Dopo oltre sei mesi di “vacanza” la diplomazia italiana del clima torna ad avere una guida. L’8 agosto il ministro per gli Affari esteri e la Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, e il ministro per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, hanno nominato Francesco Corvaro Inviato Speciale per il Cambiamento Climatico.
“Ottimo il fatto che sia stato nominato un inviato per il clima. Il resto è tutto da dimostrare. L'Italia ha bisogno di un punto di riferimento e di un rappresentante di profonda competenza. Le aspettative sono elevate, ci aspettiamo serietà, rigore e determinazione”, ha commentato Serena Giacomin, climatologa e Presidente di Italian Climate Network.
Corvaro è professore associato di Fisica Tecnica Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale e Scienze Matematiche dell’Università Politecnica delle Marche e ‒ come si legge nel comunicato del MASE ‒ “vanta competenze e pregressa esperienza nei settori della transizione energetica ed ecologica e del cambiamento climatico”. Materia Rinnovabile lo ha raggiunto telefonicamente negli Stati Uniti per sapere quali saranno le priorità del suo mandato.
Professore, un mandato importante quello di Inviato per il clima: si sente pronto?
Innanzitutto, sulla nomina il mio più grande ringraziamento va al ministro Tajani e al ministro Fratin che mi hanno dato fiducia su un argomento non solo delicato ma molto trasversale. Il lavoro più grande, in questo momento, sarà infatti coordinare tutte le varie azioni che vengono fatte in Italia e all'estero, che riguardano i cambiamenti climatici.
Come ormai è noto a tutti, qualsiasi scelta rientra nel tema cambiamento climatico. Dalle problematiche energetiche, alla problematica della biodiversità, alla problematica sociale, non esiste ormai un aspetto della vita che non abbia a che fare con questo.
Perché è importante agire per il clima?
Ci siamo abituati a parlare di cambiamento climatico andando a “riversare il problema sulla natura”. Ma il problema è su di noi. Il cambiamento climatico va a toccare la nostra vita. Questo è il punto da cui dovremmo partire.
La natura è sempre stata in grado di trovare il suo equilibrio. Ma in questo momento è nostro interesse che questo equilibrio continui a mantenere lo status in cui siamo e che ci permette di vivere in varie parti del nostro pianeta.
Spesso quando parlo con i miei studenti di tematiche energetiche chiedo quale è stato l’evento più catastrofico che hanno in mente. Tutti alla fine pensano a Chernobyl. Effettivamente a Chernobyl la natura è tornata, l'uomo no. Ecco, questo qualche domanda ce la dovrebbe far porre.
La terra è la nostra casa. Quindi non è solo un dovere, come sento spesso, lasciarla ai nostri figli. Ma è un obbligo mantenerla. Io non ho mai visto nessuno sano di mente bruciarsi casa da solo.
Ha già individuato un tema prioritario nella sua agenda politica?
Abbiamo diversi incontri in preparazione della COP28. Dovremo portare delle nostre proposte, su cui personalmente sto già lavorando. Ufficialmente ho iniziato il 1° agosto e sono già negli Stati Uniti per prendere contatto con i nostri dell'ambasciata che lavorano con l'amministrazione statunitense, per capire dove siamo arrivati e quello che stiamo facendo.
Il primo passo è capire quello che già è stato fatto dalle nostre amministrazioni governative e poi chiaramente prepararsi più rapidamente possibile per proporre delle iniziative sulla COP28, anche in vista del prossimo anno, quando l'Italia avrà la presidenza del G7.
La prossima COP28 si terrà negli Emirati Arabi Uniti, a casa dei petrolieri. È preoccupato?
Ho avuto dei colloqui con i nostri tecnici, i direttori generali del ministero, in particolare con la dottoressa Fricano. Mi sono sembrati molto contenti di come sta andando, quindi non vedo preoccupazioni. Ovviamente questo è un tema, quello climatico, che purtroppo va oltre il cambiamento climatico vero e proprio. Ci sono interessi molto trasversali. Quindi noi siamo sempre attenti, però, per il momento, non ci sono particolari preoccupazioni.
Come accademico di cosa si è occupato? Qual è la sua esperienza internazionale in ambito clima?
Nel 2002 ho iniziato il mio dottorato con un argomento che adesso più o meno è sulla bocca di tutti: il Life cycle assessment (LCA), cioè la valutazione del ciclo di vita, metodo che oggi è utilizzato spessissimo quando si vuole capire l'effettivo impatto sul clima che hanno le azioni o i prodotti che ci circondano.
Al tempo, quando ho iniziato, il nome del mio dottorato era “Affidabilità, sicurezza e sostenibilità ambientale nell'esercizio degli impianti industriali complessi” e l'abbiamo applicato al caso della raffineria API di Falconara Marittima di Ancona. Da quando sono laureato ho lavorato su questi temi, che sono molto connessi anche al mondo dell'energia.
Inoltre ho lavorato qui negli Stati Uniti con la Climate Change Conference instaurato alla Catholic University of America, ma con un respiro aperto a tutti gli Stati Uniti, perché partiva dall'enciclica del Papa Laudato si’. Su questi temi il Papa è assolutamente molto sensibile e direi anche molto preparato. Ho avuto modo di incontrarlo in passato mentre ero qui negli Stati Uniti.
Ha già parlato anche con John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente degli Stati Uniti?
No, non ancora. Il mio primo passo sarà quello di parlare con i nostri che lavorano a stretto contatto con l'amministrazione Biden su questi temi. Prima di fare un incontro ufficiale con Kerry vorrei capire bene quali sono i rapporti con cui ci stiamo muovendo. Io sono un ingegnere e scientificamente sul campo, e tecnicamente sono pronto. Però molto è anche politica e va gestito diplomaticamente. Quindi prima vorrei essere io pronto per affrontare una discussione, anche in vista della prossima visita della nostra premier qui a New York.
Immagine: UN Climate Change / Kiara Worth