Da mesi, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, minaccia di introdurre dazi sulle importazioni americane, con una retorica protezionista che domina l'agenda della sua amministrazione. Ma dietro queste promesse c'è davvero l'intenzione di avviare una guerra commerciale globale, o si tratta semplicemente di una tattica negoziale per ottenere vantaggi nelle trattative con altri paesi? Ne abbiamo parlato con Lucia Tajoli, professore ordinario di politica economica al Politecnico di Milano, per analizzare le potenziali implicazioni di queste politiche sull'economia globale e sul mercato americano.
Secondo lei, gli annunci di Trump sui dazi sono solo una tattica negoziale o intende davvero applicarli? Pensiamo alla Colombia: la sola minaccia di tariffe al 25% l’ha indotta ad accettare i migranti espulsi dagli Stati Uniti.
Sicuramente Trump sta utilizzando i dazi anche come strumento di pressione e in chiave negoziale, non c’è dubbio. In questo caso, la minaccia funziona soprattutto contro un paese relativamente piccolo rispetto agli Stati Uniti, come può essere il caso della Colombia, o un paese che ha negli Stati Uniti un mercato di sbocco cruciale. Questo modo di utilizzare i dazi non è però efficace con tutti. Ad esempio, la situazione con la Cina è completamente diversa.
Trump sostiene spesso che i dazi riducano i prezzi, facendo pagare agli importatori i costi. È corretto dal punto di vista economico?
No, questa affermazione è sbagliata. I dazi sono una tassa e quindi aumentano i prezzi. Se io impongo una tassa sul bene, chi la paga? Tipicamente, dal punto di vista della teoria economica, il costo del dazio viene trasferito al consumatore nella maggior parte dei casi, perché dipende dal potere di mercato dei soggetti. Per esempio, se un bene costa 10 dollari e viene imposto un dazio del 25%, il prezzo finale sale a 12,5 dollari. Il produttore continua a incassare quanto guadagnava prima, mentre la tassa viene pagata dal consumatore che vede aumentare il prezzo. Nella migliore delle ipotesi, dal punto di vista del consumatore americano, siccome un aumento del prezzo riduce almeno un po’ le vendite, potrebbe succedere che il produttore decida di ridurre leggermente il suo margine, guadagnando 9 e portando il prezzo a 11,25. Il consumatore vedrà un leggero aumento del prezzo, il produttore vedrà una piccola riduzione dei suoi ricavi. Inoltre, in un ipotetico scenario in cui i dazi bloccano completamente le esportazioni verso gli USA, l’effetto sui consumatori è ancora più grave, perché non hanno più a disposizione quei beni. In questo caso sono costretti ad acquistare prodotti interni, che possono diventare più costosi, perché i produttori americani non sono più soggetti alla concorrenza dall’estero.
Queste politiche potrebbero anche aggravare l’inflazione?
Assolutamente sì. Tutti i modelli previsionali indicano che l’imposizione di dazi da parte di Trump aumenterebbe in modo significativo l’inflazione. Tuttavia, questo è contradittorio, perché uno dei motivi della sua elezione è stata proprio la protesta contro l'aumento dei prezzi e l'inflazione.
E per quanto riguarda l’impatto sulla bilancia dei pagamenti americana?
L’impatto sarebbe nullo, poiché il disavanzo commerciale è legato a fattori macroeconomici e non ai dazi. Questo è stato dimostrato anche durante la prima presidenza Trump, quando il disavanzo commerciale non si è ridotto. A causa dei dazi, gli Stati Uniti hanno semplicemente sostituito le importazioni dalla Cina con quelle provenienti da altri paesi. Per ridurre il disavanzo commerciale, sarebbe necessario aumentare molto la produzione interna o ridurre i consumi, ma questo richiede politiche diverse. Ad esempio, i sussidi che Biden ha cercato di introdurre in alcuni settori sono più efficaci di una politica basata sui dazi.
Quindi i dazi non apporterebbero benefici al mercato interno statunitense?
Non esistono esempi storici di paesi che abbiano tratto beneficio da politiche protezionistiche generalizzate. Infatti, tutti i paesi che hanno smantellato il protezionismo hanno avuto dei benefici. I dazi possono avere senso solo in casi molto specifici, quando un paese decide di proteggere un settore per ragioni politiche, strategiche o economiche. Tuttavia, questa protezione comporta sempre dei costi. Per esempio, se si vuole sostenere il settore dell’acciaio, si penalizzano i settori che utilizzano l’acciaio, come l’industria automobilistica e quella delle costruzioni. I dazi generalizzati, come dicevamo all’inizio, possono riflettere la logica del negoziatore che vuole fare il braccio di ferro, ma dal punto di vista economico non sono difendibili.
E quali sarebbero le conseguenze per l’Europa, considerando che Trump ha accusato l’UE di “trattare male” gli Stati Uniti sul piano commerciale?
L’Europa rappresenta un mercato cruciale per gli Stati Uniti, così come gli USA sono importanti per l’UE. I dazi statunitensi causerebbero dei danni, in particolare a quei settori che dipendono maggiormente dal mercato americano per le esportazioni. Tuttavia, non esiste solo il mercato americano. Infatti, durante la prima presidenza Trump, l’Europa è riuscita a riorientare molte esportazioni verso altri mercati. A mio avviso, il problema principale è l'aumento dell'incertezza nei mercati globali. Temo l’effetto di scoraggiamento, soprattutto per le piccole imprese europee. L’incertezza sul futuro potrebbe dissuaderle dall’espandersi nel mercato americano, limitando la possibilità di cogliere nuove opportunità.
L’Europa risponderebbe a Trump con misure simili?
Ursula von der Leyen ha detto che nel caso venissero imposti i dazi risponderebbe, come già fatto in passato. Tuttavia, uno dei motivi per cui i dazi di Trump non funzioneranno sul piano economico è che il protezionismo tende a generare risposte analoghe da parte degli altri paesi. È plausibile che l'Europa risponda con nuovi dazi, cercando di convincere Trump a rimuoverli in cambio di un impegno reciproco per eliminarli, utilizzandoli come strumento negoziale. Inoltre, poiché l'Italia fa parte dell'Unione Europea che agisce come un unico blocco doganale, eventuali dazi americani contro l'Europa riguarderebbero anche il nostro paese.
E la Cina? Considerando che Trump ha già avviato una guerra commerciale con la Cina durante la sua prima presidenza, quali potrebbero essere le nuove implicazioni?
Anche per la Cina i dazi costituirebbero un problema e, come per l’Europa, il mercato USA è importante ma non è l’unico. La Cina ha già dimostrato di saper aggirare i dazi trasferendo la produzione in paesi come il Vietnam e permettendo così l'arrivo di beni cinesi negli Stati Uniti attraverso questi paesi. Inoltre, la Cina è meno dipendente dalle esportazioni rispetto al passato, con il rapporto esportazioni/PIL che è diminuito molto negli ultimi anni, poiché ha iniziato a riorientare le proprie politiche di sviluppo maggiormente verso i consumi interni. La Cina è il secondo importatore al mondo: perdere il mercato cinese per gli statunitensi sarebbe altrettanto dannoso quanto per i cinesi perdere quello statunitense. Pertanto, eventuali ritorsioni cinesi danneggerebbero le imprese americane. È il caso, per esempio, di Tesla e di Elon Musk che sta producendo e vendendo in Cina. In breve, il potere negoziale della Cina è alto, senza contare la quantità di debito statunitense che la Cina detiene.
Quindi Trump sta alzando la voce con i paesi più piccoli, come la Colombia o la Danimarca, ma non con i più grandi…
Esatto, Trump ha cercato di alzare la voce anche con paesi europei individuali. Ma se l’UE riuscisse a presentarsi con un fronte compatto avrebbe, da certi punti di vista, le stesse caratteristiche della Cina. Tuttavia, l'UE è molto meno coesa e meno capace di agire come un blocco unitario. In questo contesto, il governo italiano ha commesso un errore strategico. Capisco le buone intenzioni di Meloni, ma spaccare il fronte europeo è il modo sicuro per uscirne perdenti. Di fronte agli Stati Uniti, ogni paese europeo ha un peso nettamente inferiore rispetto al potere negoziale che avrebbe l'Unione se agisse unita.
Quindi, nel caso Trump decidesse di procedere con queste politiche, il panorama per gli Stati Uniti non sarebbe positivo.
A breve termine potrebbero esserci alcuni effetti positivi per certi settori specifici, ma nel complesso gli effetti sarebbero negativi. Queste scelte sono spesso dettate da interessi politici e non da una logica economica di lungo termine. Anche l’industria hi-tech, che oggi sostiene Trump, prospera su un mercato globale aperto e integrato. Limitarsi al mercato interno americano sarebbe un problema enorme per lei, visto che il mercato globalizzato è quello che l’ha resa grande. In poche parole, chiudersi in un sistema protezionista danneggia tutti nel lungo periodo: sono strategie poco lungimiranti.
In copertina: Donald Trump fotografato da Gage Skidmore, via Flickr