L’irruento ritorno del presidente USA Donald Trump ha catalizzato (da remoto) l’attenzione di quello che è giusto considerare il palcoscenico delle élite globali ma che resta un impareggiabile evento di networking dalla traiettoria futura indecifrabile, il World Economic Forum 2025, che ha riunito a Davos, dal 20 al 24 gennaio, CEO, visionari, leader governativi e accademici di fama mondiale.

Il dibattito non poteva che accendersi su crisi climatica e tensioni commerciali. Dal canto suo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha ribadito l’impegno dell’Unione Europea verso la transizione verde e la giustizia climatica. Mentre tra le voci più controverse va aggiunta senza dubbio quella del presidente argentino Javier Milei, che ha definito Trump, Giorgia Meloni, Elon Musk e Benjamin Netanyahu sue "anime gemelle internazionali" e ha accusato il WEF di promuovere un’agenda "woke", descritta come un "cancro" e "la peggiore epidemia del nostro tempo".

A Davos un clima di contraddizioni

Nello stesso giorno d’apertura del Forum di Davos, l’appena reinsediatosi alla Casa Bianca Donald Trump ha firmato un'ondata di ordini esecutivi, tra cui il ritiro degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi e lo stop ai finanziamenti internazionali per il clima. Il miliardario Bloomberg ha promesso di coprire la quota USA del bilancio dell’Agenzia ONU per il clima, mentre i partner europei hanno subito manifestato il proprio dissenso.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, martedì 21 gennaio ha infatti voluto ribadire da Davos l’impegno dell’UE a rispettare l’Accordo di Parigi, che ha definito “la migliore speranza per l’umanità”, assicurando che “l’Europa continuerà a lavorare con tutte le nazioni che vogliono proteggere la natura e fermare il riscaldamento globale”. Anche la Cina, attraverso il portavoce del Ministero degli esteri Guo Jiakun, ha espresso preoccupazione per il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo, che offre però al Dragone la ghiotta opportunità di assumere un ruolo di leadership.

Il discorso di von der Leyen è stato preceduto da proteste di Greenpeace. Gli attivisti hanno prima srotolato uno striscione con il messaggio: “Tax the super-rich: fund a just & green future”, per poi bloccare l’accesso a un eliporto vicino, chiedendo una tassazione equa sulle grandi ricchezze, sempre più in crescita insieme alle disuguaglianze, come spiegato dal nuovo rapporto Oxfam. Nonostante gli sforzi per promuovere viaggi sostenibili, l’uso di jet privati per il Forum di Davos è infatti cresciuto del 14% rispetto al 2024, con molti voli effettuati per distanze inferiori ai 500 km, mentre il treno messo gratuitamente a disposizione dei partecipanti è stato sottoutilizzato.

USA verso gas e petrolio, UE lancia il Global Energy Transition Forum

Nel primo mandato Trump aveva partecipato al Forum di Davos due volte di persona, mentre quest’anno ha tenuto un discorso in collegamento. “Gli Stati Uniti hanno la maggiore quantità di petrolio e gas di qualsiasi paese al mondo, e li useremo”, ha dichiarato. Una deriva anti-climatica che giunge nonostante per lo stesso World Economic Forum i primi quattro rischi globali a lungo termine siano legati all’ambiente, tra cui eventi climatici estremi, perdita di biodiversità, collasso degli ecosistemi, scarsità di risorse naturali e cambiamenti critici nei sistemi terrestri. Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), da Davos è tornato a ribadire l’urgenza della transizione energetica e rimettere le cifre in prospettiva: “Il mondo sta attraversando una transizione energetica inarrestabile. Solo lo scorso anno, sono stati investiti oltre 2 migliaia di miliardi di dollari nelle energie pulite, rispetto a un migliaio di miliardi nei combustibili fossili”.

Durante il suo intervento Trump ha aggiunto tuttavia che se il petrolio costasse meno la guerra tra Russia e Ucraina finirebbe immediatamente. “Chiederò alla FED che i tassi di interesse calino e all'OPEC di abbassare i prezzi del petrolio", ha detto il neopresidente, annunciando che la stessa Arabia Saudita, membro fondatore dell’OPEC, investirà 600 miliardi negli Stati Uniti nei prossimi 4 anni, come confermato poi dall’agenzia di stampa statale saudita.

Dal canto suo la presidente von der Leyen ha lanciato il Global Energy Transition Forum, insieme al direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale dell'energia, Fatih Birol. Il Forum riunisce partner da ogni angolo del globo, tra cui Brasile, Canada, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Perù, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito. L’impegno è chiaro: realizzare progetti innovativi e attrarre nuovi investimenti per accelerare la transizione all’energia pulita, garantendo che nessuno venga lasciato indietro.

Nel suo intervento, von der Leyen ha evidenziato l'importanza di un'azione collettiva per potenziare la produzione di energia rinnovabile in Africa. Sebbene il continente possieda il 60% delle migliori risorse solari globali e punti a quintuplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030, attualmente riceve meno del 2% degli investimenti mondiali in energia pulita. Un dato che richiede interventi concreti e immediati.

I dazi USA e il destino della cooperazione transatlantica

Trump ha usato il bastone e la carota anche con gli attuali partner commerciali, annunciando dazi: “Se non producete i vostri beni in America, il che è un vostro diritto, allora semplicemente pagherete una tariffa − somme diverse, ma una tariffa − che indirizzerà centinaia di miliardi, persino migliaia di miliardi di dollari, nel nostro tesoro per rafforzare la nostra economia”. Dichiarazioni che hanno sollevato preoccupazioni.

“Abbiamo già visto questo film negli anni Trenta”, ha commentato Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, riferendosi agli effetti devastanti delle tariffe durante la Grande Depressione. “Se il discorso sui dazi è uno strumento di negoziazione, aspettiamo e vediamo cosa accadrà.” In questo contesto, Valdis Dombrovskis, commissario europeo per il commercio, ha ribadito l’importanza di mantenere un dialogo costruttivo con l’amministrazione Trump, sottolineando la volontà dell’UE di avvicinarsi con spirito di collaborazione.

Sul fronte europeo, Christine Lagarde, presidente della BCE, è intervenuta rispondendo alle critiche di Larry Fink, CEO di BlackRock che qualche giorno ha lasciato la Net Zero Asset Managers Initiative, che ha definito l’Europa “più un mito che una realtà”, a causa del ritardo accumulato rispetto all’economia americana. Lagarde ha ribattuto evidenziando la trasformazione in atto nel Vecchio Continente, ma ha anche riconosciuto che molto resta da fare: “Se l’Europa riuscisse finalmente a completare il mercato unico, potrebbe eliminare il 40% delle tariffe interne sui beni e il 110% su quelle dei servizi, come rilevato da uno studio del Fondo Monetario Internazionale. Il messaggio ai leader dell’Unione è di darsi da fare e completare il lavoro”. Un primo risultato potrebbe ora vedersi già mercoledì 29 gennaio, con la presentazione da parte della presidente von der Leyen della cosiddetta Bussola della competitività, il piano di “attuazione” del Rapporto Draghi.

 

In copertina: Donald Trump al WEF © World Economic Forum / Sandra Blaser, via Flickr