Un video diventato virale nell’estate del 2021 mostrava la demolizione simultanea, in appena 45 secondi, di 15 grattacieli nuovi e mai abitati nella città di Kunming, nella Cina meridionale. Di certo il ritmo frenetico di costruzione, e demolizione, del settore edile cinese ha contribuito negli ultimi anni, oltreché allo scoppio della bolla immobiliare nella Repubblica Popolare, ad abbassare la vita media degli edifici nel mondo.
Se è vero che, soprattutto in Europa, ci sono palazzi centenari tutt’ora in uso, quel che si costruisce oggi ha una prospettiva di vita molto più breve, che a volte – in particolare per gli edifici commerciali ‒ si esaurisce in poco più di una decina d’anni. E relativamente poco di quel che si demolisce viene poi effettivamente recuperato, riusato o riciclato, nonostante il settore delle costruzioni sia quello con il più alto tasso di consumo di risorse vergini al mondo.
Si calcola infatti che l’edilizia utilizzi globalmente circa un terzo di tutte le materie prime estratte annualmente, mentre solo in Europa – secondo il nuovo report della Circular Building Coalition – il comparto arriva a consumare oggi 1.094 milioni di tonnellate di materiali all’anno, generando 124 milioni di tonnellate di rifiuti da demolizione.
Insomma, un colossale problema di sostenibilità sia economica che ambientale a cui l’introduzione di sistemi di responsabilità estesa del produttore, accompagnati da pratiche circolari radicali, potrebbe mettere un freno.
Qual è il prodotto? Chi è il responsabile?
Vista l’intensità di consumo di risorse in edilizia, si potrebbe pensare che il settore sia stato uno dei primi ad essere preso in considerazione per l’introduzione di schemi EPR. In realtà è fra quelli più indietro in questo percorso: la complessità della filiera, delle catene di approvvigionamento e dei prodotti stessi di questa industria – gli edifici – ha reso impossibile un approccio lineare e diretto alla responsabilità del produttore. In pratica, attori ed esperti del settore stanno tuttora dibattendo su due questioni basilari e imprescindibili per dar vita a qualunque schema EPR: qual è il prodotto e chi ne è responsabile.
“La definizione di prodotto in edilizia dipende da chi la fornisce: un appaltatore o un fornitore penseranno a componenti e materiali, un architetto o un progettista all’intero edificio”, spiega a Materia Rinnovabile Samy Kazemi, esperta di ambiente costruito per il think-tank Circle Economy e fra gli autori del citato report della Circular Building Coalition.
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Edilizia e responsabilità estesa del produttore
Un paper della britannica Construction Products Association (CPA) paragona il settore edile a quello dell’automotive: dimensioni a parte, per entrambi gli output sono prodotti relativamente durevoli, complessi e composti da diverse componenti, alcune fisse e altre più soggette a usura e rimpiazzo. La grande differenza, secondo gli autori del paper, sta però nella catena di fornitura delle due filiere: integrata e con pochi attori quella delle automobili, incredibilmente lunga ed eterogenea quella delle costruzioni.
È quest’ultimo aspetto, in definitiva, a rendere difficile stabilire a chi tocchi il ruolo di “produttore” in un eventuale sistema EPR per l’edilizia. Secondo Kazemi la soluzione più pragmatica sarebbe quella di considerare responsabili le società di costruzione e demolizione. “È la strada più semplice”, spiega. “Un produttore di componenti in genere non ha la catena logistica adatta a smaltire e riciclare i rifiuti di demolizione e non è on site, mentre le società di costruzione hanno i mezzi e le risorse per farlo in modo più efficiente.”
“Questo è sicuramente vero per quanto riguarda gli edifici già costruiti”, ribatte Carolina Montano Owen del World Green Building Council. “Diversa è però la questione se pensiamo ai nuovi progetti: in questo caso considerare responsabili i produttori di componenti potrebbe dare una spinta all’ecodesign, perché diventerebbe loro interesse primario progettare per il disassemblaggio e il riuso.”
L’esempio francese
Il dibattito, insomma, è tutt’altro che chiuso. Ma se gli esperti e la stessa Commissione europea non hanno ancora stabilito una linea per l’introduzione della responsabilità estesa del produttore in edilizia, c’è chi si porta avanti. La Francia, anche in questo caso, ha deciso di fare da apripista, stabilendo con la legge sull’economia circolare del 2020 (Loi anti-gaspillage pour une économie circulaire) l’obbligo di istituire uno schema EPR per gli attori del settore.
L’obbligo, scattato il 1° gennaio 2023, ha richiesto innanzitutto la definizione di un elenco preciso dei prodotti interessati, che l’Ademe, l’agenzia francese per la transizione ecologica, ha suddiviso nelle due macro-categorie dei rifiuti inerti (calcestruzzo, laterizi, vetro) e non inerti non pericolosi (metallo, legno, plastiche e PVC, intonaco, rivestimenti e altri).
Valobat
Componenti e materiali sono stati quindi designati come i “prodotti” dello schema EPR, scelta che “appare del tutto naturale, dal momento che l’eco-progettazione inizia proprio con il prodotto”, commenta per Materia Rinnovabile l’ufficio comunicazione di Valobat, una delle quattro eco-organizzazioni autorizzate a fare da PRO (Product Responsibility Organisation) per il settore edile in Francia.
Costituita nel 2021 su iniziativa di 26 produttori e distributori edili, Valobat conta oggi oltre 4.000 aziende associate ed è l’unica delle quattro organizzazioni a occuparsi dell’intera gamma di rifiuti da costruzione e demolizione definita dalla legge francese. Come per altre filiere, produttori e distributori pagano (dal maggio 2023) un eco-contributo all’organizzazione, che si occupa di pianificare la rete di raccolta, di trattamento ed eventualmente riciclo dei materiali.
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“Sul fronte della raccolta”, spiegano da Valobat, “sono e saranno dislocati sul territorio punti ecologici volontari per ricevere i rifiuti dei piccoli cantieri ed è prevista una raccolta diretta nei cantieri che generano una quantità importante di materiale. I rifiuti verranno quindi trattati per essere reincorporati nei processi industriali come materia prima da riciclo.
Abbiamo individuato e stipulato contratti con attori del riciclo su tutto il territorio, privilegiando ove possibile i circuiti chiusi e per ogni famiglia di prodotti sono state indette gare d'appalto per rifornire di materie prime l'industria francese ed europea”.
Infine, guardando a quello che è il nodo principale per implementare un sistema EPR davvero efficace, ovvero l’assorbimento dei materiali riciclati da parte dell’industria, Valobat ha in programma di attuare “un ambizioso piano d'azione per sostenere l'accelerazione del riutilizzo e della seconda vita dei prodotti”.
Barriere e lacune
L’effettivo riutilizzo di tutto ciò che si recupera presenta tuttavia diverse barriere logistiche e strutturali. Innanzitutto la scarsa trasparenza sulle informazioni che riguardano i materiali. L’Unione europea, nonostante ormai abbia un certo controllo sulla provenienza dei suoi materiali edili (secondo il report della Circular Building Coalition ne importa dall’1 al 10% da Paesi extra-UE), ha ancora problemi di tracciamento che, commenta Samy Kazemi, “auspicabilmente dovrebbero risolversi con l’introduzione del passaporto digitale dei prodotti”.
Anche le certificazioni di conformità per le materie prime seconde sono un tasto dolente. “Produttori e costruttori fanno molta fatica a certificare i materiali riciclati o le componenti da riutilizzare, perché i test di qualità sono molto costosi”, spiega Carolina Montano Owen.
“Così il più delle volte rinunciano e scelgono i materiali tradizionali, più economici. È un problema che si dovrebbe affrontare in sede legislativa, ad esempio con la revisione, ora in corso, della Construction Products Regulation europea. Ma è anche una questione di ecodesign: bisogna cominciare a semplificare, usare meno materiali compositi e soprattutto fornire le informazioni sulle sostanze contenute nei prodotti in modo da facilitare il riciclo”.
Infine, c’è la questione non banale della logistica. “Trasportare i materiali recuperati può avere alti costi economici e anche generare parecchie emissioni”, fa notare Kazemi. La soluzione, suggerisce, sarebbe di “riutilizzare i materiali on site, o, ancora meglio, adottare approcci di adaptive reuse, cioè riadattare gli edifici a nuovi utilizzi, senza bisogno di demolirli”.
Nuove strategie
Il mondo dell’edilizia e dell’immobiliare vive oggi un momento di grande cambiamento ed evoluzione: nuove tecniche di progettazione e nuovi modelli di proprietà non potranno fare a meno di influenzare anche le strategie di gestione di materiali e rifiuti.
Ad esempio, il prodotto-come-servizio si va oggi affermando nel settore edile sotto varie forme, come quella della façades-as-a-service, in pratica una facciata customizzabile e smontabile con impianti di ventilazione, regolazione della luce e produzione di energia. “Sono modelli di business che migliorano la circolarità degli edifici e sono perfettamente in linea con i principi dell’EPR, visto che facilitano il recupero delle componenti da parte dei produttori, che ne mantengono la proprietà e il valore”, spiega Kazemi.
La modularità è anche il principio cardine della costruzione off site, che secondo il paper della CPA, “comporta un profondo cambiamento nel modo in cui i materiali vengono gestiti all’inizio della vita di un edificio e aprono la prospettiva di una gestione molto diversa del loro fine vita”. Al momento del disassemblaggio, in teoria, i materiali potranno infatti essere riportati direttamente alla fabbrica, riducendo così le tempistiche e accorciando la catena logistica.
Infine, uno strumento oggi diventato fondamentale per architetti e progettisti, il BIM (Building Information Modelling), sarà di aiuto con le sue banche dati quando si tratterà di reperire le informazioni su componenti e materiali, integrando le funzioni del passaporto digitale.
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L’edilizia deve cambiare mentalità e priorità
Per una vera rivoluzione circolare dell’edilizia, qualsiasi sistema di responsabilità estesa del produttore dovrà comunque essere accompagnato da un cambio di paradigma e mentalità. “Fino a qualche anno fa per i costruttori era più conveniente demolire e ricostruire da zero, piuttosto che riadattare e ristrutturare”, commenta Kazemi.
“Ma oggi, dopo la pandemia, i prezzi delle materie prime sono aumentati e inoltre gli investitori ormai non possono non tenere conto dell’impronta di carbonio dei progetti. Le priorità stanno cambiando e la vera sfida sarà mantenere in uso il più possibile non solo i materiali, ma gli edifici stessi.”
Scarica e leggi numero 46 di Materia Rinnovabile sulla responsabilità estesa del produttore
Immagine: Rumman Amin (Unsplash)