Prima ancora dello scoppio della guerra, la Striscia di Gaza affrontava gravi difficoltà nella gestione dei rifiuti. Oltre 15 mesi di conflitto hanno ulteriormente aggravato la crisi ambientale, sommando alle già precarie condizioni l’enorme quantità di macerie causate dai bombardamenti e l’impossibilità di accedere alle principali discariche per i rifiuti urbani. Le Nazioni Unite la definiscono “una minaccia silenziosa” per gli oltre 2 milioni di persone che abitano Gaza, esposte non solo ai missili ma anche all’inquinamento.

Nel corso della sua sanguinosa campagna militare − in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 − l’esercito israeliano ha negato l’accesso alle 3 principali discariche della Striscia. Ciò ha di fatto obbligato i cittadini e le autorità locali palestinesi a trovare siti di smaltimento alternativi, spesso adiacenti ai campi di rifugiati o per le strade.

Le crisi dei rifiuti a Gaza prima della guerra

Anche se il numero di morti potrebbe essere largamente sottostimato, dall’inizio del conflitto a oggi sono state uccise oltre 48.000 persone palestinesi, la maggior parte donne e bambini. Oltre il 60% degli edifici sono stati danneggiati o distrutti dai massicci bombardamenti israeliani che hanno costretto circa 1,9 milioni di persone a trovare rifugio in zone umanitarie designate, talvolta comunque colpite da Israele.

In un contesto così disastrato, nel quale Israele ha oltretutto bloccato gli aiuti umanitari e gli accordi di un cessate il fuoco faticano a trovare continuità, è pressoché impossibile stimare quanti rifiuti stiano producendo gli abitanti della Striscia.

Prima della guerra, secondo le Nazioni Unite le tonnellate di rifiuti generate al giorno erano all’incirca 1.700. Una delle discariche più grandi si trova nel Nord: ha funzionato per anni oltre le proprie reali capacità, con accumuli di rifiuti alti fino a 35 metri, a cui spesso gli abitanti hanno dato fuoco per mancanza di alternative per smaltirli.

Tra il 2017 e il 2022 il numero di veicoli per la raccolta dei rifiuti solidi è diminuito da 112 a 73, la maggior parte dei quali comunque obsoleta e incapace di soddisfare le esigenze della popolazione.

Le discariche vicino ai campi profughi

Un recente report dell’agenzia di stampa Reuters ha individuato, tramite la raccolta di immagini satellitari, post pubblicati sui social media e documenti ufficiali, oltre 225 discariche temporanee, ma il sospetto è che ce ne siano molte di più.

Dalle immagini elaborate da Reuters emerge come nella città meridionale di Khan Younis, vicino a un campus dell'Università di Al-Aqsa − ora adibito a campo per sfollati − sia stata creata una discarica di rifiuti che copre quasi 10.000 metri quadrati. Un’altra è visibile nel campo profughi di Nuseirat, a pochi metri dal mare.

"Questi rifiuti hanno portato malattie. I nostri figli soffrono di vari disturbi che non avevamo mai visto prima", ha spiegato a Reuters Abou Mohammed, un palestinese che vive a circa 100-150 metri dalla discarica e dice di essere preoccupato per la salute dei propri figli.

Youssef Hammad, un dipendente del comune, ha spiegato che l'area non era stata originariamente designata per lo smaltimento dei rifiuti. Tuttavia, il conflitto non ha lasciato loro altra scelta. Secondo Hammad le autorità locali non possono più accedere alle discariche ufficiali che oggi sono controllate dall’esercito israeliano.

I pericoli dei rifiuti non smaltiti

Il problema principale quando centinaia di tonnellate di rifiuti solidi vengono accumulati in una discarica a cielo aperto è la dispersione di percolato, un liquido contaminato da metalli pesanti e tossine che si forma quando l'acqua filtra attraverso strati di rifiuti gestiti in modo improprio.

Il percolato rappresenta un rischio ambientale e sanitario perché è in grado di infiltrarsi nel terreno contaminando le falde acquifere, preziosa fonte di approvvigionamento idrico per le persone, gli animali e le attività agricole nella Striscia di Gaza.

Secondo una valutazione ambientale preliminare dell’Agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) anche la distruzione di edifici, strade e altre infrastrutture ha generato durante il conflitto detriti contaminati da ordigni inesplosi, amianto e altre sostanze pericolose. In soli 3 mesi di bombardamenti l’UNEP ha stimato quasi 40 milioni di tonnellate di detriti.

Inoltre, da molti anni lo scarico su larga scala di acque reflue non trattate inquina le falde acquifere della Striscia e il Mar Mediterraneo, tanto che si stima che nel 2018 siano stati sversati 110.000 metri cubi di acque di scarico al giorno.

Senza infrastrutture adeguate, anche la gestione dei rifiuti sanitari diventa problematica. Una ricerca pubblicata nel 2021 ha rilevato che i rifiuti medici a rischio infettivo a Gaza spesso non venivano separati adeguatamente dai rifiuti normali, il che portava alla contaminazione di terreni e fonti idriche, aumentando il rischio di trasmissione di malattie.

Gli sforzi per migliorare lo smaltimento rifiuti

Nonostante le risorse limitate, la distruzione o la mancanza di infrastrutture, le migliaia di vittime e i vari blocchi agli aiuti umanitari imposti da Israele, ci sono organizzazioni che tentano di migliorare la gestione dei rifiuti a Gaza.

Per esempio l’organizzazione palestinese non profit Joint Service Council for Solid Waste Management (JSC-KRM), in collaborazione con il comune di Khan Younis, ha lanciato un progetto per riabilitare la principale discarica di emergenza nel quartiere di Al-Amal, a Khan Younis. Secondo JSC-KRM la discarica gestisce oltre 500 tonnellate di rifiuti al giorno, servendo più di 900.000 residenti di Gaza.

Supportati dall’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (UNRWA) e il programma di Sviluppo ONU, JSC-KRM è attiva anche nella città meridionale di Rafah, dove lo scorso maggio un attacco aereo ha colpito un campo per sfollati palestinesi, uccidendo 45 persone.

 

In copertina: foto dalla Striscia di Gaza, Khalid Kwaik via Unsplash