L'Italia è uno degli stati più ricchi al mondo in termini di biodiversità. La nostra penisola ospita la metà delle specie vegetali e circa un terzo delle specie animali presenti in Europa. Tuttavia, la mancanza di un piano di attuazione adeguatamente finanziato per la Strategia nazionale per la biodiversità (NBSAP) e il forte sostegno del governo italiano al rinvio di 12 mesi del Regolamento europeo anti-deforestazione (EUDR) mettono a rischio il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ne abbiamo parlato con Alessandra Prampolini, direttrice generale del WWF Italia.

 

L’Italia ha aggiornato la propria NBSAP, ma manca ancora un piano di implementazione adeguatamente finanziato. La strategia italiana è sufficientemente allineata con i target del Global Biodiversity Framework (GBF)?

La NBSAP italiana risulta sulla carta sufficientemente allineata ai 23 target del GBF, quindi nella direzione di voler effettivamente proteggere il 30% delle aree marine e terrestri. Tuttavia, la reale efficacia di questa strategia dipenderà dall’elaborazione di un concreto piano di implementazione, che ora manca, e dalla disponibilità di finanziamenti adeguati a sostenerlo. Attualmente, in Italia, il 21,7% della superficie terrestre è protetto: questo significa che in soli cinque anni dovremmo creare nuove aree protette pari a circa la metà di quelle istituite negli ultimi cento anni, con un’aggiunta del 9% su tutto territorio nazionale. La situazione appare ancora più complessa sul fronte delle aree marine, dove oggi solo il 12% del territorio è tutelato. Dopo lunga attesa, nelle ultime settimane è stato convocato il tavolo dei ministeri e degli esperti per discutere la NBSAP, e come WWF Italia siamo stati convocati. Ci aspettiamo, nei prossimi mesi, una discussione molto accesa soprattutto considerando i nomi di coloro che sono stati convocati. Innanzitutto, è evidente che i portatori di interesse generali sono molti meno dei portatori di interesse particolari. Questo, considerando che parliamo di biodiversità e quindi di un bene comune, è un difetto. In particolare, alcune associazioni storiche che hanno da sempre svolto un ruolo cruciale nel dibattito sulla tutela della biodiversità in Italia non sono state coinvolte. È stato convocato un ampio gruppo di rappresentanti del settore agricolo, la cui partecipazione è fondamentale, considerando l’alto impatto dell’agricoltura sulla biodiversità. Tuttavia, è necessario trovare un giusto bilanciamento. Un altro aspetto che ci ha colpito è l'assenza di soggetti interni al Ministero dell'ambiente, e la loro presenza avrebbe certamente facilitato i lavori. Inoltre, abbiamo notato una scarsa rappresentatività del mondo scientifico. Ci riserviamo di valutare come sarà impostato il lavoro perché alcuni aspetti delle premesse ci lasciano perplessi.

La COP16 in corso a Cali è stata definita la COP dell’implementazione, l’occasione per fare il punto sull’attuazione del Quadro globale per la biodiversità. Quali risultati si aspetta?

Abbiamo identificato 5 punti fondamentali, sviluppati nei vari articoli del GBF. Il primo riguarda l'inclusione: è essenziale garantire che le comunità locali siano coinvolte direttamente nei piani di attuazione della biodiversità e possano trarre beneficio da essa. Spesso, la biodiversità viene prelevata da un luogo e trasferita altrove, portando con sé benefici e profitti. Pertanto, il tema dell'inclusione deve essere centrale per riequilibrare l'approccio al valore della biodiversità. In secondo luogo, è impossibile affrontare la questione della biodiversità senza un approccio integrato che coinvolga tutti i settori. Non solo è fondamentale includere coloro che operano direttamente sul territorio a contatto con la biodiversità, ma è altrettanto importante coinvolgere l'industria che lavora i prodotti finali e la relazione con il consumatore. A questo è legato il concetto di armonizzazione: biodiversità e cambiamento climatico sono temi strettamente collegati. Noi auspichiamo che le NBSAPs e i NDCs siano sempre più in sinergia. Allo stesso modo, le due COP, quella per la biodiversità e quella per il clima, dovranno rafforzare la definizione di obiettivi comuni e creare tavoli di lavoro condivisi. Un ulteriore punto cruciale è quello delle risorse, indispensabili per rispettare gli impegni presi a Montreal. Si parla di trasferimenti di 20 miliardi di dollari all'anno dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo entro il 2025. Questo target è ancora distante e rappresenta uno dei punti deboli che sta emergendo alla conclusione di questo incontro. Infine, è importante che, in un’epoca segnata da drammatiche vicende politiche che spostano l'attenzione sulle guerre e su una serie di emergenze sociali di natura economica, la natura rimanga una priorità ai massimi livelli nei principali tavoli di governo del mondo. Ad esempio, il disagio sociale è fortemente acuito dalle incertezze legate a fenomeni come il cambiamento climatico. Più in generale c’è un costo che tutti si trovano a pagare, che accentua i meccanismi di disuguaglianza, legato al rapporto sbagliato che abbiamo con la natura e con le risorse naturali.

Tornando al quarto punto, il tema delle risorse, quanto sono importanti gli investimenti e i finanziamenti da parte del settore privato per raggiungere gli impegni assunti con il GBF?

Sono molto importanti poiché è evidente che gran parte della ricchezza globale, anche attraverso meccanismi finanziari, oggi viaggia inevitabilmente tramite canali privati. Un esempio chiaro della "potenza di fuoco" del settore privato è emerso alla COP16, dove si è discusso della protezione dell’alto mare e dell'accelerazione nella creazione di aree marine protette in quella zona. In questa occasione, un gruppo di fondazioni filantropiche ha messo insieme un fondo da 51,7 milioni di dollari. Questo tipo di realtà ha un bacino di finanziamenti di dimensioni veramente importanti, sia per una questione di risorse a cui possono accedere che per una questione di velocità con cui possono agire. La velocità con la quale il welfare privato può decidere di investire in una direzione invece che in un'altra è diversa da quella di un ente pubblico.

Come valuta la proposta di alcuni governi, tra cui l’Italia, di posticipare il Regolamento europeo anti-deforestazione? Quali sarebbero le conseguenze di tale rinvio?

Il potenziale rinvio di 12 mesi del Regolamento è stato purtroppo fortemente sostenuto dal governo italiano. Una dimensione di questa decisione è l'impatto sul resto del mondo. Questo Regolamento è il primo esempio a livello mondiale nella lotta contro la deforestazione dove si considera tutta la filiera. Per tale motivo, 25 organizzazioni di 42 paesi, ben oltre i confini dell’UE, hanno richiesto che l’Unione − il Parlamento si esprimerà in merito nelle prossime settimane − respinga questa proposta di posticipo e avvii l’applicazione del Regolamento. L’obiettivo non è solo la tutela dell’ambiente, ma anche la tutela delle persone e la promozione dell’equità sociale ed economica, principi che dovrebbero caratterizzare la gestione del terzo millennio. Il consumo europeo di carne bovina, olio di palma, caffè, legname e soia ha un impatto diretto su milioni di persone in tutto il mondo. Il secondo allarme riguarda alcuni elementi del Regolamento che possono facilitare o, se non applicato, ostacolare il raggiungimento degli obiettivi del GBF. Primo fra tutti il fatto che si va a toccare la gestione sostenibile delle aree forestali che sono uno dei driver principali di perdita di biodiversità nel mondo. Inoltre, il rinvio manda un segnale negativo alle aziende che hanno già investito in questo tipo di percorsi, e che infatti si stanno facendo sentire, dando in qualche modo il lasciapassare a chi si è mosso con ritardo. E questo è un segnale assolutamente che non deve arrivare.

 

In copertina: Alessandra Prampolini, foto di Giovanna Quaglieri