Le comunità energetiche rappresentano una rivoluzione dei paradigmi di gestione dell’energia. Ma secondo Sergio Olivero, Head of Business & Finance Innovation all’Energy Center del Politecnico di Torino − think tank che supporta le autorità locali, nazionali e transnazionali su politiche e tecnologie energetiche da adottare − devono essere pensate in grande per creare davvero valore. Dopo il definitivo recepimento della direttiva europea RED-II, le CER (Comunità energetiche rinnovabili) possono assumere un’altra dimensione, orientata verso un modello di business più solido e appetibile.

“La normativa provvisoria di recepimento della direttiva RED II (Renewable Energy Directive II), del 2020, prevedeva che le CER fossero delle piccole realtà, soggetti giuridici di diritto autonomo ma con area limitata alla cabina secondaria. Così è nato il mito della CER di quartiere, piccola e bella”, spiega a Materia Rinnovabile Sergio Olivero.

Cosa non va nelle CER a misura di quartiere?

In quel periodo hanno avuto un ruolo importante per creare consapevolezza e abilitare la narrazione circa la rilevanza della natura mutualistica e dell’impatto sociale, e così sono partiti finanziamenti a opera di vari soggetti pubblici e privati, che si sono innamorati delle CER di piccola taglia. Con tanti che parlavano di 2.000, 5.000 CER. Ho sentito i numeri più strani.

E con il recepimento definitivo della direttiva cosa è cambiato?

Il Decreto ministeriale del 24 gennaio apre alle CER di cabina primaria, con l'incentivo che viene maturato all'interno del perimetro della cabina primaria di distribuzione. Un soggetto quindi più grande, ma pur sempre limitato nelle potenzialità di sviluppo e con il rischio di non riuscire a coprire i costi di gestione. Siccome la normativa prevede che l'energia possa essere condivisa a livello di zone di mercato (ZM), le CER sono soggetti giuridici che possono coordinare più Configurazioni di autoconsumo (CAU) all'interno delle ZM. Cioè in pratica si può fare una “Super CER” che ha dentro tante CAU. Il risultato è che si fa un solo atto, si va da un solo avvocato, si incarica un solo commercialista, si fa un unico contratto con il provider di una piattaforma di gestione, ecc.

E si minimizzano i costi?

Non ha più senso fare comunità energetiche piccole. Costituire CER “grandi” non solo riduce i costi ma permette di massimizzare anche i ritorni dall’investimento. Ecco perché non credo sia significativo chiedersi quante CER ci sono in Italia. Bisogna domandarsi il numero delle Configurazioni di autoconsumo (CAU). Minori sono i costi, maggiori saranno le risorse che torneranno nel territorio in una logica mutualistica.

Quali sono le prospettive di questo modello?

Le due Direttive europee sulle comunità energetiche (2018/2001 e 2019/944) hanno l’obiettivo di “mettere il cittadino al centro”, attraverso la promozione dell’autoconsumo e una serie di servizi (es. di flessibilità), creando le premesse per una “disintermediazione” nella gestione dei sistemi energetici territoriali: grazie anche a piattaforme digitali con intelligenza artificiale, si potranno creare vere e proprie utility energetiche virtuali con bassissimi costi di gestione ed elevatissima redditività.

Che tipo di ritorno dell’investimento è auspicabile?

Prendiamo per esempio una CER ben bilanciata da 1 megawatt, che costa dai 700.000 al milione di euro. L’impianto può generare non solo ricavi per la vendita di energia alla rete ma anche incentivi dell’ordine di grandezza del centinaio di migliaia di euro. Inoltre la quota di incentivo associata all'energia condivisa superiore al 55% deve andare a finalità sociali: quindi quel megawatt produce decine di migliaia di euro all'anno per vent'anni da reinvestire sul territorio. Sono tanti soldi.

Sono premesse che suscitano interesse anche a banche e gruppi di investimento?

Chi investe in un impianto fotovoltaico che entra in una CER di grandi dimensioni e ben bilanciata accorcia i tempi di ritorno dell'investimento di un paio d'anni. Se poi quello stesso impianto si trova in un comune sotto i 5.000 abitanti si ottiene il 40% di contributo a fondo perduto e i tempi di ritorno si accorciano ulteriormente. Se la CER è abbastanza grande, aggregando impianti per un totale di alcuni megawatt, c’è letteralmente la fila di investitori con grande liquidità.

E gli incentivi che ruolo anno?

Guardi, ho visto grandi investitori disposti a rinunciare agli incentivi: come conseguenza dei vincoli derivanti dai bilanci di sostenibilità e dagli indicatori ESG, il fatto che il loro investimento abbia un impatto sociale misurabile positivo sul territorio crea premialità sul credito, consentendogli di pagare meno il denaro. Paradossalmente conviene investire anche rinunciando all’incentivo.

Per quanto riguarda la governance, quali sono le maggiori criticità?

La CER deve essere aperta perché è un’azienda inclusiva con finalità mutualistiche. Però bisogna trovare delle soluzioni che siano governabili, nel senso che non introducano eccessivi rischi per l'investitore. Per esempio le associazioni non vanno bene, rischiano di creare quell’effetto “condominio” che non garantisce una buona governance. Io credo che una buona CER parta dalle imprese e poi includa gradualmente i cittadini.

Tra i modelli di business ci sono anche i servizi di flessibilità. Che cosa sono?

Si tratta di un servizio per cui si mette a disposizione della rete un impianto in caso di necessità. Per la disponibilità si viene pagati una tariffa flat aggiuntiva (es. 150 euro/MWh) e poi, quando viene richiesta l’energia, si viene retribuiti con prezzi derivanti da aste che possono superare i 1.000 euro/MWh. Si tratta di un modello nel quale l’aggregazione può essere assicurata dalle comunità energetiche che, visto il loro carattere mutualistico, devono distribuire sul territorio l’extraprofitto.

Quali sono gli ingredienti giusti per un progetto CER vincente?

Servono innanzitutto gruppi di imprenditori visionari che hanno capito che le Comunità energetiche possono conciliare redditività e mutualità. Poi dei sindaci, intesi come persone elette e stimate dal territorio, che creano un ambiente favorevole e operano come catalizzatori di relazioni e creatori della narrazione. È una vera rivoluzione nelle dinamiche dei paradigmi di gestione dell'energia. Il meccanismo va messo in moto dalle imprese ma è essenziale che mantenga un radicamento bottom-up che vede un ruolo centrale di cittadini ed enti locali.

 

Immagine: Sergio Olivero