Dal 25 al 27 febbraio le nazioni firmatarie del Global Biodiversity Framework (GBF) si danno appuntamento a Roma per COP16 bis. Lo scopo? Mobilizzare risorse finanziarie necessarie per la protezione e rigenerazione della natura, con l’obiettivo di creare una roadmap che smuova almeno 200 miliardi di dollari l’anno al 2030 e dismetta fino a 500 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi. Meno discusso dai media è il framework di rendicontazione e verifica dei NBSAP, i piani nazionali con le strategie per proteggere aree naturali terrestri e marine e rigenerare gli ecosistemi danneggiati dall’attività umana richiesti dal GBF.
Uno degli obiettivi del GBF è proteggere "il 30% delle terre e dei mari del mondo" entro la fine del decennio. Questo impegno denominato "30 by 30", però, a cinque anni dalla fine del decennio è ampiamente disatteso.
Secondo un’analisi redatta de Carbon Brief su tutti gli NBSAPs (le strategie e piani d’azione) e dei piani nazionali di tutela e rigenerazione della natura, 70 dei 137 paesi (più della metà) non si impegnano a raggiungere il "30 by 30" all'interno dei propri confini. Nei documenti si individuano cifre inferiori o non delineano nessun target numerico.
I paesi in ritardo sulla biodiversità
La lista dei paesi che non si allineano agli obiettivi del Global Biodiversity Framework, noto anche come Accordo di Kunming-Montreal, include alcune delle nazioni più biodiverse del pianeta, come Indonesia, Perù e Sudafrica, oltre a paesi sviluppati come Finlandia, Norvegia e Svizzera. Nella lista di chi non ha fatto i compiti a casa anche Russia, Turchia, Slovenia e la triade della COP del clima, Azerbaijan, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
Sono 21 i paesi che non hanno fornito un obiettivo numerico per la protezione della propria area terrestre, mentre 26 hanno fissato obiettivi di protezione del territorio inferiori al 30% e 8 hanno fissato obiettivi di protezione del territorio pari o superiori al 30% ma obiettivi di protezione del mare inferiori al 30%.
Al 24 febbraio 2025, sono 44 i paesi, più l’Unione Europea, che hanno presentato alla CBD, la Convenzione ONU per la Biodiversità, i NBSAPs, mentre 124 Parti hanno pubblicato i soli piani nazionali. Circa l'85% dei paesi non ha rispettato la scadenza per la presentazione dei propri NBSAP. Gli Stati Uniti non sono firmatari del GBF ma hanno un piano federale di tutela di almeno il 30% del territorio americano realizzato da Joe Biden. Piano che ovviamente Donald Trump ha promesso di smantellare (e ha già licenziato 2.300 ranger dei parchi nazionali).
Non mancano le critiche di molti paesi che definisco gli obiettivi "estremamente impegnativi" da raggiungere, e che ritengono che per molti paesi in via di sviluppo si tratti di oneri non facilmente sopportabili, che limitano lo sviluppo. Non solo: la finanza per la biodiversità dovrebbe proprio servire anche per formare le competenze necessarie per la redazione e l’implementazione dei NBSAP.
Un processo non facile
Però è oggettivo: il grave ritardo e lo scarso interesse politico e mediatico intorno alla COP Biodiversità mostra la difficoltà di tenere vivo il processo e raggiungere almeno una parte dei 23 obiettivi del GBF.
“Le Strategie e i Piani nazionali per la biodiversità (NBSAPs) non sono solo dichiarazioni di intenti, ma uno strumento essenziale per valorizzare la tutela della biodiversità nei piani di sviluppo nazionali”, ha commentato Alessandra Prampolini, direttrice generale del WWF Italia. “La definizione di target chiari per raggiungere l’obiettivo 30 by 30 è indispensabile per tutelare la biodiversità e al contempo creare le condizioni adeguate allo sviluppo delle comunità locali attraverso un loro attivo coinvolgimento nella governance delle aree protette e delle risorse naturali che ospitano.”
Raggiungere questo traguardo è indispensabile anche nei paesi in via di sviluppo, dove gli effetti della perdita di biodiversità generati dal cambiamento climatico sono sempre più gravi e allarmanti. “Canalizzare e aumentare i finanziamenti internazionali per la biodiversità verso questi paesi e le comunità indigene è essenziale per arginare lo squilibrio nel controllo delle risorse e dei territori tra Nord e Sud del mondo, e limitare i conseguenti impatti sociali”, continua Prampolini.
Alla COP16 bis si discuterà di come mobilitare queste risorse: il Global Biodiversity Framework prevede di smuovere almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 per tutelare la biodiversità nei paesi in via di sviluppo e siamo lontanissimi da questo obiettivo, che scade proprio quest’anno. “L’Italia può e deve fare di più: a oggi il nostro paese copre solo il 34% della sua fair share [giusta quota, nda] per raggiungere questo obiettivo. Per creare un rapporto effettivamente paritario con il Sud globale e il continente africano, come auspicato dal governo, occorre mettere la biodiversità al centro dell’agenda diplomatica del nostro paese”, conclude la direttrice.
In copertina: immagine Envato