Non è certo una mossa sorprendente: Donald Trump ha firmato i due ordini esecutivi che prevedono dazi del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti. Ha preannunciato inoltre che imporrà “dazi reciproci” verso i paesi che li applicano sui prodotti statunitensi, e ne sta valutando altri su auto, prodotti farmaceutici, chip per i computer. Solo l’Australia, pare, scamperà a questa ondata di rincari delle tariffe, che sostanzialmente ricalca quanto lo stesso Trump fece nel corso del suo primo mandato nel 2018, e che poi ritirò nel 2021.
Nel mirino dell’offensiva − che come tutte le altre iniziative varate in questo scorcio iniziale della presidenza Trump ha un doppio scopo, propagandistico e transazionale − più che l’Unione Europea c’è la Cina, che pesa fortemente sul mercato mondiale di questi due metalli e spiazza a livello di prezzo i produttori americani. Certo è che i primi cinque esportatori di acciaio negli Stati Uniti sono Canada, Brasile, Messico, Corea del Sud e Germania, mentre sempre il Canada è in testa anche per l’alluminio, con a seguire Emirati Arabi, Russia e Cina.
Le conseguenze globali delle politiche di Trump
Naturalmente al di là del merito di queste misure commerciali ci sarà da valutare le conseguenze globali di una nuova fase di incertezza e di attacchi e contrattacchi nelle politiche delle esportazioni e importazioni, comprese quelle di tipo politico, oltre a quelle sui prezzi per i consumatori. Come ha detto il vicepresidente della Banca centrale europea (BCE) Luis de Guindos, “l’imposizione di dazi è un circolo vizioso, come negli anni Trenta quando ha aggravato la Grande Depressione”.
Questo, ahinoi, è il brave new world in cui ci ha catapultati tutti quanti l’elezione di Donald Trump. Ed è facile prevedere che le balzane idee di svuotare Gaza dai palestinesi per trasformarla in un resort turistico, di far balenare l’idea che l’Ucraina un giorno possa tornare a far parte della Russia, o di scatenare un braccio di ferro globale sul commercio internazionale non promettano nulla di buono. Tantomeno per l’Europa, che ancora non è in grado (per colpa di alcuni dei suoi leader politici nazionali, va detto) di affrontare il suo ruolo economico e politico nel mondo con una struttura operativa minimamente efficiente e degna di questo nome.
Stamani, martedì 11 febbraio, le reazioni di Cina ed Europa alle mosse di Trump sono state comunque critiche e preoccupate, ma accompagnate da controminacce nei confronti degli Stati Uniti. In una guerra dei dazi “non c’è un vincitore”, ha affermato un portavoce del Ministero degli esteri cinese. La Cina aveva già annunciato per oggi il suo via libera ai dazi cinesi del 10-15% su 14 miliardi di dollari di merci importate dagli USA.
Dazi su acciaio e alluminio, l’Europa vuole rispondere
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, stamattina ha dichiarato di essere “profondamente dispiaciuta per la decisione degli Stati Uniti di imporre dazi sulle esportazioni europee di acciaio e alluminio. Le tariffe sono tasse: dannose per le imprese, peggio per i consumatori. I dazi ingiustificati contro l'UE non rimarranno senza risposta: scateneranno contromisure ferme e proporzionate. L'UE agirà per salvaguardare i propri interessi economici. Proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre aziende e i nostri consumatori."
Le parole chiave da seguire sono “ferme e proporzionate”. Sulla carta, l’UE ha molte frecce al proprio arco per contrastare le offensive tariffarie degli Stati Uniti. Tanto per cominciare, l’Europa potrebbe ridurre la tariffa del 10% che grava sulle importazioni di automobili prodotte negli USA (che a loro volta invece hanno un dazio, per ora, solo del 2,5%). C’è anche la possibilità di accogliere alcune delle altre richieste di Donald Trump, come ad esempio accettare di comprare più gas dagli Stati Uniti (sempre che i prezzi siano ragionevoli), o più armi per gli eserciti delle nazioni europee. Oppure ci sono le contromisure su cui stanno lavorando i tecnici della Commissione. Ad esempio, si parla di dazi mirati su settori specifici o prodotti legati a determinate aree geografiche politicamente schierati con Trump.
Di sicuro gli strumenti legali a disposizione della Commissione non mancano, come l’Anti-Coercion Instrument (ACI), varato nel 2023, studiato per rispondere quando un paese esercita pressioni politiche sull’Unione, o anche su un solo paese dell’Unione. Sarebbe perfetto per colpire in modo mirato le grandi aziende della big tech digitale filotrumpiana, con un’ampia gamma di misure di ritorsione, inclusi dazi equivalenti sui prodotti statunitensi o restrizioni alla capacità delle aziende statunitensi di investire o partecipare ad appalti pubblici nell’UE. Per poter entrare in funzione occorre il via libera di una “maggioranza qualificata” di 15 dei 27 stati membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione del blocco.
Le fragilità dell’Europa e il ruolo dell’Italia
Detto questo, bisogna essere obiettivi: sul tappeto c’è anche un disastro politico per l’Europa, con la frantumazione dell’Unione proprio a partire dal tema della risposta alle guerre commerciali con Trump. Il presidente USA vede l’Europa come una realtà debole, fragile, facile da spaccare. E ha le sue ottime ragioni, visto che le leadership di Francia e Germania sono in estrema difficoltà, e soprattutto visto che non mancano i cavalli di Troia, come la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per non citare i soliti leader di Slovacchia, Robert Fico, e Ungheria, Viktor Orban.
Del resto, come ha detto stamani il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, "è ovvio che per noi il tema dei dazi è importantissimo: noi esportiamo 626 miliardi di prodotto, puntiamo a esportarne 700 miliardi, siamo il quarto paese al mondo per esportazioni quindi la guerra dei dazi, ovviamente, non ci fa bene". E dunque, "serve negoziare subito con gli Stati Uniti, credo che ci sia anche la possibilità ed è giusto che sia l'Europa in modo compatta a negoziare. Credo che il nostro presidente del Consiglio possa aiutare l'Europa a trovare un negoziato".
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