Il 18 e 19 settembre si terrà presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite l'incontro quadriennale di alto livello finalizzato a valutare lo stato di attuazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, impegno sottoscritto da tutti i paesi nel 2015 e che si basa su 17 obiettivi e 169 target di carattere economico, sociale, ambientale e istituzionale che ogni Stato si è impegnato a conseguire entro la fine del decennio.
SGDs, obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile, noti oggi con l’acronimo inglese di SGDs (Sustainable Development Goals) sono un faro potente per indicare la traiettoria d’indirizzo dello sviluppo umano, sia che si tratti di ambiente, lotta alle diseguaglianze, rispetto dei diritti, efficienza delle istituzioni, sviluppo economico e sociale. Entro il 2030 dovremo raggiungere tutti e 17 gli obiettivi di sviluppo sostenibile per garantire in ogni nazione una possibilità di prosperità per ogni cittadina e cittadino, presente e futuro.
In queste due date si riuniranno per la prima volta dal 2015 tutti i capi di Stato e di Governo, per fare il punto a metà della strada dell’Agenda 2030 sullo stato di avanzamento di questa sfida globale, la più alta e ambiziosa, in grado di elevare le nostre esistenze sulla promessa di un mondo migliore.
Ostacoli e criticità
Il contesto internazionale è complesso, con una crescente polarizzazione tra gruppi di nazioni, in particolar modo tra USA/Europa contro Cina/Russia, il tentativo di rafforzare i Brics, l’eccessivo interventismo NATO, la scarsa cooperazione climatica ostacolata dal mondo dei petrolieri arabi, su tutti. Una situazione che certo non contribuisce ad accelerare sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Lo si evince anche dal Rapporto sullo stato dell'Agenda 2030 che l'Onu ha pubblicato a luglio, e su cui i capi di stato a New York dovranno esprimersi. Il documento dimostra come alcuni paesi abbiano preso gli impegni con grande serietà e altri invece latitano, arretrando nelle gerarchie dello sviluppo sostenibile a causa della politica interna, dei danni fatti dalla pandemia, degli impatti della guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione.
Nel Rapporto si spiega che per il 50% degli SDGs il progresso è insufficiente o a rischio, mentre per il 30% di essi (specialmente quelli relativi alla povertà, alla fame e alla crisi climatica) la situazione è stagnante o è addirittura peggiorata rispetto a sette anni fa. Metà del mondo arretra e in tante aree del pianeta il cambiamento climatico avanza senza mostrare segni di rallentamento. Per la prima volta, dopo anni di report intermedi ottimistici, la situazione è fosca: rischiamo di non raggiungere gli obiettivi di Agenda2030.
Anche l’Italia arretra
L’Italia in questa sfida non brilla particolarmente, né a casa né nel suo ruolo di superpotenza che dovrebbe contribuire in maniera significativa alla cooperazione allo sviluppo sostenibile globale. La cifra la offrono gli indicatori pubblicati dall'Istat e dall'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) e ricordati in un recente editoriale di Enrico Giovannini su La Repubblica.
Il presidente dell’ASviS ricorda che “rispetto al 2015, l'Italia presenta peggioramenti nei campi della povertà e delle disuguaglianze, della gestione dei sistemi idrici, della condizione degli ecosistemi e delle città”, ma non si registrano miglioramenti nemmeno clima e sull’aiuto allo sviluppo, sostanzialmente stagnanti.
Appena positive le metriche su salute, diseguaglianze di genere, innovazione ed economia circolare. Ma le notizie che arrivano dal MEF non sono certo buone: ovunque si parla di tagli, vista la condizione strutturale dell’economica che non riesce a uscire dalla spirale inflazionistica e l’incapacità di rafforzare su lotta all’evasione e nuove tasse sui grandi patrimoni (poco di fatto con il prelievo sugli extraprofitti).
I fondi per la cooperazione internazionale per la prima volta nel 2022 raggiungono lo 0,32% del rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo – ben lontano dall’obiettivo dello 0,7% – ma che vede comunque un aumento degli aiuti pubblici allo sviluppo di circa 1 miliardo rispetto al 2021. Eppure anche qua c’è il trucco: si includono nel conteggio anche le risorse destinate all’accoglienza in Italia di richiedenti o titolari di protezione internazionale.
Inoltre il governo Meloni, sempre di più alle strette con il bilancio nazionale, potrebbe ridurre nel 2024 gli aiuti pubblici allo sviluppo e non incrementare la spesa in finanza climatica, che rimarrà ferma a 840 milioni, lontano dalla sua quota di 4,8 miliardi, tema che richiederà l’impegno del nuovo inviato speciale per il clima, Francesco Corvaro.
Il governo arranca tra clima, povertà e sviluppo sostenibile
Ma da un governo che sorvola sul negazionismo climatico e in Europa, guidato dalla Lega non più nord di Salvini, spinge per respingere tutti i provvedimenti del Green Deal, non ci si può certo aspettare nuove risorse per l’SDG numero 13 sul clima. Almeno da un governo puntellato da esponenti della destra sociale ci si sarebbero aspettati maggiori interventi dopo lo stop al reddito di cittadinanza e una discussione più aperta sul salario minimo, lavorando su una povertà economica (oltre che sociale e culturale) sempre più diffusa. Ma nemmeno in questo si sono visti progressi.
Giorgia Meloni, capo di un governo di un Paese del G7 (di cui si appresta a prendere la guida), prepara il suo difficile viaggio a New York di settembre, dove parlerà al Palazzo di Vetro e dove dovrà dare un chiaro sostegno allo sviluppo dell’agenda e indirizzare il lavoro del G7. Potrebbe arrivare con una sorpresa approvando appena prima la Strategia sullo sviluppo sostenibile italiana, documento che irrita non pochi esponenti della maggioranza e che disgusta i suoi elementi più sovranisti?
Dovrebbe apertamente rafforzare la spesa sugli aiuti pubblici allo sviluppo e sul clima, promettendo di metterlo nella legge di bilancio di dicembre, riaffermare l’impegno alla neutralità carbonica entro il 2050 e spiegare come intende fare fronte all’aumento della povertà nel nostro paese, mentre cresce il gap tra super ricchi e le fasce meno ricche della popolazione.
Internazionalismo e sviluppo sostenibile
Per il momento sembra che il governo punterà su una sfida poco politica per il G7: la sicurezza alimentare, come già ribadito al summit sui Food System della FAO di luglio. Ma non basterà: se Giorgia Meloni vuole vestire i panni della statista internazionale dovrà lavorare pesantemente nelle prossime settimane per un piano e un discorso che non solo diano credito all’Italia, ma che sappiano offrire una visione in un mondo confuso e sempre meno cooperativo di guida per le grandi nazioni.
Il ritrovato atlantismo non fungerà da cura, se Giorgia Meloni vuole davvero brillare dovrà spingere per un grande internazionalismo che si ritrova sotto l’egida degli obiettivi di sviluppo sostenibile e delle Nazioni Unite e lavorare per un riavvicinamento tra Cina e mondo atlantico, isolando la Russia e includendo India e mondo latinoamericano. Il piano dell’Agenda 2030 non può essere rimandato e la storia un giorno condannerà tutti coloro che hanno contribuito ad affossare questa grande visione.
Immagine: Franco Atkins, Pexels