“Vareremo un grande piano di prevenzione idrogeologica”. Questo l’annuncio solenne della premier Giorgia Meloni due giorni fa prima di volare alla Casa Bianca da Joe Biden, dove per altro è stato confermato l’impegno sul clima dell’Italia. Promessa importante ma disallineata con l’annuncio di ieri da parte del Governo, che ha dovuto cestinare un pezzo importante del PNRR, pari a 16 miliardi di euro: un taglio che include anche gli 1,28 miliardi di euro destinati ai Comuni per la gestione del rischio di alluvione. Proprio in un’estate dove gli effetti più acuti del cambiamento climatico hanno mostrato la vulnerabilità dei territori.
Un taglio di 13 miliardi di euro per i Comuni
La scure si abbatte soprattutto sui Comuni che perdono 13 miliardi di euro, fondi che dovevano essere in buona parte destinati alla mitigazione e adattamento al cambiamento climatico e che erano stati negoziati con l’Europa, oggi sempre più preoccupata per come l’Italia sta spendendo i fondi NextGenEU. Di questi 13 miliardi, 6 riguardavano gli interventi di resilienza ed efficienza energetica (inclusi 110 milioni per il verde urbano fondamentale per combattere le ondate di calore), 3,3 erano per le misure di rigenerazione urbana (per combattere emarginazione e degrado sociale), 2,5 per piani urbani integrati, oltre alle già citate spese di riduzione del rischio e adattamento.
Sempre green gli altri settori colpiti: l’idrogeno in settori hard-to-abate perde un miliardo di euro, la promozione di impianti innovativi (incluso offshore) perde 675 milioni (ma le aziende del settore gioiscono per l’integrazione RepowerEU con il PNRR). Per finire, un quasi-regalo alle mafie con il taglio di 300 milioni per la valorizzazione dei beni confiscati.
Sono inoltre state modificate 144 misure su 349 per permettere al PNRR di marciare più velocemente e centrare gli obiettivi.
Errori e mancanze
Questo taglio deriva da una catena di errori che risalgono fino al governo Conte, e che in maniera deliziosamente bipartisan ricadono su tanti Comuni di qualsiasi colore politico, in particolare al Sud che doveva esserne maggiormente beneficiato, ma che vedono nel Ministero dell’Ambiente guidato dal forzista Gilberto Pichetto Fratin e nel Ministero dell’Interno i principali responsabili per non aver saputo coordinare le risorse.
Secondo Annalisa Corrado, responsabile ambiente della segreteria del PD, intervistata da Materia Rinnovabile, “quello che è successo è gravissimo: più volte in Parlamento si era chiesto di spiegare cosa stesse succedendo, perché i segnali non erano rassicuranti. Più volte è stato negato che ci fossero problemi e adesso arrivano i tagli. Le modifiche al PNRR dovrebbero essere discusse in Parlamento, cosa che ovviamente non è stata fatta”. Non solo, aggiunge Corrado, “è grave che a perdere siano risorse fondamentali come la rigenerazione dei territori, il dissesto idrogeologico e addirittura la lotta alla criminalità organizzata”.
Il Ministro per gli Affari europei e il PNRR Raffaele Fitto tenta il recupero al novantesimo cercando di spiegare come tanti progetti saranno salvati con i fondi di Coesione e altri fondi UE (che molti Comuni non sono comunque in grado di gestire).
Chi è soddisfatto
Soddisfazione invece per Snam, Eni, Enel e Terna che vedranno arrivare 19 miliardi di euro attraverso la riallocazione di fondi europei sul programma RepowerEU in tre canali di investimenti (reti, efficientamento e filiere produttive) e 6 riforme di settore. Tra i progetti elencati nel RepowerEU ci sono il Tyrrhenian Link (un cavo sottomarino di 970 km per collegare Sardegna, Sicilia e Campania), l’interconnessione elettrica transfrontaliera tra Sardegna, Corsica e penisola (entrambi di Terna), il maxi-gasdotto Linea Adriatica di Snam e la nuova unità di compressione elettrica nell’area della centrale di Poggio Renatico. Oltre alle rinnovabili saranno sostenuti con crediti d’imposta i progetti di riconversione di raffinerie di petrolio tradizionali in nuove bio-raffinerie di Eni, le Hydrogen valleys, il rinnovo del parco ferroviario e una nuova tornata di ecobonus e superbonus riservati alle categorie di persone a basso reddito.
I Comuni scontano l’incapacità di gestire le risorse
Il taglio del PNRR è una caporetto per i Comuni italiani, che hanno dimostrato per l’ennesima volta le difficoltà nella gestione di progetti complessi con fondi esterni e l’incapacità di mettere a terra progetti ambientali di riqualificazione, adattamento e mitigazione.
ANCI è sul piede di guerra, attende nuove coperture dal Governo. “Vogliamo garanzie per iscritto: e cioè pretendiamo che ci venga assicurato che questi fondi vengano stanziati contemporaneamente allo spostamento dei fondi del PNRR Non vogliamo correre rischi”, spiega il presidente Anci Antonio Decaro su La Repubblica.
Non sembra però del tutto corretto quanto afferma Decaro, cioè che i Comuni, contrariamente ai ministeri, sono “le uniche amministrazioni pubbliche che stanno spendendo con rapidità ed efficienza”. La mancanza di personale qualificato e l’impreparazione dei dipendenti a gestire questa mole di lavoro sono le maggiori difficoltà lamentate dalle amministrazioni. Ma ha pesato anche il contesto economico, la difficoltà di progettazione e cantierizzazione dovuta all’improvviso boom di richieste di progetti di lavori pubblici, la lentezza nelle assunzioni. Abbondano le testimonianze di sindaci e assessori che sottolineano come sia difficile seguire tutti i bandi in uscita, preparare progetti di senso in fretta, metterli in pratica nel caso vengano finanziati, e ancora monitorare e rendicontare quanto fatto nei tempi e modi richiesti dall’Unione Europea.
Secondo Fitto, i Comuni devono rinunciare ai sei miliardi per il green. "Non possiamo spendere soldi per le buche nelle strade, l’Europa non ce lo consente”, dice. Indice di poca visione dei progetti proposti e incapacità a lavorare sulla rigenerazione dei territori.
Una Pubblica Amministrazione da riformare
I tagli al PNRR sono indice di una problematica ben più grave: in una pubblica amministrazione comunale vecchia (i passati blocchi delle assunzioni pesano tantissimo), asfittica (mancanza di innovazione), non concorrenziale (i concorsoni non sono certo il modo per selezionare dirigenti e tecnici di eccellenza), poco innovativa sui temi ambientali (meglio sul digitale), e con un sistema fiscale fondato sulla crescita immobiliare, oggi non c’è futuro per una radicale trasformazione del Paese per adattarsi alle sfide ambientali.
Non è un caso che nel RepowerEu ci sia proprio un’allocazione per le Green Skills per il settore della PA. “Una riforma della pubblica amministrazione è necessaria, partendo da assunzioni e formazione – commenta Annalisa Corrado - Ma saranno necessari anche un maggiore sforzo sulla pianificazione e sulla strategia. Il Piano nazionale integrato per energia e clima è solo un compitino che non individua bene gli strumenti, le modalità e nemmeno gli obiettivi. Senza pianificazione e concertazione i fenomeni Nimby diventano un fronte di scontro con i cittadini”. Senza una riforma complessiva si crea una tempesta perfetta sulla possibilità di riprogettare i nostri territori in chiave sostenibile.
Immagine: Mauro Grazzi (Unsplash)