L’evoluzione demografica è da sempre considerata dagli analisti, economisti ed esperti di future studies uno dei temi chiave per comprendere il futuro di una nazione, in modo da poterne pianificare lo sviluppo economico con un’attenzione alle future generazioni e a quelle odierne. Un tema, quello del considerare gli impatti di una società sul domani, tornato in auge con l’importante saggio Come essere un buon antenato. Un antidoto al pensiero a breve termine, scritto da Roman Krznaric (Edizioni Ambiente, 2023).
Oggi - spiega l’autore - esistiamo in un’epoca dominata dalla tirannia dell’istante, facendoci dimenticare che le nostre azioni hanno conseguenze che possono durare per decine o centinaia di anni. Dall’inazione contro il cambiamento climatico all’estrattivismo iper-capitalista, dalle politiche neoliberiste al lavoro precario e flessibile, fino all’iperconsumismo, rischiamo di consegnare alle generazioni future (e a noi stessi tra 40 anni) un pianeta devastato dalla policrisi ambientale, spogliato dei diritti umani e del lavoro di base, sempre più polarizzato, economicamente e politicamente.
Il club dei Paesi ultra-vecchi
Uno dei segnali che ignoriamo – tra i tanti – sono i modelli demografici sull’evoluzione della nostra popolazione. Non ci sforziamo nemmeno di progettare il mondo di domani per noi stessi.
L’Italia infatti nel 2025 entrerà nel club dei Paesi “ultra-vecchi” con almeno un quarto della popolazione over-65 anni. Un club esclusivo, la cui membership per il momento è condivisa solo con il Giappone, ma che si allargherà nel quinquennio successivo a Spagna, Portogallo, Grecia, Germania, Finlandia, Corea del Sud e poi altri ancora.
Nel 2050 la popolazione anziana nel Belpaese sarà il 40% del totale.
Da un punto di vista umano è un grande risultato, figlio della prosperità tecnologica, medica, economica e sociale, che ci porterà a vivere più a lungo, forse più sani, presumibilmente più saggi, allungando l’età lavorativa e ritardando l’età di ingresso nel mondo del lavoro per i più giovani. Un allungamento della vita che avrà un importante costo ambientale, compensato – se vogliamo vederla come cruda matematica dell’impronta ambientale dell’uomo – dalla ridotta natalità.
Ma il vero dilemma saranno gli imprevedibili impatti socio-economici. La forza lavoro si ridurrà proporzionalmente e così la percentuale assoluta di giovani. Il numero di persone in età lavorativa in Corea del Sud e in Italia, Paesi che saranno tra i più anziani al mondo, dovrebbe diminuire di 13 milioni e 10 milioni entro il 2050, secondo le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite. Si prevede che la Cina avrà 200 milioni di residenti in età lavorativa in meno, una diminuzione superiore all'intera popolazione della maggior parte dei Paesi. Nel nostro Paese si passerà da 37 milioni di lavoratori a 27, mentre i giovani passeranno da 7,2 milioni a solo 5,8 milioni (mantenendo il tasso di natalità inalterato).
Il rallentamento dell’innovazione sociale
Le diramazioni di questo scenario, per l’Italia, sono complessissime. Innanzitutto sul sistema previdenziale si dovrà intervenire con un aumento dell’età di pensionamento importante, formalmente inevitabile ma come hanno mostrato anche le recenti manifestazioni in Francia, fonte di proteste e contestazioni.
Ci sarà inoltre un probabile rafforzamento di posizioni conservatrici e scarsa innovazione sociale, probabile carattere dei Paesi ultravecchi, meno propensi a trasformazioni sociali, culturali ed economiche. Ripeto: probabile.
Si rallenteranno ulteriormente due grandi trasformazioni. Da un lato la transizione ecologica, che vede già oggi nelle fasce degli over-50 le principali sacche di resistenza (dal negazionismo agli hater di Greta passando per l’ostilità verso le politiche del Green Deal europeo, sfruttate dal populista di turno di destra o estrema sinistra). Dall’altro l’evoluzione culturale e sociale: dalle nuove famiglie all’integrazione AI-umani, passando per la distruzione dei nazionalismi e il rafforzamento dell’internazionalismo, l’integrazione inter-etnica, le culture rigenerative e di decrescita, il superamento dell’iperconsumismo novecentesco.
Natalità e immigrazione
Una situazione non semplice da gestire. Osservando i dati però ci si accorge che USA e Australia invecchieranno molto più lentamente dei Paesi europei. Le motivazioni? Elevata natalità mischiata ad immigrazione (fenomeni che si rafforzano a vicenda, popolazione più giovane favorisce l’immigrazione, immigrati hanno tassi di natalità più elevanti). I Paesi sviluppati possono garantire prosperità a questi nuovi cittadini e allo stesso tempo avere impatti positivi sulle principali transizioni culturali e ecologiche di questo secolo.
In futuro si prospetteranno scelte che oggi nemmeno possiamo immaginare: dal voto fino a un’età massima di 75 anni per ridurre il peso politico dei grandi anziani e aumentare quello della piccola minoranza dei giovani, fino a politiche di immigrazione a doppio flusso, con i giovani che si rilocalizzano nei Paesi ad avanzata industrializzazione e gli anziani che si trasferiscono nei Paesi a reddito medio, compensando così le pensioni medie, con nuove politiche di gestione dei flussi.
Servirà grande innovazione sociale per gestire trasformazioni cosi complesse. Ma ciò potrà ridurre l’esposizione a rischi politici e ambientali, favorendo un maggiore cross-fertilizzazione culturale, ridando spinta a un nuovo mondialismo che sarà la cifra dell’evoluzione umana del XXI secolo.
Immagine: Envato Elements