Prima Country Garden non ripaga le cedole sulle obbligazioni, blocca le negoziazioni su 11 bond onshore e fa tracollare le borse cinesi. Poi Evergrande – il promotore immobiliare più indebitato al mondo, già fallito in Cina nel 2021 per crisi di liquidità – presenta istanza di ristrutturazione del debito a un tribunale di New York per proteggere i suoi asset esteri. Infine, Zhongzhi Enterprise Group, gestore patrimoniale da 137 miliardi di dollari e uno dei principali attori del settore finanziario ombra del Dragone, interrompe i pagamenti ai propri investitori dopo l’insolvenza della controllata Zhongrong International Trust, fortemente esposta al mercato interno del real estate.
E adesso, mentre i banchieri centrali si riuniscono al summit di Jackson Hole e ormai è evidente che anche i colossi dai piedi di cemento possano vacillare, c’è una sola domanda ad assillare i mercati globali: la crisi tutta agostana legata al settore immobiliare cinese rappresenta o meno un rischio sistemico?
La bolla immobiliare cinese
A oggi il settore immobiliare rappresenta da solo circa il 30% del Pil cinese, il doppio degli Usa. Un vero e proprio pilastro che vede la posa della prima pietra nel 1998, quando l’ex Primo ministro del Consiglio di Stato Zhu Rongji ne ha avviato la privatizzazione per rilanciare la domanda interna.
La bolla del real estate inizia a gonfiarsi solo nel 2008, negli anni in cui la crisi finanziaria obbligava i governi di tutto il mondo a immettere massicce dosi di liquidità nell’economia. Due, in sintesi, le cause principali del boom: un pacchetto di stimoli statali da 4 mila miliardi di yuan (oltre 504 miliardi di euro al cambio attuale) e un abbassamento dei tassi di interesse di tre punti percentuali (dal 4% al 1%) in poco più di sei mesi. Contromisure che funzionarono, favorendo l’erogazione di prestiti e garantendo a Pechino di sostenere la crescita. Nonostante la flessione dei due anni precedenti, nel 2010 il Pil cinese raggiunse comunque la doppia cifra (+10,6%).
Scenario Lehman Brothers per Evergrande
Per paradosso, in questi giorni, con una retorica inversione di ruoli è invece il Wall Street Journal a scrivere che Pechino potrebbe trovarsi di fronte a uno “scenario Lehman Brothers”. Il riferimento è alla banca d’affari statunitense crollata nel 2008 sotto il peso dei mutui subprime, primo tassello del domino globale che portò alla crisi economica di 16 anni fa.
“Gli attuali problemi della Cina possono essere ricondotti al massiccio stimolo agli investimenti post-2008, una parte significativa dei quali ha alimentato il boom delle costruzioni immobiliari”, ha scritto Kenneth Rogoff, economista e docente di Harvard, in un suo editoriale sul Guardian. Secondo Rogoff, il rallentamento dell'economia cinese sarebbe il risultato del “superciclo del debito”, come era successo negli Usa nel 2008, un ciclo che in Cina sarebbe durato più a lungo di quanto inizialmente previsto, forse a causa della pandemia di coronavirus.
“Dopo anni di costruzione di abitazioni e uffici a rotta di collo, il boom del settore immobiliare […] sta ora producendo rendimenti decrescenti. La cosa non sorprende più di tanto, visto che il parco immobiliare e le infrastrutture della Cina rivaleggiano con quelle di molte economie avanzate, mentre il reddito pro capite rimane relativamente basso.”
L’interpretazione, tuttavia, non è condivisa da tutti. Secondo George Magnus, associato presso il China Centre dell'Università di Oxford, "non ci sarà un momento Lehman”, come riportato dal South China Morning Post.
"In un sistema bancario statale, le autorità possono spostare le passività all'interno del sistema finanziario e utilizzare la contabilità 'extend and pretend' per garantire che le banche più importanti non falliscano e che quelle più piccole possano essere risanate o fuse se necessario."
Gli effetti della crisi immobiliare in Cina
La Cina, seconda economia mondiale, è in piena fase di frenata. Deflazione, prezzi in calo, contrazione della spesa interna nonostante il tentativo di ripresa post-Covid. A ribasso anche il settore creditizio, che a luglio ha concesso meno della metà dei prestiti attesi (346 miliardi di yuan, circa 47,8 miliardi di dollari). Secondo dati di China Index Academy, nella prima metà del 2023 il numero di immobili pignorati messi all’asta in Cina è salito di quasi il 20% su base annua.
Questo negli stessi giorni in cui in uno strano contrappasso alcuni agricoltori della città di Shenyang, a 400 chilometri da Pechino, si sono riappropriati dei terreni di una delle tante “città fantasma”, complessi residenziali da centinaia di edifici (in questo caso di lusso) abbandonati in corso d’opera.
Ma è solo una delle conseguenze della crisi immobiliare, che allo stesso tempo sta creando catene di lavoratori e fornitori incapaci di soddisfare i propri crediti, come riportato da Reuters per uno dei complessi residenziale del colosso Country Garden nella metropoli di Tianjin, e lasciando senza casa chi ha versato acconti per appartamenti incompiuti. Aspetto che potrebbe portare, come successe del 2022 dopo il fallimento di Evergrande, a un boicottaggio di massa dei mutui.
Dopo lo scossone dovuto a Country Garden e Zhongrong International, il governo cinese ha promesso un taglio alle commissioni dei broker, mentre la Banca centrale cinese ha deciso di abbassare i tassi d’interesse per stimolare l’economia. La riduzione è stata però sotto le aspettative: 10 punti base (contro attese di 15) per i Loan prime rate (Lpr) a un anno, che si fermano al 3,45%. Invariato al 4,2% il tasso a 5 anni, considerato il benchmark per i mutui immobiliari, nonostante la scarsa domanda di prestiti. E per ora i mercati in Cina non sembrano aver ritrovato fiducia: subito dopo la decisione la Borsa di Shanghai ha perso l’1,24% e quella di Hong Kong l’1,82%. Una turbolenza che al momento non sembra toccare i mercati europei, che anzi hanno visto i principali listini in leggero rialzo dopo settimane di ribassi.
L’Occidente a Jackson Hole affronta la questione Evergrande
Venerdì 25 agosto i presidenti della Fed, Jerome Powell, e della Bce, Christine Lagarde, saranno a Jackson Hole, in Wyoming, per il summit organizzato ogni anno dalla Federal Reserve (la versione americana del forum di Sintra, promosso dalla Bce). Sul tavolo, sotto gli occhi degli investitori globali e mentre i future di Wall Street sono in rialzo, non ci saranno solo possibili ulteriori aumenti dei tassi, strette monetarie e intelligenza artificiale. Tutti si aspettano che Powell e Lagarde affronteranno anche la questione cinese. Country Garden, se non darà risposte entro settembre, rischia infatti di crollare così come altri super costruttori.
Il default di Country Garden ‒ che pure è stato uno dei pochi costruttori ad averlo evitato nel 2020, quando Pechino introdusse la politica delle "tre linee rosse" per contenere i livelli di indebitamento del settore – rischia di causare un altro tracollo finanziario. Country Garden vale circa 190 miliardi di dollari, più o meno il 60% delle dimensioni di Evergrande, ma per ora ha completato solo la metà delle 700.000 unità abitative promesse in consegna quest’anno. Un dato che certo non toglie i dubbi sul rischio sistemico di crollo dell’economia globale, mentre in Cina apre a un possibile inasprimento dei conflitti sociali. Oltre a quelli ambientali, se la speculazione finanziaria lascerà dietro di sé solo scheletri in cemento armato.
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