Sulla produzione e il commercio di quelli che una volta venivano chiamati “i generi coloniali”, ovvero zucchero, caffè e cacao, sono sorti veri e propri imperi economici. Francia, Portogallo, Spagna, Inghilterra, Paesi Bassi per secoli hanno selvaggiamente sfruttato popoli e territori − soprattutto in Africa e nei Caraibi − arricchendosi e creando una rete commerciale che ha spostato immense risorse, con un impatto duraturo sulle economie globali e sulle società colonizzate.

Anche adesso nel ricco Occidente industrializzato siamo abituati a considerare questi prodotti come un elemento “normale” della nostra vita quotidiana. Ma non è detto che questa situazione sia destinata a durare: la catastrofe climatica in corso sta già provocando riduzioni della produzione in alcuni paesi, e a cascata anche forti aumenti dei prezzi.

Le piantagioni soffrono temperature estreme, siccità e piogge fuori stagione, con effetti devastanti. Il prezzo del cioccolato è già schizzato alle stelle, con aumenti che hanno toccato il 400% nell'ultimo anno. Il caffè segue lo stesso destino, con quotazioni record e coltivatori sempre più in difficoltà.

Perché il prezzo del caffè è aumentato così tanto

Iniziamo con la tazzina di caffè. Sembra ieri che al bar sotto casa un espresso costava meno di un euro, ma la realtà è che negli ultimi tre anni il prezzo della tazzina è aumentato del 15%, e le stime prevedono un'ulteriore crescita del 15-20% nei prossimi mesi.

La ragione principale? I due maggiori paesi produttori, Brasile e Vietnam, che da soli fanno oltre la metà della produzione mondiale, sono stati colpiti da siccità e piogge intense, ma anche temperature instabili, con effetti devastanti sulle piantagioni. Problemi ci sono stati anche in Indonesia. E così, la produzione di caffè arabica e robusta si è ridotta, facendo schizzare i prezzi al livello più alto degli ultimi cinquant’anni: una recente rilevazione della FAO assegna al 2024 il record, con un aumento del 38,8% rispetto al 2023.

La scarsità ha scatenato la speculazione finanziaria: le grandi aziende di torrefazione hanno iniziato ad accumulare scorte, mentre i piccoli produttori, già in difficoltà, sono stati sommersi dai costi di produzione. Peraltro, per aumentare l’offerta bisogna rispettare i tempi della natura: le piante del caffè impiegano anni per andare a regime.

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Più in generale, come si evince dall’analisi della FAO, il mercato globale del caffè è decisamente squilibrato ai danni dei paesi produttori, a maggior ragione di quelli più bisognosi. Il valore della produzione globale di caffè − 11 milioni di tonnellate nel 2023 − supera i 20 miliardi di dollari all’anno. Il commercio totale del caffè va oltre i 25 miliardi.

Sempre nel 2023 i ricavi delle esportazioni di caffè hanno rappresentato il 33,8% dell’export totale dell’Etiopia, il 22,6% di quello del Burundi, il 15,4% di quello dell’Uganda. Ma l’industria globale del caffè genera oltre 200 miliardi di dollari di ricavi annuali, che certo non finiscono in tasca ai lavoratori, i quali nei campi dalla Colombia al Kenya guadagnano appena 2 euro al giorno in America Latina, Asia e Africa: lo stesso prezzo che ai consumatori costa un singolo cappuccino.

Del resto, come ben sanno le compagnie del settore, il caffè è un bene cui non è possibile rinunciare, e scaricare sui clienti finali eventuali extracosti come l’aumento dei prezzi della materia prima è un gioco da ragazzi.

E lo zucchero?

Se il caffè piange, lo zucchero non ride. Nel 2023 c’è stata una devastante ondata di incendi in Brasile, in particolare nelle piantagioni di Sao Paulo, principale area di coltivazione di canna da zucchero, che poi nel corso del 2024 ha avuto un’estate con condizioni climatiche nefaste.

India e Thailandia, maggiori esportatori di zucchero dopo il Brasile, hanno registrato un’estate con piogge scarse sia nel 2023 che nel 2024. Nel complesso, comunque, le stime per la stagione 2025 sono state riviste al rialzo, con un aumento della produzione in Colombia che compenserà i cali di Brasile e India.

Perché il prezzo del cioccolato è aumentato

Ma la vera tempesta perfetta si sta abbattendo sul cacao. La crisi che sta colpendo questa materia prima, la più commercializzata dopo il caffè, è senza precedenti. E dipende da una combinazione di fattori scatenata dagli eventi climatici estremi che hanno colpito l'Africa occidentale, dove si produce il 70% del cacao mondiale, nel 2023 e nel 2024. L'alternarsi di forti piogge e temperature elevate ha messo in crisi il ciclo produttivo delle piante.

Le piante di Theobroma cacao sono infatti particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, potendo vivere e produrre frutti solo nella fascia equatoriale con condizioni di caldo umido e temperature costanti.

Come evidenzia un rapporto di Climate Central, nell'ultimo decennio il cambiamento climatico ha aggiunto almeno tre settimane con una temperatura superiore ai 32 gradi centigradi nel bel mezzo della stagione del raccolto in Costa d'Avorio e Ghana. Sono temperature ben al di sopra del livello ottimale per la crescita, il che causa alle piante stress idrico.

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Per la verità, l’anno scorso si sono registrate addirittura sei settimane con temperature superiori a 32 gradi nel 71% delle aree produttrici dell'Africa occidentale. E non basta: le piogge torrenziali fuori stagione hanno scatenato malattie come il "virus del cacao", costringendo i coltivatori ad abbattere milioni di alberi infetti.

Le conseguenze sono evidenti: una drastica riduzione dell’offerta, una corsa senza precedenti all'acquisto delle fave di cacao, l’esaurimento delle scorte, un’impennata record dei prezzi, che sono quadruplicati.

Nell’estate del 2022 il cacao costava meno di 2.000 dollari la tonnellata. Il 18 dicembre 2024 è stato toccato il nuovo record, a 12.646 dollari per tonnellata. Adesso va un po’ meglio, ma i prezzi sul mercato internazionale rimangono alti: a metà febbraio 2025 la quotazione era di 10.325 dollari per tonnellata.

Mondelez International parla di “un’inflazione senza precedenti dei costi del cacao”, e ha comunicato una riduzione dei profitti per il 2025. Il colosso svizzero Lindt ha rilasciato previsioni pessimistiche, mentre Nestlé ha riconosciuto il cambiamento climatico come una grave minaccia per il cacao. Aziende come Mars e Hershey hanno già cominciato a ridurre la quantità di cacao nei propri prodotti.

Le grandi multinazionali provano a investire in nuove varietà più resistenti al caldo, oltre che in tecniche agricole più sostenibili, cosa che i piccoli coltivatori naturalmente non sono in grado di fare senza aiuti. Ma per vedere i risultati ci potrebbero comunque volere anni.

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