Il 2024 ha rappresentato un momento significativo per la diplomazia climatica e ambientale, segnato da eventi di rilievo come la COP16 sulla biodiversità a Cali, in Colombia, e la COP29 sul clima a Baku, in Azerbaigian.
Sebbene questi appuntamenti abbiano catalizzato l’attenzione globale, i risultati ottenuti sono stati spesso deludenti. Gli accordi raggiunti si sono rivelati poco ambiziosi e insufficienti per garantire azioni incisive a tutela della biodiversità e per ridurre in modo efficace le emissioni globali.
L’oceano, il grande escluso dalle agende globali
Tra i temi rimasti in secondo piano, l’oceano ha ricevuto un’attenzione marginale, nonostante il suo ruolo fondamentale per il pianeta. L'oceano è il più grande regolatore climatico terrestre, assorbendo circa il 25% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’essere umano e oltre il 90% del calore in eccesso generato dal riscaldamento globale. Inoltre, gli ecosistemi marini, come barriere coralline, praterie di Posidonia oceanica e mangrovie, svolgono un ruolo cruciale nella protezione delle coste dall’erosione, nella conservazione della biodiversità e nel sostentamento delle comunità costiere attraverso pesca e turismo sostenibili.
Nonostante questi benefici, l’oceano è costantemente minacciato. L’inquinamento marino, la pesca eccessiva, l’acidificazione e il riscaldamento delle acque ne compromettono gravemente le capacità di sostenere la vita e regolare il clima. Il mancato inserimento di misure concrete per la protezione dell’oceano nelle agende diplomatiche internazionali rappresenta quindi una grave lacuna, soprattutto considerando che la salute degli ecosistemi marini è intrinsecamente legata al raggiungimento degli obiettivi globali di sostenibilità – tra cui l’SDG 14 dell’Agenda 2030 − e di mitigazione dei cambiamenti climatici. Affrontare queste sfide richiede un impegno coordinato e urgente da parte di governi, aziende e società civile per includere l’oceano al centro delle politiche ambientali e climatiche globali.
La sfida del settore privato: opportunità nella Blue Economy
Con i governi spesso immobilizzati da interessi contrapposti, il settore privato si configura come un possibile game changer. La capacità di innovare, investire su scala globale e rispondere rapidamente alle sfide può offrire soluzioni concrete e integrate per colmare le lacune lasciate dal settore pubblico, integrando l'oceano nell’agenda climatica internazionale.
In questo contesto, il report Business Awareness and Response to Ocean Challenges. Ocean Disclosure Initiative-GenAI-powered, pubblicato da One Ocean Foundation a giugno 2024, ha analizzato il ruolo del settore privato e le pratiche aziendali nell’ambito della protezione dell’oceano, concentrandosi su tre settori strategici: trasporto marittimo, tessile e materiali da costruzione. Tra i principali risultati sono emersi tre punti chiave. Priorità aziendali: le emissioni di gas serra ricevono maggiore attenzione, seguite dalla gestione dei rifiuti e dalle sostanze chimiche, ma le conseguenze sulla salute dell’oceano rimangono marginali. Supervisione manageriale: il settore del trasporto marittimo dimostra una maggiore integrazione delle questioni legate all’oceano, mentre gli altri settori analizzati ne fanno solo accenni limitati. Opportunità blu: la maggior parte delle aziende non riconosce ancora le opportunità economiche legate alla gestione sostenibile delle risorse oceaniche, perdendo occasioni di innovazione e sviluppo.
Questi risultati evidenziano una persistente mancanza di consapevolezza aziendale riguardo alle pressioni esercitate sull’oceano, confermando l’SDG 14 come uno degli obiettivi meno prioritizzati. One Ocean Foundation estenderà la sua metodologia ad altri settori, con l’obiettivo di promuovere una collaborazione più efficace tra aziende, investitori e decisori politici per preservare l'oceano e le sue risorse per le generazioni future.
Immagine: Envato