Scomparso in piena vista. A meno di una settimana dalla COP16 bis, seconda e ultima parte del negoziato ONU sulla biodiversità, che si terrà a Roma dal 25 al 27 febbraio, non un comunicato stampa, non un invito a un evento, un messaggio per una mobilitazione. Niente post di influencer, riflessioni in eventi dedicati, incontri in Parlamento, ma nemmeno al circolo ecologista di periferia.

Da Ultima Generazione alle imprese che dipendono dalla biodiversità, dalle organizzazioni ambientaliste storiche alle nuove società di consulenza fino alla politica e alla società civile – con alcune sparute eccezioni – nessun richiamo all’azione per portare il tema della tutela e rigenerazione della natura al centro dell’agenda politica, quanto meno nazionale.

Eppure in questa sede si discuterà di come movimentare le risorse per sostenere gli obiettivi del Global Biodiversity Framework, il piano 2030 per tutelare la natura e ridurre il degrado degli ecosistemi. L’obiettivo è arrivare a mobilitare almeno 200 miliardi di dollari l'anno entro la fine del decennio, in iniziative a favore della biodiversità, specie nei paesi meno sviluppati, insieme a una manovra per ridurre gli incentivi ambientalmente dannosi per almeno 500 miliardi di dollari l’anno. Non solo: a fine 2025 si dovrà aver già mobilizzato almeno 20 miliardi da parte dei paesi industrializzati (e anche qua gli USA sono esclusi).

Non capita spesso che un negoziato ONU faccia tappa in Italia (anche se ufficialmente è dentro la sede ONU della FAO) e con il suo carrozzone di diplomatici, giornalisti, esperti e attivisti. Certo l’attenzione è minore rispetto alla COP16 di Cali, ma proprio per questo è responsabilità del mondo civico, della scienza e del mondo delle imprese, italiane in primis, creare attenzione sul negoziato, sull’importanza del Global Biodiversity Framework (oscuro alla stragrande maggioranza degli italiani) e in generale sulla sfida di proteggere la natura patria, tra i disastri dell’overtourism, della cementificazione e del bracconaggio sempre più indiscriminati.

In un momento storico di attacco alla natura e alla transizione ecologica, con l’amministrazione Trump (già non firmataria del Biodiversity Framework) che ha deciso di azzerare i fondi per i progetti di conservazione di specie protette in tutto il mondo tramite USAID, la società civile italiana avrebbe potuto dare una testimonianza importante. E invece nulla.

Fonte di grave preoccupazione è il silenzio del mondo antispecista, animalista e vegan, che oltre alla praxis localistica (dalla cucina vegana al sostegno di canili e gattili), dovrebbe impegnarsi politicamente, attivamente anche a scala nazionale e internazionale e diventare organizzatore di iniziative sul territorio e tra territori. Anche se questa richiesta la vedo esigere, con visione, da manipoli sparuti di attivisti e attiviste.

Ma duole constatare l’assenza dei movimenti per il clima, che sembrano dimenticare che la biodiversità è il fondamento della lotta climatica. Senza natura in salute non c’è né mitigazione né adattamento ai cambiamenti climatici. Non si può lottare per il clima se non si porta testimonianza anche ai negoziati per la biodiversità.

Non credo sia finito il clamore dell’attivismo per l’ambiente e la partecipazione in massa ai grandi negoziati internazionali. Certo, è forte il fenomeno del riflusso, quello sociale, di chi si sente sconfitto e torna al proprio milieu, nella propria stanzetta, soverchiato dall’onda restauratrice anti Green Deal.

Ma il business as usual, richiesto battendo forte sul tamburo della propaganda, come ci ricorda anche Naomi Oreskes, è un fenomeno che va combattuto, dato che rischia di spianare praterie per l’anarcocapitalismo, per la deregolamentazione ambientale, per la restaurazione dello status quo fossile. Riportando l’orologio della transizione agli anni Ottanta di Thatcher, di Reagan, di Craxi. Non possiamo permetterci nulla di tutto ciò. COP16 bis inizia il 25 febbraio: abbiamo una settimana per organizzarci e far sentire la nostra voce per la tutela della natura. E per ridare forza all’istituzione delle Nazioni Unite, che più di tutte sono sotto attacco dall’America e della alt-right globale.

 

In copertina: Guernica di Pablo Picasso, foto di Magall via Flickr