spiega con la volontà di includere l’apporto di tecnologie di frontiera, come gli Small Modular Reactor o SMR (nucleare di III generazione) e gli Advanced Modular Reactor o AMR (IV generazione), che in alcuni casi hanno dimensioni talmente ridotte da essere chiamati “microreattori”.

Su queste tecnologie, ancora agli inizi, punta quindi lo scenario Net-Zero elaborato dalla Piattaforma per il nucleare sostenibile, che prevede l’utilizzo del nucleare, come back-up stabile e prevedibile per le rinnovabili non programmabili, per “una quota tra l’11% e il 22% del totale dell’energia richiesta al 2050” e, aggiunge il ministro, “a un costo stimato di almeno 17 miliardi di euro inferiore al costo dello scenario senza nucleare”.

Agli SMR e AMR si aggiungerebbe poi, “sempre in base ai dati tecnici forniti dalla Piattaforma”, “una piccola quota di energia da fusione a ridosso dell’anno 2050”: una previsione quantomeno ottimista, almeno sentendo quello che dice il direttore del progetto ITER, Pietro Barabaschi, intervistato a maggio da Materia Rinnovabile.

Una legge per il ritorno al nucleare

Per sostenere un eventuale rinascimento atomico italiano serve però un apparato legislativo ad hoc. Visto che, anche se ultimamente si fa finta di non ricordarselo, nel 1987 e poi nel 2011 due referendum abrogativi avevano deciso, e ribadito, il No degli italiani all’energia nucleare. Un falso problema, secondo Pichetto Fratin, che in occasione del G7 Clima Ambiente Energia dello scorso aprile ha liquidato la questione dichiarando che “i referendum che ci sono stati parlavano di un altro tipo di nucleare, un altro prodotto rispetto a quello a cui pensiamo”.

Avanti dunque con la revisione della legislazione sul tema. “A questo scopo – spiega il ministro durante l’audizione – ho dato mandato al professor Guzzetta, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università Tor Vergata di Roma, di coordinare un gruppo di lavoro con l’obiettivo di riordinare la legislazione di settore, definire le proposte legislative e un quadro delle azioni da intraprendere, che tengano conto dello sviluppo delle tecnologie nucleari innovative a livello globale e delle indicazioni delle agenzie internazionali, al fine di consentire la produzione di energia da fonte nucleare sostenibile in Italia.”

Il primo compito del gruppo di esperti sarà quello di “presentare entro la fine del 2024 una bozza di testo per la legge-delega che possa abilitare la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili come SMR, AMR e microreattori”. Il disegno di legge-delega “sarà quindi sottoposto al vaglio parlamentare nei primi mesi del 2025”.

Ma cosa conterrà la legge? “L’idea – spiega Pichetto – è di partire dal Programma nazionale per il nucleare sostenibile, che terrà conto degli esiti della Piattaforma, con cui individuare l’effettivo fabbisogno di energia da fonte nucleare sostenibile a supporto dello sviluppo delle energie rinnovabili, ai fini della decarbonizzazione”. Poi, nell’ambito del libero mercato dell’energia elettrica, “l’iniziativa per la realizzazione ed esercizio di un piccolo reattore o di un microreattore sarà lasciata a dei proponenti che potranno essere privati, pubblici o misti”.

In pratica, chiunque – un’azienda, un distretto industriale, un’acciaieria, un cementificio, ma anche una città o un altro soggetto pubblico – potrà decidere di dotarsi di un piccolo reattore modulare per coprire il proprio fabbisogno di energia, previa presentazione di un’istanza alle autorità competenti, che ne dovranno valutare i requisiti e gli standard di sicurezza. Insomma, si sta immaginando la liberalizzazione del nucleare.

Il Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi: a che punto siamo?

Gli entusiasmi nucleari del ministro Pichetto Fratin si scontrano sempre, tuttavia, con l’annosa questione dei rifiuti radioattivi. Il ministro ha dunque dovuto riferire il 9 ottobre anche sullo stato di avanzamento del processo di individuazione del sito per il Deposito Nazionale, che dovrà riunire in un’unica struttura, con standard di sicurezza decisamente più elevati degli attuali, tutte le scorie nucleari italiane. Comprese quelle ad alta e altissima radioattività, che in teoria, un giorno, dovranno essere stoccate definitivamente in un deposito geologico, ancora ben lungi dall’essere non solo individuato, ma proprio immaginato (motivo per cui, come ha ricordato Pichetto, l’Italia è da anni “in procedura di infrazione con la Commissione europea”).

Ma tornando al Deposito Nazionale: a che punto siamo? Eravamo rimasti alla pubblicazione della CNAI, la Carta nazionale delle aree idonee, ovvero la short list dei 51 siti giudicati adatti alla costruzione del deposito in base ai criteri stabiliti dall’ISIN (l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) e da Sogin (la società pubblica incaricata del decommissioning delle ex centrali italiane).

Ma la CNAI, ha spiegato il ministro, “non può essere considerata definitiva fino al completamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)”, che tra l’altro consentirà nuovamente alle amministrazioni locali di prendere parte al processo decisionale. Solo una volta terminata questa nuova fase di discussioni e valutazioni, Sogin potrà aggiornare la Carta e avviarsi verso la “fase autorizzativa finale, che comprenderà la valutazione di impatto ambientale (VIA) e il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del Deposito Nazionale”.

Quanto tempo occorrerà, allora, prima di veder sistemati i rifiuti radioattivi italiani? “In base alle stime attuali – risponde Pichetto Fratin – ipotizzando che tutte le fasi procedurali vadano a buon fine, si potrà ottenere l'autorizzazione unica per il Deposito Nazionale nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039”. In pratica, servono altri 15 anni.

Tempistiche che potrebbero tuttavia ancora dilatarsi, se non si riuscirà a superare la sindrome Nimby che finora ha paralizzato il processo. È forse per questo che il Ministero e Sogin hanno cominciato a pensare a un piano B. “In parallelo al lavoro per l’individuazione del sito per il Deposito Nazionale – ha rivelato Pichetto – negli ultimi tempi stiamo anche valutando soluzioni alternative, con pari livello di sicurezza, sulle quali stiamo effettuando le opportune analisi preliminari con la Sogin e l’ISIN.”

In Italia sono già dislocati diversi depositi di rifiuti radioattivi, dalla bassissima attività (compresi i rifiuti medicali) fino all’alta attività, incluso il combustibile nucleare esaurito”, ha spiegato il ministro. Si tratta di 100 depositi dislocati in 22 siti in varie regioni, tutti mappati da ISIN. “Spesso si tratta di strutture – prosegue – con le quali il territorio convive da molti anni e che in alcuni casi necessitano semplicemente di un ammodernamento in termini strutturali e tecnologici. L’idea quindi che si sta valutando è quella di ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza di rifiuti radioattivi, anche nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività che lì si trovano per riprocessamento da diversi anni.”

L’idea, va detto, ha qualcosa di salomonico. Ma dopo anni e anni di ricerca, commissioni, consultazioni pubbliche, mappatura di siti possibili, idonei, valutabili e soprattutto dopo le tante parole spese circa la necessità imprescindibile di un deposito unico, suonerebbe un po’ come una debacle.

 

Immagine: Gilberto Pichetto Fratin, sito ufficiale del Governo