Se l’energia nucleare sta oggi vivendo un grande ritorno nel dibattito pubblico italiano, non con lo stesso zelo viene però affrontata l’annosa questione della gestione dei rifiuti radioattivi. Da anni si cerca faticosamente di individuare un sito per realizzare un Deposito Nazionale (il cui iter è al momento fermo al Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza energetica), e intanto scorie di varia tipologia, origine e pericolosità sono stoccate in impianti temporanei in giro per l’Italia.
Quanti e dove si trovano esattamente i rifiuti radioattivi italiani lo calcola ogni anno l’ISIN, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, che ha pubblicato nei giorni scorsi l’Inventario aggiornato al dicembre 2022.
Due sono i dati principali. Il primo riguarda il volume totale dei rifiuti, che ammonta a più di 31.000 metri cubi, distribuiti in 8 regioni. Il secondo, più importante, è quello relativo all’attività (leggasi radioattività) di rifiuti e combustibile nucleare esausto, che corrisponde in totale a oltre 36 milioni di GBq (Gigabecquerel), di cui quasi l’80% si trova in Piemonte.
Cosa c’è nell’inventario ISIN dei rifiuti radioattivi
Quelli prodotti dall'ISIN non sono in realtà dati nuovi, dal momento che l'Inventario viene aggiornato e pubblicato ogni anno con variazioni minime, vista l’assenza in Italia di centrali nucleari operative.
Il documento viene elaborato con dati relativi ai volumi, alla massa, allo stato fisico e alle condizioni di stoccaggio dei rifiuti, e naturalmente con le stime della radioattività e del contenuto radionuclidico (un radionuclide è un nuclide instabile che nel processo di decadimento produce, appunto, radiazioni). Sono compresi nel conteggio sia le scorie strettamente definite rifiuti radioattivi (cioè materiali in forma solida, liquida o gassosa per cui non è previsto nessun ulteriore utilizzo o riciclo), sia il combustibile nucleare esausto proveniente dagli ex reattori in via di smantellamento che le sorgenti radioattive dismesse usate in alcuni processi industriali, specialmente in metallurgia.
I dati sono comunicati all’ISIN dai vari operatori che gestiscono i rifiuti radioattivi in Italia: principalmente Sogin (la società pubblica che gestisce il decommissioning delle ex centrali), ENEA e il Deposito Avogadro di Saluggia. Quest’anno per la prima volta è stato utilizzato il nuovo Sistema per la tracciabilità di rifiuti, materiali e sorgenti STRIMS, operativo dal febbraio 2022.
Quanti sono i rifiuti radioattivi in Italia?
Veniamo dunque alle quantità. Secondo i dati raccolti dall’ISIN e aggiornati al 31 dicembre 2022, i rifiuti radioattivi stoccati presso depositi temporanei in Italia ammontano a 31.159 metri cubi di materiale. Per fare un paragone, in Francia, dove sono presenti 56 centrali nucleari in attività, nel 2021 si stimavano 1,8 milioni di metri cubi di scorie.
Il volume dei rifiuti italiani è comunque leggermente diminuito rispetto all’anno precedente, registrando circa 653 metri cubi in meno. “Un calo – precisano i tecnici dell’ISIN – non dovuto alla minore produzione di rifiuti ‘civili’, cioè medici e industriali, bensì alle attività di trattamento e condizionamento dei rifiuti radioattivi che hanno comportato una riduzione del volume”.
Fonte: Inventario ISIN 2023
Dove sono i depositi temporanei?
Questi 31.000 metri cubi di scorie non sono ovviamente sparsi in tutta Italia, ma sono concentrati e stoccati in una ventina di depositi che si trovano perlopiù in corrispondenza delle ex centrali nucleari e di alcuni reattori di ricerca dell’ENEA, in 8 regioni. I depositi, è bene ribadirlo, sono temporanei, dal momento che l’obiettivo per cui si sta lavorando è la realizzazione di un Deposito Nazionale, dove raccogliere definitivamente tutti i rifiuti radioattivi in condizioni di idoneità e sicurezza migliori di quelle attuali.
L’inventario ISIN riporta per ogni regione la precisa quantità di rifiuti radioattivi presente sul territorio: al primo posto c’è il Lazio con 9.591 m3 (30,78% del totale nazionale), seguito da Lombardia (6.462 m3), Piemonte (5.923 m3), Basilicata (3.857 m3), Campania (2.495 m3), Emilia Romagna (1.167 m3) e Toscana (1.038 m3) e infine Puglia, con 625 m3 di rifiuti radioattivi detenuti.
Quanto sono radioattivi i rifiuti radioattivi italiani?
Quando si parla di nucleare, tuttavia, le dimensioni non sono così importanti. Se le migliaia di metri cubi di scorie possono fare una certa impressione, sono in realtà i rifiuti meno ingombranti, o di misura addirittura irrilevante, a dover preoccupare di più.
Ce lo spiega l’ingegner Mario Dionisi, responsabile dell’aggiornamento dell’Inventario ISIN. “Innanzitutto – dice - nel conto di quei 31.000 metri cubi non rientrano le cosiddette sorgenti dismesse, che sono in genere di dimensioni molto ridotte, come pastiglie. Sono sorgenti di radiazioni utilizzate in vari processi industriali, che a un certo punto, per decadimento, non sono più utili e quindi vengono ritirate e cementate”.
“Neanche il combustibile nucleare irraggiato e rimosso dai reattori – continua - è conteggiato nel volume. Si tratta in genere di aste che contengono uranio irraggiato e vengono tenute al sicuro in particolari piscine”.
Fonte: Inventario ISIN 2023
È dunque proprio il combustibile nucleare esausto proveniente dalle ex centrali che, nonostante il volume ridotto, genera la maggior quantità di radiazioni.
L’ISIN ha fatto i calcoli. Se i 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di cui al paragrafo precedente presentano un’attività totale pari a 2.726.354 Gbq, le sorgenti radioattive dismesse generano altri 860.501 Gbq, mentre l’attività del combustibile nucleare irraggiato è pari a 32.425.500 Gbq. Significa che, in totale, rifiuti radioattivi, sorgenti dismesse e combustibile nucleare esausto hanno un’attività pari a oltre 36 milioni Gbq.
Anche in questo caso il rapporto presenta una “classifica” delle regioni, con il Piemonte che stacca di gran lunga tutte le altre con il 79,7% della radioattività totale presente sul suo territorio.
Va detto, tuttavia, che attualmente il 99% del combustibile nucleare esausto è fuori dall’Italia e si trova in Francia e nel Regno Unito per essere riprocessato. “Significa – precisa Dionisi - che il combustibile viene sciolto per estrarre uranio e plutonio ancora utilizzabili e il residuo viene vetrificato. Poi però tornerà in Italia, ridotto in termini di volume ma sempre molto radioattivo. Questo tipo di rifiuti – conclude - dovrebbe poi essere stoccato definitivamente non nel Deposito Nazionale, ma in un deposito geologico”. Una struttura, cioè, adatta a custodirli per migliaia di anni, come quelle realizzate a centinaia di metri sottoterra in Finlandia e Svezia: un progetto di cui però in Italia non si è neanche iniziato a parlare.
Immagine: Envato Elements