Proteggere il 30% delle terre, degli oceani, delle zone costiere e delle acque della Terra, ridurre di 500 miliardi di dollari annuali i sussidi governativi dannosi per la natura, dare più diritti alle comunità indigene nella tutela della natura. Dimezzare gli sprechi alimentari e ridurre il rischio dei fertilizzanti. Rigenerare almeno il 30% degli ecosistemi degradati. Mobilitare risorse pubbliche e private per almeno 200 miliardi l’anno entro il 2030.
Si conclude con un risultato importante la 15a Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica o COP15. È stato adottato il "Quadro Globale per la Biodiversità Kunming-Montreal" (GBF), un accordo che comprende quattro obiettivi e 23 traguardi (target) da raggiungere entro il 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità.
L’Accordo Kunming-Montreal, un risultato storico per la difesa della biodiversità
L’Accordo Kunming-Montreal è il primo accordo globale di ampio respiro per garantire la stabilità dei servizi ecosistemici fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo economico, la tutela della natura (almeno il 30% di aree protette entro il 2030) e la lotta contro il cambiamento climatico. È un nuovo argine contro la crisi ambientale planetaria.
Per cercare un compromesso rapido la presidenza cinese ha spinto per un accodo storico ma con qualche annacquamento sugli impegni e impatti del mondo industriale, su pesticidi e sui meccanismi di verifica. Sono però tanti gli impegni ambiziosi, c’è una struttura finanziaria adeguata e non mancano alcune pietre miliari, come il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e locali sull’autodeterminazione nella gestione delle risorse naturali.
“Il Global Biodiversity Framework deve essere il trampolino di lancio per l'azione dei governi, delle imprese e della società per la transizione verso un mondo positivo per la natura, a sostegno dell'azione per il clima e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile", ha dichiarato Marco Lambertini, Direttore Generale WWF International.
Risorse per la biodiversità e sussidi dannosi
Sull’elemento più difficile da negoziare – le risorse economiche – è stato raggiunto il compromesso nella notte di domenica, grazie all’azione della presidenza cinese, ben accolta dall’Unione Europea e dagli altri Paesi industrializzati, dopo giorni di stallo da parte dei Paesi in via di sviluppo, in particolare Brasile, Indonesia e India che chiedevano più soldi e un nuovo fondo.
Innanzitutto con il Global Biodiversity Framework si dovranno eliminare gradualmente o riformare entro il 2030 i sussidi che danneggiano la biodiversità per un valore di 500 miliardi di dollari all'anno, aumentando nel contempo gli incentivi positivi per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità (Target 18). Questa menzione specifica in un accordo ONU crea un precedente e apre inoltre la strada all’inclusione dei sussidi alle fonti fossili nel prossimo negoziato sul clima, COP28, dove non ci saranno più scuse. Toccherà ai singoli stati intervenire per eliminare questi sussidi, ma anche ai consessi di gestione degli accordi commerciali, tipo Nafta, e soprattutto alla WTO, l’organizzazione mondiale del commercio che ha già eliminato lo scorso anno i sussidi per la pesca indiscriminata (overfishing).
Ampio spazio al tema delle risorse (Target 19). Entro la fine del decennio si dovranno investire almeno 200 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti nazionali e internazionali relativi alla biodiversità provenienti da pubblico e privato. Servirà sostenere i Paesi meno sviluppati e gli stati insulari con almeno 20 miliardi di dollari all'anno entro il 2025 e 30 miliardi all'anno entro il 2030 utilizzando un nuovo Fondo per la Biodiversità che dovrà essere pronto il prossimo anno all’interno del Global Environmental Fund (GEF), un’istituzione che da decenni sostiene investimenti su clima e natura canalizzando risorse dai Paesi OCSE.
“Sono onorato che la Conferenza delle Parti abbia chiesto al GEF di istituire quanto prima un Fondo globale per la biodiversità”, commenta Carlos Manuel Rodriguez, amministratore esecutivo del GEF. “La decisione include anche una serie di elementi importanti sull'accesso, l'adeguatezza, la prevedibilità, la governance equa e il finanziamento da una molteplicità di fonti”. L’Europa ha già impegnato circa 7 miliardi di euro per i prossimi tre anni. Germania e Francia tra i principali donatori, non pervenuta l’Italia. Ma la viceministra Vannia Gava, intervistata da Materia Rinnovabile, promette che “l’Italia si è impegnata a mobilitare risorse. C’è bisogno che tutte le parti insieme si impegnino a farlo. Oggi abbiamo l’occasione unica di investire sulla salute del nostro pianeta e di mettere le persone e la natura al centro della nostra agenda politica. Attraverso il Global Biodiversity Framework tutti ci impegniamo concretamente contro la degradazione dell’ecosistema, nella tutela delle specie in estinzione e a dare origine ad azioni trasformative che integrino la biodiversità in tutti i settori. In questo contesto, le soluzioni Nature-based per la mitigazione del cambiamento climatico e l’adattamento sono cruciali, così come la conservazione e il restauro delle biodiversità marine e delle coste".
Gli obiettivi di conservazione della natura
Le risorse economiche messe sul tavolo serviranno per realizzare gli obiettivi di conservazione, rigenerazione e riduzione dell’impronta ambientale a livello globale secondo i 23 target del Global Biodiversity Framework. Nei prossimi 7 anni tutti i Paesi firmatari dovranno impegnarsi, Italia inclusa, per tutelare superfici crescenti, in maniera intelligente fino al 30% entro la fine del decennio: nuovi parchi e aree marine, ma che includano anche attività umane benché sostenibili; stop a consumo di suolo per la cementificazione e devastazioni inutili; stop alla deforestazione, principale driver congiunto di perdita di biodiversità. La tutela della biodiversità e la rigenerazione degli ecosistemi degradati saranno sostenuti anche con nuovi strumenti economici, come green bond e biodiversity credits e saranno favoriti i progetti che coniugano adattamento e mitigazione climatica, secondo gli obiettivi del Global Biodiversity Framework.
Sulla rigenerazione degli ecosistemi degradati il testo include un obiettivo importante: bisognerà completare o essere sulla strada del ripristino del 30% degli ecosistemi terrestri, acquatici e marini degradati. Un messaggio importantissimo per chi gestisce patrimoni fondiari, come le grandi aziende dell’agribusiness, e patrimoni immobiliari di grandi dimensioni, come il Demanio.
Delusione invece sulla riduzione dell’impronta ambientale del mondo economico. Senza un target specifico, azioni di riduzione dell’impronta ecologica di produzione e consumo – uno dei principali fattori di degrado ambientale – dovranno essere adottate a livello nazionale. “Senza impegni nazionali in questo settore i target dell’accordo non saranno sufficienti a raggiungere l’obiettivo lodevole di arrestare ed invertire la perdita di biodiversità entro il 2030”, commenta Lambertini.
Male anche sul tema della riduzione pesticidi, per i quali invece di una graduale eliminazione si dovrà “ridurre il rischio complessivo” (è stata l’India ad opporsi), riducendo di almeno la metà l’uso di sostanze chimiche pericolose. La battaglia per tutelare gli impollinatori rimane aperta.
Confermati invece gli altri obiettivi di conservazione. Si dovrà prevenire l'introduzione di specie esotiche invasive prioritarie e ridurre di almeno la metà l'introduzione e l'insediamento di altre specie esotiche invasive note o potenziali ed eradicare o controllare le specie esotiche invasive su isole e altri siti prioritari (Target 6); servirà porre attenzione all’uso e commercio per le specie selvatiche, in particolare per la riduzione dello spill-over di patogeni, come ci ha insegnato il Sars-CoV2 (Target 5), aumentare in modo significativo l'area, la qualità e la connettività, l'accesso e i benefici degli spazi verdi e blu nelle aree urbane e densamente popolate in modo sostenibile, integrando la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità e garantire una pianificazione urbana che includa la biodiversità (Target 12).
Biodiversità, cosa cambia per le imprese
L’Accordo di Montreal-Kunming pone una nuova pressione sui governi ma anche sul mondo delle imprese. Gli stati infatti (Target 15) dovranno “adottare misure per incoraggiare e consentire che le grandi società e le istituzioni finanziarie possano monitorare, valutare e divulgare regolarmente i loro rischi, le dipendenze e gli impatti sulla biodiversità”, oltre che rendere disponibili informazioni sugli impatti per i consumatori e dare informazioni sulle risorse genetiche impiegate.
Sul Target 15, “i Paesi hanno lanciato un messaggio chiaro alle grandi imprese e alle istituzioni finanziarie: preparatevi a stimare, valutare e divulgare i vostri rischi, dipendenze e impatti sulla biodiversità, al più tardi entro il 2030. Lo status quo, business–as–usual, non è più possibile”, commenta Stefania Avanzini, Direttrice OP2B, coalizione che raduna quasi 30 multinazionali Europee. Salta dal testo il termine “mandatory”, obbligatorio. Questo avrebbe davvero dato una grande accelerazione nei settori agroalimentari e minerario, sarebbe stata una svolta copernicana chiedere agli stati disclosure obbligatorie sugli impatti ambientali delle aziende, rendendo perfettamente maturo il mercato finanziari.
C’è poi il vaso di pandora del colonialismo genetico, ovvero lo sfruttamento della ricchezza naturale e diversità genetica di quei Paesi meno industrializzati e che hanno grande patrimonio di biodiviersità da parte delle multinazionali e dei Paesi industrializzati. Finalmente il GBF apre un processo su quello che i tecnici chiamano DSI, Digital Sequencing Information: sarà creato un fondo, da finalizzassi entro il prossimo negoziato ad Antalya, nel 2024, che raccolga le risorse derivanti dallo sfruttamento di animali e piante dei Paesi poveri da parte delle multinazionali della genetica, della cosmetica e medicina. Anche questo è un successo: solo due anni fa sembrava impossibile persino parlarne. Vedremo che tipo di accordo si troverà nei prossimi due anni.
Come monitorare i progressi?
Sarebbe servito un meccanismo di crescita incrementale degli impegni (ratchet-up), più risorse, più ambizione sul tema dei diritti. Ma il vero problema ora è l’implementazione e la verifica degli impegni, la parte più difficile.
I sistemi di reporting all’interno del Global Biodiversity Framework sono obbligatori ma non particolarmente stringenti. È stato fornito un nuovo sistema di raccolta dati, che sarà combinato con la ricerca scientifica indipendente, da svolgersi ogni 5 anni o meno. Spetterà poi alla Convenzione sulla Biodiversità mettere insieme i report nazionali e analizzare i trend globali in due appuntamenti distinti: 2026 e 2029, momento della verità per capire se i Paesi stanno facendo la loro parte o hanno deciso di ignorare lo storico accordo. A quel punto toccherà alla società civile e alle imprese fare pressione affinché i governi mantengano le promesse.
Biodiversità e diritti umani
Nonostante le opposizioni di Russia e Arabia saudita, il testo finale, sotto la presidenza cinese, ha soddisfatto gli osservatori interessati ai diritti umani (con buona pace di chi criticava il processo come dannoso nei confronti delle comunità indigene). Il testo del Global Biodiversity Framework richiede di garantire la parità di genere nell'attuazione del quadro attraverso un approccio attento al genere in cui tutte le donne e le ragazze abbiano pari opportunità e capacità di contribuire ai tre obiettivi della Convenzione (Mosca si era opposta a questa menzione).
Grande soddisfazione da parte delle comunità indigene, dato che viene ribadita la piena rappresentatività, partecipazione e condivisione delle informazioni legate alla biodiversità (leggasi partecipazione al meccanismo di DSI), il pieno diritto sulle proprie terre, e garantire la piena protezione dei difensori dei diritti umani e ambientali. Per Pechino mettere la propria firma su un accordo così non è da poco. Vedremo se aprirà spiragli di miglioramento anche a livello domestico
Come inquadrare il Global Biodiversity Frameowork
Mentre Guardian, Le Monde, Die Zeit, NYT hanno tutti in prima pagina questa notizia, in Italia anche i media di settore hanno dato minima copertura al tema. Assente il Ministro e in generale il mondo associativo ha creato poca attenzione sulla questione. Ma il GBF avrà diramazioni importanti sulla politica nazionale e locale, sul mondo delle imprese e sulla società civile. Sia sottoforma di direttive europee (il Commissario per l’ambiente EU Virginijus Sinkevičius ha giocato un ruolo di primo piano, presente fino all’ultimo al negoziato), sia come iniziative nazionali o locali che vedranno un chiaro mandato internazionale (vi immaginate una moratoria sui nuovi impianti sciistici sulle Alpi con milioni di firmatari?). La disclosure da parte delle aziende è una certezza, un processo inarrestabile, guidato dal mondo della finanza internazionale e allo stesso tempo dalle Ong. Motivazioni diverse ma stesso fine.
Insomma c’è tanto sul piatto, tanto da digerire e ancora di più sarà da comprendere quali diramazioni questo grande Accordo sulla biodiversità avrà sulla natura, sul mondo economico e politico. Il mandato c’è ed è chiaro. Società civile e imprese sono pronte a battersi per difenderlo. Ma senza attenzione politica, il rischio di vedere ripetere il fallimento degli Aichi Target, gli obiettivi del decennio 2010-2020, è alto. Mentre a Buenos Aires scemano gli ultimi caroselli della World Cup, i festeggiamenti a Montreal, sono solo l’inizio del mondiale della biodiversità.
Immagine: COP15 official