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La COP29 di Baku si è aperta sotto il segno della rielezione di Donald Trump. Ma se l’annunciato ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi pone una seria ipoteca sul futuro dell’azione globale per il clima, il nuovo eroe della situazione potrebbe diventare la Cina.
La Repubblica Popolare arriva all’appuntamento di Baku con una serie di traguardi notevoli in materia di transizione energetica: 1.500 GW di capacità rinnovabile installata, che corrisponde al 50% della capacità di generazione totale del Paese; un predominio incontrastato nei mercati globali delle rinnovabili e dell’elettrificazione; e la molto probabile prospettiva (almeno stando alle previsione della IEA) di raggiungere il picco di emissioni già nel 2025 e di essere l’unico Paese che riuscirà davvero a triplicare la sua capacità rinnovabile entro il 2030.
Rimane, certo, la tradizionale riluttanza nell’impegnarsi troppo in accordi internazionali, in particolare quelli sulla finanza climatica che richiedono trasparenza nel dar conto dei propri investimenti. Su questo punto però i primi giorni della COP29 hanno già riservato interessanti sorprese: mercoledì 13 novembre, infatti, il vicepremier cinese Ding Xuexiang ha annunciato per la prima volta una valutazione quantitativa del contributo finanziario della Cina per il clima.
Sul ruolo, gli obiettivi e le aspettative della Cina di Xi Jinping alla Conferenza sul clima di Baku abbiamo fatto il punto con Belinda Schäpe, esperta di politiche climatiche cinesi e analista per il Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) di Londra.
Un anno fa, poco prima della COP28, Cina e Stati Uniti firmavano la Dichiarazione di Sunnylands, mettendo per la prima volta nero su bianco la volontà di cooperare nell’azione climatica. Ma ora le cose sono completamente diverse. Cosa significherà la nuova presidenza Trump per la cooperazione sul clima tra i due Paesi maggiori emettitori al mondo?
Trump ha annunciato più volte di volersi ritirare dall'Accordo di Parigi e, più in generale, dall'UNFCCC. Quindi è molto probabile che ciò accada. Ed è anche molto probabile che la cooperazione bilaterale tra Stati Uniti e Cina sul clima cesserà. È una brutta notizia visto che in passato questa cooperazione ha contribuito molto a gettare le basi dei negoziati a livello multilaterale, con l'Accordo di Parigi come esempio chiave, ma anche in altri casi.
Credo tuttavia che in termini di cooperazione sub-nazionale probabilmente si andrà avanti; ad esempio, la California ha una cooperazione speciale con le controparti cinesi e penso che molti sia in Cina che in USA si siano preparati per questo scenario e per portare avanti comunque una potenziale collaborazione. È certo però che la rielezione di Trump renderà molto più difficile la cooperazione bilaterale sul clima, ma anche le relazioni più ampie tra i due Paesi, visto che l’azione per il clima era uno dei pilastri fondamentali che in un certo senso resisteva alle tensioni geopolitiche fra le due parti.
Questa nuova posizione degli Stati Uniti consentirà in qualche modo alla Cina di presentarsi come il "nuovo eroe" del clima?
Sì, penso che renderà molto più facile per la Cina presentarsi come la “potenza globale più responsabile”, come amano dire, e come leader nel campo dell’azione climatica: non hanno bisogno di fare altro che restare fedeli all'Accordo di Parigi. D’altra parte, questo non farà sparire il problema del cambiamento climatico per la Cina, che affronta impatti significativi. Se gli Stati Uniti dovessero davvero ritirarsi e se le emissioni globali dovessero aumentare di più sotto l'amministrazione Trump di quanto non avrebbero fatto sotto un'amministrazione democratica, ciò avrebbe anche impatti significativi in termini di rischi climatici per la Cina stessa. Xi Jinping e altri alti funzionari cinesi hanno chiarito più volte, anche prima di questa COP, che la Cina si impegna nell’azione climatica per se stessa e per nessun altro Paese. Quindi penso che probabilmente vedremo l'impegno cinese continuare, ma sono sicuramente in una buona posizione per sfruttare il ritiro degli Stati Uniti da un punto di vista strategico.
Il 6 novembre, il giorno dopo le elezioni statunitensi, la Cina ha pubblicato il suo Annual Report on Policies and Actions on Climate Change 2024. Il rapporto ribadisce che la Cina si impegnerà a raggiungere il picco delle emissioni nel 2030. Ma l'anno scorso, l'Agenzia internazionale per l'energia (IEA) aveva previsto che il Paese avrebbe probabilmente raggiunto il picco nel 2025. A chi dovremmo credere?
Il punto è che c’è molta esitazione da parte dei decisori politici di Pechino nell'impegnarsi per un picco anticipato. È per questo che molte recenti politiche di alto livello prevedono ancora un picco tardivo appena prima del 2030, e questa rimane la linea di fondo. Penso che sia abbastanza preoccupante perché le tendenze dell'economia reale sono diverse.
Come CREA, stiamo monitorando le emissioni della Cina su base trimestrale e ciò che stiamo vedendo è che se le emissioni sono effettivamente diminuite nel secondo trimestre di quest'anno per la prima volta da quando sono state revocate le restrizioni per il Covid-19, le emissioni aggiuntive rimangono stabili nel terzo trimestre. Quindi dipende da cosa porterà il quarto trimestre, ma c'è il potenziale perché le emissioni cinesi quest’anno siano effettivamente inferiori alle emissioni dell'anno scorso. Ciò che sta guidando questa tendenza è l'aumento delle rinnovabili che, soprattutto nel settore energetico, stanno spingendo il carbone in ritirata e questo sta portando le emissioni a scendere o a stabilizzarsi. Stiamo anche assistendo a un calo in altri settori industriali: le emissioni del settore siderurgico e del cemento sono tutte diminuite.
Si tratta dunque di una tendenza positiva in termini di potenziale raggiungimento di un picco anticipato da parte della Cina. L'esitazione dei decisori politici è tuttavia preoccupante perché sembra stiano usando come scusa il fatto che la Cina non abbia ancora raggiunto il picco per non impegnarsi in obiettivi più ambiziosi.
A proposito di impegni, il rapporto è molto chiaro su un altro punto importante: il rifiuto della Cina ad aprire la discussione sul suo status di "Paese in via di sviluppo". Per quanto tempo ancora potrà mantenere questa posizione?
È una bella domanda. Penso che ci sia una crescente pressione internazionale, soprattutto da parte dei Paesi europei, ma anche di altri piccoli Stati insulari, affinché la Cina dia un contributo maggiore alla finanza per il clima, tema centrale della COP29. Ma la Cina mantiene la sua posizione sullo status di “Paese in via di sviluppo” anche perché, se dovesse cambiare status, questo cambierebbe non solo nell'ambito dell’UNFCCC, ma in molti altri framework multilaterali, e ciò avrebbe implicazioni significative per la posizione cinese nella WTO o nella Banca Mondiale. Invierebbe anche un segnale interno a cittadini cinesi che forse non hanno ancora beneficiato molto dello sviluppo della Cina (sviluppo che in futuro potrebbe rallentare).
Ma penso che ci sia una via d'uscita in termini di contributo della Cina al finanziamento globale per il clima, e spero che sia ciò che uscirà da questa COP29. La Cina è già un grande contributore della finanza climatica globale. Il 13 novembre, nel suo discorso al summit dei leader alla COP29, il vicepremier Ding Xuexiang ha annunciato per la prima volta una valutazione quantitativa del contributo finanziario della Cina per il clima. Ha affermato che, dal 2016, la Cina ha fornito e mobilitato 177 miliardi di RMB (24,5 miliardi di dollari) per supportare i Paesi in via di sviluppo nell'affrontare il cambiamento climatico.
È un passo enorme che la Cina mostri la volontà di quantificare il suo contributo ai finanziamenti globali per il clima e getterà le basi per trovare un compromesso sul New Collective Quantified Goal alla COP29. Potrebbe anche esercitare maggiore pressione sugli altri donatori dei Paesi sviluppati affinché intensifichino significativamente il loro apporto. Questo annuncio significa che la Cina ha contribuito con una media di 3,1 miliardi di dollari all'anno, il che la collocherebbe al 6° posto tra i maggiori contributori di finanziamenti per il clima dietro Giappone, Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, secondo l'analisi del World Resources Institute.
Naturalmente, al momento non è chiaro se questi numeri siano comparabili in termini di definizione di finanza climatica e attraverso quali canali siano stati forniti. Ora si tratta di trovare un modo per far sì che questi contributi contino all'interno del quadro multilaterale. Per farlo, la Cina dovrà condividere maggiori dettagli sulla qualità e sui canali dei finanziamenti forniti finora e chiarire il suo contributo futuro. Ciò renderebbe più facile per noi, in quanto comunità internazionale, valutare qual sia effettivamente il contributo finanziario della Cina al clima, ora e in futuro. E penso, per essere onesti, che sia in realtà per la Cina una storia positiva da raccontare, che al momento non stanno promuovendo a dovere. Stanno mantenendo i loro dati, beh, non molto trasparenti.
Il report cinese è molto diretto sul tema delle misure protezionistiche. Dice testualmente: "Alcuni Paesi hanno formato 'piccoli circoli' e implementato misure protezionistiche unilaterali", in particolare per le tecnologie a basse emissioni di carbonio. A questo proposito, cosa pensa dell'iniziativa del cosiddetto gruppo BASIC (Brasile, Sudafrica, India, Cina) per avviare "una lotta sulle misure commerciali"?
I Paesi del BASIC erano davvero ansiosi di inserire questo punto nell'agenda della COP29, ma alla fine hanno desistito. Ci avevano già provato l'anno scorso alla COP28. È un tema che è diventato un po' un rumore di fondo... La Cina ha sollevato questo punto da quando l'UE ha annunciato il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), e i BRICS hanno sollevato le loro critiche. Ma penso che per quanto riguarda il CBAM in particolare, la Cina sia ormai oltre la narrazione politica e lo accetti abbastanza. Ci si sta preparando affinché le aziende si conformino effettivamente al CBAM dell'UE; c'è stato molto impegno diplomatico di alto livello, oltre che a livello più tecnico, per farlo funzionare. Ovviamente, più di recente le tariffe UE sui veicoli elettrici hanno aggiunto un altro livello alla questione, ed è ciò a cui questo paragrafo del report probabilmente si riferisce. Non si tratta più solo di CBAM, ora si tratta anche di dazi e della sfida cinese nei confronti dell'UE e, naturalmente, degli Stati Uniti, del Canada e di altri: “cosa pensate di fare minando le nostre esportazioni di tecnologie pulite verso il resto del mondo?” Credo che la discussione continuerà.
Un'ultima domanda: qual è la sua opinione sul nuovo inviato speciale cinese per il clima, Liu Zhenmin. Questa è la sua prima COP dopo il ritiro del veterano Xie Zhenhua...
Penso che sia un po' presto per valutare il suo ruolo. Xie Zhenhua è ancora un po' sullo sfondo: ovviamente non è presente a questa COP, ma faceva parte con Liu Zhenmin della delegazione che è andata a Parigi e in visita ad altri governi europei. Liu ha ora un ruolo molto difficile da affrontare, ma d'altra parte ha più esperienza di politica estera, e anche questo sta emergendo di più nelle discussioni. A livello più personale, si sa, Xie Zhenhua e John Kerry avevano un’amicizia molto speciale che ha facilitato molto le relazioni climatiche tra Stati Uniti e Cina, anche nei momenti in cui i rapporti erano davvero difficili. Ora sarà da vedere come si svilupperà la relazione tra Liu Zhenmin e John Podesta e in che misura potrebbe diventare una pietra angolare simile.
Nonostante l'amministrazione Trump?
Sì. Penso comunque che la nuova amministrazione Trump apra una finestra per una maggiore collaborazione UE-Cina. Penso che la parte cinese sia molto desiderosa di approfondire le relazioni e l'impegno con l'Europa sui temi climatici. E ora, con l'elezione di Trump, c'è un'apertura da entrambe le parti per riconsiderare l’inquadramento di queste relazioni bilaterali. In questo ambito credo che Liu Zhenmin potrebbe svolgere un ruolo interessante.
In copertina: Liu Zhenmin, Inviato speciale della Repubblica popolare cinese per il cambiamento climatico, a COP29 © COP29