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In questi giorni, le minacce di nuovi dazi da parte del presidente americano Donald Trump sono sulle prime pagine di tutti i giornali, riaccendendo il dibattito sulla liberalizzazione degli scambi commerciali e sulle conseguenze delle barriere al libero mercato. Conseguenze che si riverberano su tanti aspetti della vita quotidiana, come ad esempio l’alimentazione.
Il report The State of Agricultural Commodity Markets 2024 - Trade and nutrition: policy coherence for healthy diets (SOCO report) pubblicato dalla FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, esplora così i complessi legami tra commercio alimentare e nutrizione, fornendo elementi per individuare in quali modi il commercio influisce sui modelli alimentari e sui valori nutrizionali.
Meno barriere al commercio, più diversità alimentare
Il commercio di prodotti agroalimentari gioca un ruolo chiave nella sicurezza alimentare, trasferendo le risorse dalle aree di produzione in cui sono abbondanti a quelle dove scarseggiano. Questo meccanismo influenza direttamente la disponibilità, la varietà e il costo degli alimenti, contribuendo a garantire un accesso più equo al cibo su scala globale. “Il commercio ha ovviamente un impatto sulla diversità alimentare. In media, raddoppia la varietà di cibo disponibile in un paese", commenta a Materia Rinnovabile Andrea Zimmerman, economista della Divisione commercio e mercati della FAO e una delle autrici principali del rapporto SOCO. "Questo è particolarmente importante per le nazioni che non sono in grado di produrre tutti i nutrienti necessari per soddisfare le esigenze della propria popolazione.”
Il raddoppio della varietà di prodotti alimentari disponibili ai consumatori non è dovuto a una maggiore diversificazione della produzione locale, che in molti paesi è rimasta stabile nel tempo, ma all’espansione degli scambi globali. Dall’inizio del secolo, il commercio di prodotti alimentari e agricoli è quasi quintuplicato, passando da 400 miliardi di dollari a 1.900 miliardi di dollari nel 2022. “Nell’ultima decade, tra il 2010 e il 2020, abbiamo osservato un miglioramento nella disponibilità di nutrienti a livello globale grazie all’aumento degli scambi commerciali,” aggiunge Zimmerman. "Inoltre, il commercio influisce sui prezzi alimentari: quando i paesi importano di più, la disponibilità di cibo aumenta, portando a una riduzione dei prezzi a beneficio dei consumatori."
La liberalizzazione degli scambi e la riduzione delle barriere commerciali, come i dazi, aumentano la concorrenza, abbassano i prezzi e migliorano l’accesso a cibo e nutrienti. Tra gli esempi riportati per evidenziare l’importanza del commercio nell’ambito della nutrizione ci sono quelli della vitamina C e del calcio. “La vitamina C è abbondante negli agrumi, che spesso vengono esportati dalle regioni meridionali più calde verso i paesi settentrionali dal clima più freddo", spiega Zimmerman. "Al contrario, i prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di calcio sono prodotti prevalentemente al nord e vengono esportati al sud.”
Come il commercio influenza i tassi di obesità
Il commercio, in sé, è un processo neutrale: non incide direttamente sulla qualità dell’alimentazione, ma amplia la scelta dei consumatori. Da un lato favorisce l’accesso a frutta e verdura fresca, dall’altro rende più disponibili anche cibi ultraprocessati e ricchi di zuccheri, il cui consumo eccessivo è associato a obesità e a diverse malattie. A livello globale, la malnutrizione è diminuita dal 12,7% del 2000 al 9,2% del 2022, mentre l'obesità degli adulti è quasi raddoppiata, passando dall'8,7% al 15,8% nello stesso periodo.
“La relazione tra commercio e obesità è piuttosto elusiva", sottolinea a Materia Rinnovabile George Rapsomanikis, economista senior ed editor di SOCO 2024. "I nostri risultati mostrano che affiora solo in un gruppo specifico di paesi, cioè nel 10% con i tassi di obesità più elevati. Si tratta soprattutto di piccole nazioni insulari, come le Samoa americane e Tonga, che dipendono in larga misura dalle importazioni. Solo in questi paesi il commercio sembra contribuire all'aumento dei tassi di obesità.” Nel caso specifico di queste isole, il trasporto aereo di prodotti freschi, come verdure e frutta, comporta costi molto elevati, mentre l’importazione di alimenti processati risulta più conveniente. Questo fenomeno deriva dall’interazione tra un’agricoltura locale poco diversificata, con una limitata produzione di cibi freschi, visto il poco spazio a disposizione per la produzione agricola, e gli alti costi del commercio. A questo si aggiungono anche fattori culturali che influenzano le scelte alimentari.
Per contrastare l’aumento dell’obesità, con le sue conseguenze sulla salute e sull’economia, gli stati possono adottare diverse strategie. “Alcuni paesi applicano dazi sulle importazioni di prodotti poco salutari, ma l’efficacia di questa misura dipende dalla produzione interna", conclude Rapsomanikis. "In Messico, ad esempio, la tassazione sulle bevande zuccherate finisce per favorire i produttori locali, anziché ridurne il consumo. Un aumento dei dazi può funzionare solo se il bene non viene prodotto a livello nazionale. Tuttavia, è fondamentale adottare un approccio più ampio, combinando diverse strategie, come campagne di sensibilizzazione sui rischi per la salute, ad esempio tramite l’etichettatura degli alimenti.”
In copertina: immagine Envato