Sono tempi difficili, in cui i ricchi e i potenti hanno dalla loro strumenti eccezionali per schiacciare chi la pensa diversamente o cerca di opporsi alle loro decisioni. E così, al termine di un processo chiaramente condizionato dagli interessi economici di una società petrolifera con sede a Dallas, la Energy Transfer, una giuria di una cittadina del North Dakota ha inflitto all'organizzazione ambientalista Greenpeace una condanna a pagare oltre 660 milioni di dollari (più di 600 milioni di euro) come risarcimento danni. Una somma spaventosa che rischia di far chiudere i battenti alla storica organizzazione ambientalista.

La Energy Transfer gestisce un contestatissimo oleodotto, il Dakota Access Pipeline, contro il cui completamento tra il 2016 e il 2017 c’erano state fortissime proteste da parte della ONG. Energy Transfer aveva accusato Greenpeace International, Greenpeace USA e il suo braccio finanziario Greenpeace Fund Inc. di diffamazione, violazione di proprietà, disturbo, cospirazione civile e altre azioni illecite, chiedendo un risarcimento di 300 milioni di dollari. Ma il verdetto emesso dalla giuria ha più che raddoppiato la somma a carico.

La reazione di Greenpeace

La reazione di Greenpeace non si è fatta attendere. Deepa Padmanabha, consulente legale senior della ONG, ha assicurato che il lavoro del gruppo "non si fermerà mai". Kristin Casper, consulente legale generale di Greenpeace International, ha ribadito che "la lotta contro le grandi compagnie petrolifere non finisce oggi”, e che "la legge e la verità sono dalla nostra parte".

L'organizzazione ha già annunciato l'intenzione di presentare ricorso. Tra l’altro, il prossimo luglio Greenpeace ed Energy Access si affronteranno in tribunale ad Amsterdam in una causa contro le intimidazioni avviata da Greenpeace, che fa leva sulle norme europee per proteggere media e attivisti, una nuova direttiva dell’Unione Europea contro le cause SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), un tipo di causa legale usata per intimidire e mettere a tacere i movimenti di protesta imponendo costose battaglie giudiziarie.

Il processo Greenpeace-Energy Transfer

La vicenda affonda le radici nelle proteste contro la costruzione del Dakota Access Pipeline, un oleodotto che trasporta circa il 5% della produzione giornaliera di petrolio degli Stati Uniti dalla Bakken Formation (tra Montana e North Dakota) all'Illinois, attraversando South Dakota e Iowa.

La sua costruzione aveva suscitato una forte opposizione, in particolare da parte della tribù Sioux di Standing Rock, che temeva la contaminazione delle acque del fiume Missouri e il danneggiamento di terre sacre.

Le proteste avevano visto la partecipazione di migliaia di persone, tra cui membri di altre tribù, attivisti ambientali e celebrità varie, sfociando talvolta in scontri violenti. Tra i tanti sostenitori accorsi nella zona c’erano anche due personaggi (controversi) che oggi fanno parte del governo di Donald Trump: Robert F. Kennedy Jr. e Tulsi Gabbard.

L’oleodotto è operativo dal 2017, ma è ancora in attesa di autorizzazioni finali per un tratto che attraversa un’area federale sotto il Lago Oahe, nel fiume Missouri, vicino a Standing Rock, e sono ancora in corso dei procedimenti legali.

Energy Transfer ha definito il verdetto una "vittoria" per "gli americani che comprendono la differenza tra il diritto alla libertà di parola e la violazione della legge". L'avvocato di Energy Transfer, Trey Cox, ha affermato che il verdetto dimostra che "quando il diritto alla protesta pacifica viene abusato in modo illegale e strumentale, tali azioni devono essere perseguite".

Cox aveva accusato Greenpeace di aver messo in atto un piano per bloccare la costruzione dell'oleodotto, pagando persone esterne, inviando materiali per le barricate, organizzando l'addestramento dei manifestanti e diffondendo false informazioni.

Un processo contestato

Il processo in North Dakota è stato contestato da osservatori che hanno criticato la scelta dei componenti della giuria, e soprattutto la decisione di non spostare il processo in una città meno coinvolta dalle proteste e chiaramente controllata dal punto di vista economico dalla società petrolifera.

Mandan, dove si è svolto il processo, si trova un’ottantina di chilometri a nord di Standing Rock, ed è una città politicamente molto di destra e legata all’attività di estrazione. Lo si è visto nel corso della selezione della giuria: più della metà dei giurati scelti alla fine per esaminare il caso aveva legami con l’industria dei combustibili fossili. E la maggior parte di loro aveva opinioni negative sulle proteste contro l’oleodotto o sui gruppi che si oppongono all’uso dei combustibili fossili.

Lunedì nel corso del processo aveva parlato anche Kelcy Warren, cofondatore e presidente del consiglio di amministrazione di Energy Transfer, nonché sostenitore e finanziatore di Donald Trump. Martin Garbus, avvocato specializzato nel primo emendamento, ha definito la sentenza "la peggiore sentenza in materia di libertà di espressione che abbia mai visto".

Natali Segovia, direttrice della Water Protector Legal Collective, ha sottolineato che il processo ha distorto il vero motivo delle proteste, che era "la difesa dell'acqua", e ha definito la causa "un attacco all'autodeterminazione indigena".

 

In copertina: foto di Markus Spiske, Unsplash