Da Roma - Al via la sessione aggiuntiva del negoziato sulla biodiversità, COP16 bis, che vedrà oltre 150 paesi impegnati fino al 27 febbraio alla FAO a Roma per chiudere i testi rimasti inconclusi durante il summit in Colombia a novembre. Un negoziato ridotto, con meno di 1.500 accreditati, ma che ha lo scopo di rafforzare la finanza per la biodiversità e i meccanismi di monitoraggio dei National Biodiversity Strategies and Action Plans (NBSAP), i piani nazionali per la biodiversità, e dello stesso Global Biodiversity Framework (GBF), il quadro di azione per la biodiversità.
Solo tre giorni per chiudere i testi rimasti inconclusi lo scorso 2 novembre, quando alle 8.30 del mattino, dopo una notte di negoziati, è mancato il quorum. Tra i corridoi della sede della FAO, a ridosso del Circo Massimo, circola cauto ottimismo. L’attenzione mediatica è bassa, nella sala stampa stazionano una trentina di giornalisti. Solo 13 i ministri e viceministri presenti, nessuna figura politica per l’Italia, che non ha nemmeno mandato il sottosegretario del MASE Claudio Barbaro, già presente al negoziato di Cali. La scarsa presenza di figure di livello ministeriale non significa però che non si possano chiudere i testi rimasti aperti e raggiungere un risultato che riporti fiducia nel processo multilaterale, prima della fondamentale COP30 in Brasile a novembre.
L’Europa è pronta a fare la propria parte, ha dichiarato la commissaria per l'ambiente, la resilienza delle acque e l'economia circolare competitiva Jessika Roswall. “In questi negoziati dobbiamo trovare un modo per continuare a mobilitare risorse da ogni fonte possibile e garantire un finanziamento per la tutela della biodiversità post 2030 che sia efficace e coerente", ha detto.
Il nodo finanza
Si attendono avanzamenti sulla strategia finanziaria di mobilitazione di risorse per raggiungere il goal al 2030 di 200 miliardi di dollari l’anno a livello globale e l’obiettivo di arrivare già a fine 2025 a 20 miliardi di dollari l’anno versati come aiuti pubblici allo sviluppo (da portare a 30 miliardi al 2030).
L’Europa già ieri, 24 febbraio, ha ribadito il pieno supporto per gli obiettivi finanziati con il proprio contributo complessivo di 7 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 e sta già realizzando importanti iniziative, come NaturAfrica da 1,4 miliardi di euro. La maggior parte del sostegno è fornita nell'ambito della cooperazione bilaterale e mira a sostenere i partner nell'attuazione del GBF.
Da parte dell’unione però sono attesi ulteriori finanziamenti da fonti nazionali o private, utilizzando un'ampia gamma di strumenti (blending, garanzie, green bond). Per capire quanto arriverà a mobilizzare bisogna fare un complesso conteggio di tutti gli APS e seguire i report OCSE. Si attende di vedere come contribuiranno al negoziato altri paesi industrializzati e nuove economie emergenti come Brasile, India, Arabia Saudita e Cina.
GEF o nuova struttura finanziaria?
Uno dei principali contenziosi del negoziato è come saranno gestite queste risorse. In aggiunta a due fondi già esistenti, il Fondo quadro globale per la biodiversità (GBFF) − lanciato a COP15 nel 2022 e istituito in meno di un anno dal GEF (Global Environmental Fund) con 11 paesi donatori più il governo del Quebec e circa 400 milioni di dollari impegnati − e il Kunming Biodiversity Fund − sostenuto dalla Cina con 200 milioni di dollari − si sta discutendo se istituire un nuovo fondo e come istituirlo e strutturarlo.
Per l’Europa la soluzione ideale sarebbe che il nuovo fondo globale per la biodiversità fosse gestito dal GEF, una facility multilaterale già esistente, stabilita nel 1992, in grado di erogare in tempi rapidi risorse economiche, mentre paesi come la Repubblica Democratica del Congo, il Brasile e altri si sono espressi a favore di una nuova struttura su cui avere più voce in capitolo, magari con sede in America Latina (il GEF attualmente ha gli uffici in Corea del Sud).
Per il portavoce delle Convenzione sulla biodiversità ONU, David Ainsworth, non ci si deve aspettare che la decisione sulla tipologia del nuovo Fondo globale per la biodiversità sia presa a questa COP, ipotizzando che serviranno quasi due anni di tempo per raggiungere il consenso a COP17 in Armenia nel 2026 e renderlo operativo tra il 2028 e il 2030.
Secondo Georgina Chandler, responsabile delle politiche e delle campagne della Società zoologica di Londra, “un piano di finanziamento della natura ben progettato deve includere una rappresentanza dei governi del Sud globale, delle popolazioni indigene e delle comunità locali che sono fondamentali per proteggere gli ecosistemi che stabilizzano i nostri prezzi alimentari e bloccano i peggiori impatti climatici. In definitiva, possiamo discutere tutto il giorno della progettazione di un fondo per la biodiversità e di chi sia il proprietario del conto corrente, ma questa è una conversazione priva di significato se non c'è denaro investito".
Il Fondo di Cali
Alle 13 del primo giorno di negoziati si è ufficialmente reso operativo il Fondo di Cali, approvato a COP16 in Colombia, per convogliare le risorse derivanti dall'uso commerciale del sequencing digitale genetico (DSI) e usarle per la conservazione della biodiversità, in particolare a favore dei paesi in via di sviluppo, delle popolazioni indigene e delle comunità locali.
Il fondo, unico nel suo genere e gestito dalla COP stessa, sarà sostenuto da aziende private del settore farmaceutico, nutraceutico (alimenti e integratori per la salute), cosmetico, dell'allevamento di animali e piante, delle biotecnologie, delle attrezzature di laboratorio associate al sequenziamento e all'uso delle informazioni di sequenza digitale sulle risorse genetiche, “che hanno un bilancio che supera almeno due su tre di queste soglie (attività totali: 20 milioni di dollari; vendite: 50 milioni di dollari; profitti: 5 milioni di dollari), calcolate sulla media dei tre anni precedenti”. Queste aziende private “dovrebbero contribuire al fondo globale con l'1% dei propri profitti o con lo 0,1% delle proprie entrate, come percentuale indicativa”.
“Chi prende dalla natura restituisce alla natura”, ha commentato in conferenza stampa Astrid Schomaker, segretaria esecutivo della CBD. “Il 50% del fondo sarà diretto alle popolazioni indigene.” Al momento però nessuna azienda che impiega il DSI ha approfittato della piattaforma offerta da COP16 bis per annunciare contributi volontari al Fondo di Cali ed essere tra le prime a contribuire.
In copertina: il direttore generale della FAO QU tiene il suo discorso durante l'evento Soddisfare i bisogni delle persone attraverso l'uso sostenibile della biodiversità all'interno dei sistemi agroalimentari nella sede romana della FAO il 24 febbraio 2025 © FAO/Pier Paolo Cito