Le alluvioni che hanno travolto l’Emilia-Romagna negli ultimi giorni, refrain di una situazione già vista negli ultimi sedici mesi nelle stesse zone critiche, avranno un margine di peggioramento in termini di danni e conseguenze sulle vite umane? La recente analisi pubblicata dal World Weather Attribution non lascia ben sperare. A fronte della tempesta Boris che ha colpito con prepotenza l’Europa centrale a metà settembre, lo studio evidenzia come l’aumento della temperatura globale di 2°C rispetto ai livelli preindustriali causerebbe, secondo i modelli climatici, eventi di pioggia ancora più intensi spalmati su quattro giorni, un aumento del 5% nell’intensità delle precipitazioni e del 50% nella probabilità che questi eventi si verifichino.
Un dato allarmante che richiede misure adeguate a livello strutturale e una risposta tempestiva della politica dal momento che l’asticella temporale per intervenire si accorcia sempre di più. Azioni mirate che esigono però anche un linguaggio appropriato e consapevole. Nonostante i dati e le evidenze scientifiche, la politica continua infatti a utilizzare espressioni alternative alla crisi climatica per descrivere eventi metereologici estremi come l’alluvione che si è abbattuta pochi giorni fa a Traversara, frazione del ravennate tra le più colpite in Romagna, sommersa dal fiume Lamone.
È il caso della conferenza stampa tenutasi a Palazzo Chigi subito dopo l’alluvione, voluta da Nello Musumeci, ministro per la protezione civile e per le politiche del mare. Il termine “crisi climatica” è tra i grandi assenti nel suo discorso, non compare mai se non sublimato da espressioni come “maltempo” e “attacchi di Madre Natura”. Una presa in carico del problema che risulta, quindi, parziale mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, solo pochi giorni prima della tempesta Boris, all’assemblea di Confindustria ha preso nettamente le distanze dal Green Deal europeo definendolo il frutto di un “approccio ideologico”.
L’alluvione in Emilia-Romagna e lo scontro governo-regioni
Una presa di distanza dal “patto verde” si riscontra, tra le righe, nelle stesse parole del ministro Nello Musumeci nella conferenza stampa già citata. L’attenzione del discorso è puntata infatti sui fondi post alluvione gestiti dalla regione Emilia-Romagna a fronte di una logica emergenziale del fenomeno, mentre passa in secondo piano il ritardo di cinque anni sull’attuazione del Piano nazionale sul dissesto idrogeologico, in capo al governo nazionale, appunto.
Le risorse affidate all’Emilia-Romagna sono al centro del discorso di Musumeci, secondo cui sarebbero stati assegnati alla regione, in dieci anni, quasi 600 milioni per la sola “lotta al dissesto idrogeologico”. A fronte di ciò, il ministro ha dichiarato di non essere a conoscenza delle risorse spese fino a oggi dalla regione e nemmeno dei territori più vulnerabili, impedendo al MASE, secondo il ministro, una programmazione di “ulteriori interventi in regime ordinario”.
“Uno sciacallaggio politico” a detta di Irene Priolo, presidente ad interim della regione, in una conferenza stampa che chiarisce il punto di vista dell’Emilia-Romagna. “Le risorse per le regioni sono distruibuite su quattordici anni. I quasi 600 milioni citati dal ministro sono risorse del Ministero dell’ambiente destinate alle regioni per gli interventi sulla difesa del suolo. Tuttavia, di questi, 61 milioni sono fondi del PNRR mentre gli altri sono già stati spesi e rendicontati al MASE per l’85%, dal momento che alcuni cantieri del 2023 sono ancora in corso.”
Il ripristino delle infrastrutture esistenti quali argini, canali e strade sono di competenza delle regioni ma, ricorda Priolo, “non gli interventi strutturali di più ampio respiro come quelli individuati dal piano della ricostruzione, concordato con il commissario Figliuolo”, che non è ancora stato approvato. Secondo la regione, inoltre, i dati e le criticità del territorio sono già descritti in una relazione contenuta nei Piani di bacino approvati dall'Autorità di bacino, emanazione del Ministero dell'ambiente, quindi a disposizione del governo.
Il dibattito interno tra stato e regioni rende ancora più lampante la corsa contro il tempo e le ferite di un paese colpito dalla crisi climatica. Mille persone sono state evacuate negli ultimi giorni dalle case romagnole per le alluvioni nonostante i danni complessivi non siano ancora stati accertati nella loro totalità. Tuttavia, si conoscono bene quelli del maggio 2023, stimati dall’Unione Europea per un valore di 8,5 miliardi oltre alla perdita di 17 vite umane. Danni ingenti che non prospettano uno scenario promettente, considerando l’inevitabilità di frane e alluvioni nel futuro prossimo. Quale sarà, quindi, la risposta dell’Italia per cercare di allentare la morsa del cambiamento climatico?
Polizze catastrofali: la soluzione alla crisi climatica?
Un sistema di polizze assicurative per coprire i danni conseguenti a eventi critici estremi è tra le misure più discusse negli ultimi giorni. L’obbligo assicurativo per tutte le imprese italiane, introdotto dalla Legge Finanziaria 2024, dovrebbe entrare in vigore il primo gennaio 2025 e coprire cinque tipologie di eventi: alluvioni, inondazioni, esondazioni, terremoti e frane. “Lo stato prevedeva in media, ogni anno, 4 miliardi di euro a bilancio per far fronte alle CatNat [polizze catastrofali, ndr], ma la necessità di ridurre il debito pubblico ha spinto il governo verso una misura alternativa basata sull’accordo tra pubblico e privato”, sottolinea a Materia Rinnovabile Pietro Negri, Senior Policy Advisor del Forum per la finanza sostenibile e Segretario generale di AIBA.
Il nuovo decreto, secondo Adolfo Urso, ministro delle imprese e del Made in Italy, segnerà un passo importante per la messa in sicurezza del sistema produttivo italiano. Perplessità emerge invece dalle parole di Emanuele Orsini pronunciate sul palco del convegno inaugurale del CERSAIE a Bologna. Secondo il presidente di Confindustria le “polizze potrebbero diventare un problema” causando una mancanza di investimenti nei territori maggiormente interessati da eventi critici e “desertificando”, così, quelle aree. Come spiega Pietro Negri, “a oggi ci sono 4 milioni e mezzo di imprese da assicurare nel paese: il 5% sono grandi imprese già assicurate, mentre la percentuale restante è rappresentata dalle piccole e medie”.
I costi delle polizze assicurative
I costi delle polizze sono, però, percepite con preoccupazione dalle associazioni dei consumatori. “Piccole e medie imprese avranno delle difficoltà a pagare la polizza e ciò potrebbero causare una loro chiusura definitiva”, spiega a Materia Rinnovabile Laura Pulcini, vicepresidente dell’Associazione per la difesa e l'orientamento dei consumatori (ADOC). Altri paesi europei hanno già implementato invece un sistema di copertura per le catastrofi.
“In Francia, questa tipologia di assicurazione esiste già dal 1982 con un bacino di 45.000 polizze per la copertura del rischio che permette un notevole contenimento dei costi a fronte dell’ampio numero di soggetti coinvolti”, spiega Negri. Un’altra criticità sollevata da ADOC riguarda, poi, il possibile aumento dei costi delle polizze assicurative, come nel caso delle RC auto, e la crescita del fenomeno dell’evasione. Tuttavia, sempre di più, la contezza del rischio è uno dei parametri che viene valutato come requisito necessario per le imprese al fine di ottenere meriti creditizi.
“La Banca d’Italia e l’EBA, Autorità di vigilanza europea delle banche invitano già le banche a inserire nella valutazione del merito di credito delle imprese valutazioni di tipo ambientale”, evidenzia Negri. “La responsabilità sociale d’impresa è diventata una cassetta degli attrezzi per affiancare a valutazioni di tipo finanziario nuovi fattori di valutazione del rischio ESG (ambientale, sociale e di buona governance) che considerano la capacità delle imprese di gestire l’impatto delle catastrofi naturali”.
La questione delle polizze assicurative obbligatorie sulla casa
Un altro tema oggetto del dibattito pubblico corrente, sollevato dal ministro Musumeci, riguarda l’introduzione obbligatoria di polizze per le case a fronte dei rischi dovuti agli eventi metereologici critici i cui danni stimati sono, soltanto in Italia, in 6 miliardi di euro nel 2023. Al momento, solo il 6% delle abitazioni è assicurato, in Italia, contro i rischi di terremoti e alluvioni, ma molte associazioni e sindacati sono preoccupati di fronte alla proposta del ministro.
“Obbligare i proprietari dell case ad assicurarsi significherebbe aumentare le tasse sulla proprietà”, dichiarano i tre presidenti Baccarini, Taverna e Maffey della Consulta interassociativa nazionale FIAIP-FIMAA-ANAMA. “Servono, invece, solide infrastrutture, una più incisiva cultura della prevenzione e incentivi proporzionati al grado di criticità dell’area, che stimolino i proprietari ad assicurarsi contro i rischi ambientali.”
Le polizze assicurative potrebbero essere quindi un palliativo per far fronte ai danni contingenti di eventi metereologici estremi sempre più frequenti e inevitabili, ma non sono sufficienti senza un cambio di paradigma a livello culturale. È necessario, inoltre, tenere conto dell’esistenza di situazioni di rischio e di danno inassicurabili perfino dai privati a cui serve una risposta nazionale e incisiva rivolta alla cura del territorio, che non dimentichi la necessità di strategie di adattamento, prima che sia troppo tardi.
In copertina: una foto dalle alluvioni in Emilia-Romagna del maggio 2023 © European Union, 2023