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Da Roma - Approvata a COP16 bis una roadmap per mobilizzare almeno 200 miliardi di dollari, da fondi pubblici, privati, filantropici e multilaterali ed eliminare almeno 500 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi.
Tra le lacrime dello staff, la colombiana Susana Muhamad, presidente della COP16, approva poco prima delle 23 di giovedì 27 febbraio i due documenti chiave del negoziato, Mobilitazione delle risorse e Meccanismo finanziario, che definiscono una roadmap per risolvere il gap finanziario per raggiungere l’obiettivo dei 200 miliardi e indirizzare la spaccatura su quale istituzione e meccanismo finanziario far gestire le risorse economiche.
Gli applausi hanno inondato la stanza, tra la soddisfazione delle delegazioni. "L'applauso è per tutti voi. Avete fatto un lavoro straordinario", ha detto con un sorriso la presidente Muhamad.
Per tre giorni le Parti hanno discusso se rafforzare il Global Environmental Facility (GEF) − il fondo ONU creato nel lontano 1992 per mobilitare risorse economiche per clima e natura − per gestire una parte dei 200 miliardi da mobilizzare (almeno 30) oppure se realizzare un nuovo fondo, dedicato. La discussione è di particolare interesse per i paesi che hanno sanzioni, come la Russia, dato che il GEF è considerato discriminatorio proprio per il fatto di essere a questi inaccessibile.
Approvato invece senza difficoltà il PMMR, il meccanismo di rendicontazione e verifica dello stato di avanzamento delle strategie e piani nazionali della biodiversità (NBSAP) e dello stesso Global Biodiversity Framework, gli obiettivi al 2030 della COP biodiversità. È stato inoltre reso operativo il Fondo di Cali, un fondo finanziato volontariamente da aziende private che sfruttano il sequenziamento genetico digitale (DSI), che contribuirà anch’esso al raggiungimento dei goal finanziari.
Un passo in avanti
Il mondo politico e non governativo ha celebrato il successo del negoziato romano, ribadendo che il processo è solido e perdura l’interesse delle Parti a lavorare sulla tutela della natura. Come ha detto la presidente colombiana, “si sono dati muscoli, gambe e braccia al Global Biodiversity Framework”.
An Lambrechts, a capo della delegazione di Greenpeace alla COP16, ha dichiarato: "Un risultato utile per mantenere la fiducia affinché il divario dei finanziamenti per la natura possa essere colmato, ma è solo una faccia della medaglia, e abbiamo urgentemente bisogno di vedere anche l'altra faccia: i soldi sul tavolo. Entro la fine del 2025 si dovrà raggiungere l’obiettivo di allocare 20 miliardi di dollari all'anno di finanziamenti pubblici a partire da quest'anno e che i contributi del Fondo Cali da parte di Big Pharma e Big Ag ammontino ad almeno l'1% dei loro ricavi”.
Mobilitazione delle risorse
Uno dei risultati importanti è la definizione della strategia finanziaria. Innanzitutto, il documento Resource Mobilization definisce che entro il 2030 ci dovrà essere un’istituzione finanziaria “permanente” per gestire almeno 30 miliardi di dollari di fondi pubblici l’anno e una strategia di valutazione e miglioramento della finanza per la biodiversità da tutte le fonti possibili.
Si cercheranno nuove collaborazioni tra tutte le istituzioni finanziarie, in particolare con le banche multilaterali di sviluppo. C’è poi il tema della rendicontazione: da sempre conoscere quanto si è sborsato per gli obiettivi climatici o di biodiversità è un’impresa difficile, come ha riferito il portavoce della COP, David Ainsworth. Dunque, sarà fondamentale rendere trasparente la contabilità, tema tutt’altro che scontato, dato che i paesi donatori spesso usano questo tipo di fonti per vari tipi di rendicontazione (double accounting).
Attenzione poi a chi gestirà le risorse. Entro la COP17, nel 2026 in Armenia, si dovranno definire tutti i criteri per la struttura istituzionale che dovrà gestire il meccanismo finanziario ed entro il 2028 (le COP biodiversità sono biennali) decidere la natura di questa istituzione, affinché entro il 2030 sia pienamente operativa.
Nessuno si aspettava sorprese con annunci di nuovi impegni finanziari, vista la bassa partecipazione ministeriale (l’Italia ha inviato dopo le critiche della stampa per l’assenza di istituzioni italiane il sottosegretario Barbaro). Ma la situazione rimane disperata.
Secondo il testo approvato, gli aiuti economici per la biodiversità per sostenere i paesi meno sviluppati al 27 febbraio dentro il Global Biodiversity Framework Fund equivalgono a 382 milioni di dollari (nemmeno un cent dall’Italia). Per arrivare ad almeno 20 miliardi entro la fine dell’anno, come da testo approvato, servirà fare pressione sia sul rifinanziamento durante il GEF-9 (vedi sotto) sia sulla mobilitazione di nuove risorse pubbliche attraverso la cooperazione, con l’obiettivo di garantire che almeno il 20% sia interamente dedicato alle popolazioni indigene.
Si richiede maggiore ruolo delle banche multilaterali e, per la priva volta, si apre a un dialogo interministeriale, tra tutti i ministeri dell'ambiente e dell'economia e finanze dei paesi COP per trovare le giuste risorse.
Infine, servirà una campagna internazionale dal basso per fare pressione sulle aziende dei settori farmaceutico, cosmetico, allevamento animale, chimico per raccogliere soldi attraverso il meccanismo del Fondo di Cali che prevede che le società che usano il sequenziamento genetico digitale versino in maniera volontaria l’1% dei profitti o lo 0,1% del fatturato. “Le aziende interessate possono contattare direttamente il segretariato della CBD”, ha commentato il portavoce Ainsworth.
Non solo: il documento ha ribadito che “si sollecitano le Parti a proseguire e potenziare gli sforzi per il raggiungimento dell'Obiettivo 18, attraverso l’eliminazione totale, graduale o la riforma dei sussidi dannosi per la biodiversità, in modo proporzionato, giusto, equo ed efficace, riducendoli sostanzialmente e progressivamente, per un valore di almeno 500 miliardi di dollari all'anno entro il 2030, a partire dagli incentivi più dannosi, e aumentando gli incentivi positivi per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità”.
Uno sforzo non facile, viste le guerre commerciali in corso e il ruolo depotenziato della WTO. Vedremo intanto cosa farà l’Italia e se le ONG realizzeranno campagne dedicate su questo tema, spesso lasciato in disparte.
Il Meccanismo finanziario
Chi gestirà nel mentre una fetta della finanza per la biodiversità? Fino al 2030 avrà l’interim il GEF, con il suo Trust Fund e Fondo quadro globale per la biodiversità (GBFF), nato durante COP15, poi si deciderà se creare una nuova istituzione oppure lasciare il GEF ma debitamente riformato.
È proprio intorno a questa istituzione che si è consumato lo scontro politico più duro nei tre giorni di negoziato. Per molti paesi il GEF sarebbe discriminatorio per il fatto che è difficile accendervi: i paesi sotto sanzioni statunitensi sono esclusi (Iran, Siria, Cuba, Russia, Venezuela e altri) e non esiste un fast-track per i progetti realizzati da comunità indigene.
Per il momento rimane il GEF (in modo da mobilizzare rapidamente le risorse raccolte) ma sotto osservazione. Entro COP18, tra tre anni, si dovrà decidere se creare una nuova istituzione per gestire il Meccanismo oppure confermare il GEF, qualora indirizzi le numerose richieste nei documenti approvati per un miglioramento del lavoro svolto.
Tra le richieste della COP per riformare il fondo ONU, inter alia, c’è il supporto dedicato alle comunità indigene e locali, la condivisione delle conoscenze dei progetti già realizzati di conservazione della natura, l’ampliamento dello scope su progetti in acque internazionali, progetti collegati con il tema clima e degradazione del suolo, supporto ai piani e al reporting sulla biodiversità.
"Il GEF ha ascoltato attentamente le Parti della CBD e si è impegnato a migliorare continuamente per rispondere alle loro aspettative e alle loro esigenze di capacità”, ha spiegato in una nota Carlos Manuel Rodríguez, CEO del GEF, ribadendo l’esperienza positiva dell’istituzione del Global Biodiversity Framework Fund.
A dicembre 2024, due anni dopo la COP 15, il GBFF aveva pianificato oltre 200 milioni di dollari per 40 progetti in 41 paesi. La famiglia di fondi GEF, nel periodo compreso tra giugno 2022 e dicembre 2024, ha approvato 3,07 miliardi di dollari per progetti a sostegno del Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal (KMGBF). Si prevede che questi progetti possano mobilitare più di 22 miliardi di dollari di cofinanziamento, di cui 1,9 miliardi dal settore privato.
"Il GEF farà tutto il possibile, nell'imminente ricostituzione del GEF-9 e attraverso il GBFF, per mobilitare e allocare in modo efficiente nuove e ulteriori risorse a sostegno del Quadro globale per la biodiversità Kunming-Montreal", ha aggiunto Rodríguez. Per capire come i paesi sviluppati si vogliono orientare nel sostegno finanziario alla biodiversità bisognerà studiare con attenzione i documenti del GEF-9, dato che coprirà esattamente il quadriennio che porta al 2030.
PMRR
Le Parti hanno ulteriormente migliorato il quadro di monitoraggio per il GBF, concordato alla COP15. Il quadro di monitoraggio è essenziale per l'attuazione del GBF perché fornisce i parametri comuni che le Parti utilizzeranno per misurare i progressi rispetto ai 23 target e ai 4 obiettivi del KMGBF. In questo negoziato le Parti hanno concordato le modalità di misurazione e gli indicatori da utilizzare. Ciò garantirà che tutte le Parti traccino i progressi in un modo che possa essere interpretato dai responsabili politici nazionali e fornirà dati che potranno essere aggregati a livello globale per fornire un quadro globale dell'attuazione del GBF.
Le Parti hanno anche preso importanti decisioni su come i progressi nell'attuazione del GBF saranno esaminati alla COP17 come parte del previsto bilancio globale, e hanno stabilito il modo in cui gli impegni di attori diversi dai governi nazionali possono essere inclusi nel meccanismo di PMRR, compresi gli impegni di giovani, donne, popolazioni indigene e comunità locali, società civile, settore privato e governi subnazionali.
In copertina: foto di Mike Muzurakis by IISD/ENB