Lunedì 3 febbraio gli Stati Uniti hanno sospeso all'ultimo momento l'imposizione di pesanti dazi a Messico e Canada, dichiarando una tregua di 30 giorni in cambio di maggiori controlli ai confini e di nuove misure contro il crimine organizzato. Tuttavia, mentre la guerra commerciale con i due vicini nordamericani vede un temporaneo sollievo, la tensione tra Washington e Pechino non fa che inasprirsi.
I dazi statunitensi del 10% su tutte le importazioni cinesi sono entrati in vigore nella notte tra lunedì 3 e martedì 4 febbraio, innescando una rapida reazione della Cina, che non solo ha presentato reclamo ufficiale all’Organizzazione Mondiale del Commercio ma ha anche annunciato ritorsioni. Nel frattempo, l’Unione Europea guarda la spada di Damocle oscillare e si prepara a “reagire con fermezza”, visto che il presidente Trump ha avvertito che "presto" annuncerà misure anche contro Bruxelles.
Trump congela i dazi a Canada e Messico per 30 giorni
Il 1° febbraio Trump aveva firmato un ordine esecutivo per imporre tariffe su una vasta gamma di beni provenienti da Canada e Messico, minacciando di innescare una guerra commerciale che avrebbe potuto aumentare per i consumatori statunitensi i costi di automobili, prodotti freschi e carburanti. Esattamente il contrario di quanto promesso in campagna elettorale sulla lotta all’inflazione.
“Ci sarà qualche dolore? Sì, forse (e forse no!)”, aveva sintetizzato Trump nei giorni scorsi, annunciando una nuova “età dell’oro”. Tuttavia, ciò che è certo rispetto agli impegni elettorali è che la mossa protezionistica rischiava di intaccare le economie di due degli alleati commerciali più stretti degli Stati Uniti. Stando ai dati dell’Associated Press, gli affari tra le nazioni nordamericane raggiungevano un totale di 1.800 miliardi di dollari nel 2023, una cifra “di gran lunga superiore ai 643 miliardi di dollari di commercio degli Stati Uniti con la Cina nello stesso anno”.
Così, è bastato che i leader di Canada e Messico promettessero di intensificare gli sforzi per rafforzare la sicurezza alle frontiere e combattere i traffici illeciti per convincere Trump a sospendere i dazi. Il primo a reagire è stato il premier canadese Justin Trudeau che, riferendo un colloquio telefonico con Trump, su X ha annunciato un piano da 1,3 miliardi di dollari canadesi per rafforzare la frontiera con gli Stati Uniti. “Quasi 10.000 persone in prima linea sono e saranno impegnate nella protezione del confine”, si legge.
La questione fentanyl
Il piano canadese prevede l’uso di nuove tecnologie di sorveglianza, elicotteri e risorse aggiuntive per fermare il flusso di fentanyl, un oppioide che negli Stati Uniti sta causando decine di migliaia di decessi ogni anno. Nel frattempo, la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha annunciato, sempre tramite un post su X, che ha ordinato il dispiegamento di 10.000 membri della Guardia Nazionale lungo il confine settentrionale per affrontare il traffico di droga e limitare l’immigrazione irregolare dal Messico negli USA.
Le promesse canadesi e messicane, focalizzate in particolare sul fentanyl, si possono leggere come una risposta diretta al pretesto – più che preoccupazione – della sicurezza dei confini, citata più volte nello stesso ordine esecutivo firmato da Trump. Tuttavia, va precisato che le situazioni alle due frontiere sono molto diverse. Sebbene Trump avesse dichiarato che le “quantità di fentanyl che passano dal Canada sono enormi”, le statistiche federali riportate dalla CNN mostrano un quadro diverso. Nel 2024, le autorità statunitensi hanno sequestrato quasi diecimila chili di fentanyl, di cui solo 20 (circa lo 0,2%) sono stati trovati al confine canadese, mentre oltre 9.500 (circa il 96,6%) sono stati sequestrati al confine messicano.
La Cina risponde a Trump con altri dazi
In risposta alle nuove tariffe imposte da Washington sui prodotti cinesi in maniera unilaterale, Pechino ha annunciato di aver presentato un reclamo presso l'Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Il Ministero del commercio cinese ha fatto sapere che la procedura è stata avviata nell'ambito del sistema di risoluzione delle controversie della WTO, accusando gli Stati Uniti di agire in modo "doloso". Tuttavia, la Cina non si è limitata al reclamo, alimentando l’escalation commerciale.
Tra le contromisure figurano nuovi dazi su alcune importazioni americane, tra cui carbone e gas naturale liquefatto (LNG), che vedranno un aumento del 15%, mentre petrolio greggio, macchinari agricoli e veicoli subiranno un dazio del 10%. In aggiunta, Pechino ha lanciato un'indagine antitrust su Google, inserendo il gigante tecnologico nella lista delle "entità inaffidabili", insieme a PVH Corp (proprietaria dei marchi Tommy Hilfiger e Calvin Klein) e la società biotech Illumina. Ha inoltre imposto nuove restrizioni alle esportazioni di terre rare e metalli strategici, risorse fondamentali per l'industria tecnologica e la transizione energetica, a partire dal 10 febbraio. Tra questi materiali ci sono tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio.
Unione Europea e Regno Unito restano a guardare
Nel frattempo, in mezzo alle due superpotenze, l'Unione Europea non fa che osservare con crescente preoccupazione l'inasprirsi delle tensioni globali. Donald Trump ha lasciato intendere che, dopo Cina, Canada e Messico, anche Bruxelles potrebbe diventare il prossimo bersaglio di nuove misure protezionistiche, probabilmente generalizzate e del 10%. I leader europei − riuniti lunedì 3 febbraio per un vertice informale in teoria indetto sulla difesa comune ma che in realtà ha visto la guerra commerciale fare ingresso nell’ordine del giorno – hanno fatto sapere di voler reagire con “fermezza”.
Tuttavia, il dividi et impera americano potrebbe spaccare gli stati membri e causare un effetto domino di accordi bilaterali con Washington. Una strategia, quella della divisione, già vista a partire dal 2016 con il Regno Unito, che ora gioca una difficilissima partita diplomatica. Paradossalmente, nel giorno in cui il leader della Brexit Nigel Farage è dato in testa ai sondaggi, il primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, ha dichiarato che il paese "non sta scegliendo tra gli Stati Uniti e la UE".
Dal canto suo, la Commissione europea assicura che "al momento" non ci sono informazioni su "ulteriori dazi che colpirebbero i prodotti UE", ma la Banca centrale europea sta già valutando i possibili impatti economici, come spiega l’ANSA. "La linea migliore sarebbe quella di non reagire", ha rivelato il governatore della Banca centrale olandese, Klaus Knot. Ma una risposta politica sarà inevitabile. Il timore è che "saranno i consumatori a pagare il prezzo", con inflazione e tassi di interesse in rialzo negli Stati Uniti che potrebbero indebolire anche l’euro. D’altronde, Bruxelles ricorda che "c’è molto in gioco", a partire dal surplus commerciale UE di 157 miliardi di euro, da sempre nel mirino di Trump.
In copertina: Donald Trump e Xi Jinping