Tanto tuonò che piovve. Dopo averlo ampiamente preannunciato, nella serata di ieri, giovedì 13 febbraio, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per imporre “dazi reciproci” verso i paesi che applicano tariffe doganali sui prodotti statunitensi. “Motivi di equità”, ha dichiarato il presidente nello Studio Ovale. Non farà sconti a nessuno, né ai rivali né agli alleati commerciali, anzi: proprio questi ultimi “spesso si comportano peggio dei nostri nemici”, ha sottolineato il tycoon, che ha ricordato di essersi insediato alla Casa Bianca “da tre grandi settimane, probabilmente le migliori di sempre”.

Dazi reciproci, cosa sono e come funzionano

“È semplice: se ci impongono un dazio doganale o una tassa, noi applichiamo loro esattamente lo stesso dazio o tassa”, ha spiegato Trump, a pochi giorni dall’imposizione di dazi al 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti. “Se si guarda ai singoli paesi e si osserva quanto ci fanno pagare, in quasi tutti i casi ci fanno molto più di quanto noi facciamo pagare loro: quei giorni sono finiti”. La reciprocità riguarderà anche l’applicazione dell’IVA, “considerata alla stregua dei dazi”.

Le misure, personalizzate per paese, potrebbero entrare in vigore il prossimo 2 aprile, secondo quanto dichiarato dal ministro del commercio Howard Lutnick a Bloomberg. L’obiettivo è ridurre il crescente deficit commerciale USA, pari a 1.100 miliardi di dollari nel 2024, ed equiparare la capacità di competere dei produttori statunitensi e stranieri, proteggendo le aziende a stelle e strisce, motivo per cui presto arriveranno anche i dazi sulle auto.

Trump, che procede a colpi di decreti esecutivi, anche se in campagna elettorale aveva promesso di portare una legge in Congresso, il Reciprocal Trade Act, spera così di ottenere concessioni nelle relazioni commerciali, ma rischia che si scateni una risposta contraria. A pagare le conseguenze dei dazi reciproci saranno soprattutto i paesi con cui gli Stati Uniti hanno il maggiore deficit commerciale. Cifre alla mano, la Cina, verso la quale Washington ha un deficit da 295 miliardi di dollari, e il Messico, verso cui il deficit ammonta a 172 miliardi.

Lo scontro con l’Europa e la risposta di Bruxelles

Nel mirino c’è anche l’Unione Europea: “Nei rapporti commerciali ci tratta in modo assolutamente brutale”, ha detto il tycoon, ricordando le cause che sono state fatte ad aziende americane, come Apple e Google. Bruxelles ha fatto sapere che reagirà “con fermezza e immediatamente contro blocchi ingiustificati al libero scambio, soprattutto quando i dazi vengono utilizzati per contestare politiche legali e non discriminatorie”, si legge in una nota. “L’Ue mantiene alcune delle tariffe doganali più basse al mondo e non vede quali siano le ragioni per un aumento di quelle statunitensi sulle sue esportazioni.”

E ancora: “Per decenni abbiamo collaborato con partner come gli Stati Uniti per abbattere le barriere commerciali, promuovendo un sistema basato su impegni vincolanti, che ora gli USA stanno minando”. Bruxelles crede “in partenariati commerciali equilibrati e vantaggiosi per entrambe le parti, basati su trasparenza ed equità. Per questo, l’UE ha la rete di accordi commerciali più ampia e in crescita più rapida al mondo, con oltre tre volte gli accordi negoziati dagli USA.”

Dazi e Trump: l’Italia cosa rischia?

In questo minaccioso clima di “dazi per tutti”, l’Italia rischia conseguenze pesanti. “Gli Stati Uniti sono la prima destinazione extra UE dell’export italiano di beni e servizi e la prima in assoluto per gli investimenti diretti all’estero”, spiega Confindustria. Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a 65 miliardi di euro, con un surplus vicino ai 39 miliardi.

L'export italiano, come si legge nel report, è più esposto della media UE al mercato USA: 22,2% delle vendite italiane extra UE, rispetto al 19,7% di quelle UE. Tra i settori più esposti, bevande (39%), autoveicoli e altri mezzi di trasporto (30,7% e 34,0%), farmaceutica (30,7%).

Viceversa, l'import italiano è meno dipendente della media UE dalle forniture USA: 9,9% rispetto a 13,8% degli acquisti extra UE. I comparti più dipendenti sono il farmaceutico (38,6%) e le bevande (38,3%), che lo sono anche dal lato dell’export. Uno scenario che evidenzia “la profonda integrazione di queste filiere produttive e il loro elevato rischio in caso di dazi e ritorsioni”, sottolinea Confindustria.

Le reazioni nel mondo, dall’India al Brasile

Mentre si attende di capire che cosa succederà nelle prossime settimane, c’è chi cerca di mettersi in qualche modo al riparo. Per esempio, sempre ieri, giovedì 13 febbraio, si è tenuto alla Casa Bianca l’incontro tra Trump e il premier indiano Narendra Modi. In previsione della visita, secondo il quotidiano The Hindu, New Delhi avrebbe valutato una riduzione dei dazi su alcuni prodotti americani, tra cui le noci pecan. L’India, consapevole di un surplus commerciale pari a 45,6 miliardi di dollari con gli USA, si è anche mostrato disponibile ad accettare il rimpatrio di 110 migranti espulsi da Washington.

Da un continente all’altro, il Brasile vorrebbe invece negoziare un sistema di quote sulle esportazioni di acciaio e alluminio, per evitare l'applicazione della tariffa del 25%, come annunciato dal vicepresidente Geraldo Alckmin. “Le quote sono una buona strada, un meccanismo intelligente”, ha detto, escludendo l'adozione di tariffe in risposta alle mosse statunitensi. “Non vogliamo la guerra commerciale.”

 

In copertina: Donald Trump fotografato da Gage Skidmore, via Flickr