(Bruxelles) Cooperazione, connessioni, giustizia sociale, futuro sostenibile: in un mondo sempre più in guerra, l’economia circolare si pone oggi come uno strumento di pace e di sviluppo equo. È questo il messaggio, fortissimo, che è emerso dalla settima edizione della European Circular Economy Stakeholder Conference, quest’anno potenziata dal tandem con il World Circular Economy Forum, alla sua ottava kermesse.
Dal 15 al 18 aprile, nel labirintico centro congressi The Square nel cuore di Bruxelles, 150 relatori e 1.500 partecipanti (oltre a 8.000 collegati in remoto) provenienti da più di 100 Paesi (fra cui folte delegazioni da Cina, India e Brasile) si sono ritrovati per discutere di politiche, strumenti e buone pratiche per una transizione circolare globale. Le quattro intense giornate di affollatissime sessioni plenarie, workshop, tavole rotonde e networking avevano l’obiettivo di creare ponti, in particolare fra l’Europa e quello che oggi viene chiamato – un po’ per moda, ma soprattutto per marcare la contrapposizione con un assetto geopolitico desueto che il mondo si sta scrollando di dosso – il Sud Globale.
E si sono concluse con l’annuncio di due importanti iniziative che proprio a questo obiettivo puntano: la creazione di un nuovo Circular Economy Resource Centre per facilitare le partnership tra l’UE e i Paesi terzi, e il programma quinquennale SWITCH to Circular Economy in East and Southern Africa, finanziato con 40 milioni di euro per promuovere la transizione circolare nel continente africano. Materia Rinnovabile era a Bruxelles, per raccogliere voci e tendenze, e per incontrare gli artefici del “contagio” circolare che si sta espandendo in tutto il globo.
I primi sette anni della Stakeholder Platform
A dare il là alla quattro giorni di Bruxelles è stato il workshop annuale della European Circular Economy Stakeholder Platform, il cuore pulsante della transizione verso un nuovo modello economico. Nata sette anni fa per iniziativa del Comitato Economico e Sociale Europeo in collaborazione con la Commissione UE, la piattaforma è oggi uno strumento fondamentale per mettere in contatto chi lavora “sul campo”, gli attori della rivoluzione circolare, con i decisori politici.
“Il nostro obiettivo iniziale era quello di diffondere il verbo dell’economia circolare”, ci racconta, seduto a un tavolino fra gli stand dell’esposizione, Cillian Lohan, co-fondatore ed entusiasta promotore della piattaforma. Lohan, che fino al 2023 è stato vicepresidente del CESE, si è speso sin dall’inizio perché la Stakeholder Platform non diventasse l’ennesimo “parlatoio”, ma mantenesse al contrario uno spirito pragmatico e ancorato alla realtà. “Non volevamo creare un talking shop, uno spazio dove la gente si ritrova una volta all’anno, chiacchiera di economia circolare e poi va a casa, lasciandosi tutto alle spalle. Volevamo invece fare qualcosa per aiutare i partecipanti a diventare davvero più circolari. Ed è per questo che ogni uno o due mesi valutiamo insieme gli obiettivi e i progressi fatti da ciascuno.”
Aspetto importante della piattaforma è poi quello di essere un punto di riferimento per tutto il know-how circolare. “C’è sempre bisogno di un posto dove trovare informazioni, e me ne sono reso conto in questi giorni di conferenza", spiega Lohan. "Ci sono sempre più persone che si uniscono al viaggio verso la circolarità, che vengono e chiedono sottovoce: cos’è l’economia circolare? Come funziona? È comprensibile, mi sono trovato anche io nella loro situazione anni fa.”
Il ruolo fondamentale dell’iniziativa rimane tuttavia quello di “network dei network”, un luogo virtuale e fisico dove creare connessioni e promuovere la cooperazione, vera anima dell’economia circolare. ECESP riunisce tanti mondi: quello delle imprese, l’accademia, i think-tank, le ONG, i governi e la politica. “Noi del CESE facciamo da tramite con la Commissione europea e organizziamo i meeting – continua Lohan – ma le iniziative arrivano dagli stakeholder e seguono le loro esigenze. Non sono progetti istituzionali nati nella ‘bolla’ di Bruxelles, per i quali non c’è una vera richiesta. Sono proposte che nascono da bisogni concreti ed emergono dal confronto e dall’interconnessione fra i vari attori del settore. Insomma, se noi timoniamo la nave, i veri capitani sono però gli stakeholder.”
Per una transizione circolare e inclusiva
The world has enough for everyone need, not for everyone greed: il mondo ha abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’avidità di ognuno. La celebre frase del Mahatma Gandhi, ricordata dal co-presidente dell’International Resource Panel Janez Potocnik, era perfetta per introdurre il tema che ha fatto da filo rosso a tutta la convention: la Just Transition.
“Lo sfruttamento di risorse è oggi la causa del 60% dell’impatto climatico, del 40% degli impatti sulla salute dovuti all’inquinamento e del 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico legati al cambio d’uso del suolo”, ha spiegato Potocnik, snocciolando i dati dell’ultimo Global Resources Outlook uscito in marzo. Le responsabilità di questa situazione non sono però ripartite equamente fra tutti gli abitanti della Terra: “I Paesi a basso reddito consumano sei volte meno materiali e generano 10 volte meno impatti climatici rispetto a quelli ad alto reddito”, subendo però, nella maggior parte dei casi, le conseguenze più devastanti della crisi climatica e ambientale.
Che il cambio di rotta sia necessario è ormai cosa risaputa e accettata. Quello che va ancora sottolineato è che questa trasformazione dovrà essere equa e non lasciare indietro nessuno. “Dobbiamo essere consapevoli che ci saranno persone che subiranno i contraccolpi della transizione, che perderanno il lavoro. Per questo è necessario rinforzare l’aspetto di giustizia sociale”, ha ricordato Al-Hamndou Dorsouma, responsabile della divisione Climate Change and Green Growth dell’African Development Bank (AfDB).
L’AfDB, ci spiega Dorsouma fra un panel e l’altro, ha lanciato nel 2019 il suo programma dedicato all’economia circolare, con tre obiettivi principali: aiutare gli Stati africani nella definizione di roadmap circolari tagliate sulle loro esigenze, supportare piccole e medie imprese e startup, e promuovere il concetto di economia circolare appoggiando l’attività dell’African Circular Economy Alliance. “Ci sono però degli ostacoli – aggiunge – e sono principalmente di carattere finanziario. Riguardano il rischio percepito per gli investimenti nei Paesi africani e gli alti tassi di interesse per i prestiti. L’Africa ha un grande potenziale e considera l’economia circolare come una strategia di sviluppo. Ma prima dobbiamo superare queste barriere.”
Finanza, commercio e cooperazione
Superare le barriere finanziarie e attirare gli investimenti è la chiave per trasformare le belle parole sull’inclusività in una cooperazione effettiva. Di questo ci si è quindi occupati in diverse sessioni del forum, con lanci di partnership strategiche e fondi per lo sviluppo e l’innovazione, come la Joint Initiative on Circular Economy delle banche europee e il programma SWITCH to Circular Economy in East and Southern Africa, annunciato dalla commissaria europea per le Partnership internazionali Jutta Urpilainen in un tripudio di applausi. Tutte iniziative ottime, ma ancora troppo poco rispetto a ciò che sarebbe necessario e che non può che arrivare dai capitali privati. Il punto è: come mobilitarli?
“I soldi da investire non mancano, basti pensare che 1.600 miliardi di dollari all’anno vanno a finanziare l’economia lineare. Ma allora perché i fondi non fluiscono verso l’economia circolare?”, si è chiesto Andrea Liverani, specialista in politiche ambientali e risorse naturali per la World Bank. “Ci sono diversi problemi", ha spiegato. "I modelli di business circolari sono relativamente nuovi e ancora poco compresi dagli investitori, e presentano dei rischi: non sono progetti ‘bancabili’. Mancano ancora le competenze. E inoltre le materie prime vergini costano tutt’ora meno di quelle riciclate.” Le soluzioni? Secondo Liverani passano innanzitutto da un cambio di politiche e da riforme fiscali: “Bisogna tassare di meno il lavoro e di più l’uso delle risorse”.
Mentre per quanto riguarda l’attrazione di capitali privati verso Paesi del Sud Globale, aggiunge Milagros Rivas Saiz di IDB invest Colombia, “bisogna adottare strumenti per il de-risking, come la blended finance, e introdurre standard internazionali condivisi e policy comuni, come l’Extended Producer Responsibility”.
L’allineamento su metriche e standard internazionali risponderebbe inoltre a una richiesta che si fa sempre più pressante dal mondo del commercio e che aiuterebbe a evitare il rischio di misure protezionistiche ai danni di mercati emergenti, come ha sottolineato il direttore della divisione Trade and Environment della WTO, Aik Hoe Lim.
Del resto, per sviluppare un’economia circolare davvero efficace occorre pensare su scala globale, visto che i flussi di materia (che si tratti di materie prime, prodotti o rifiuti) non si fermano certo al confine di un singolo Paese. “Le connessioni e la cooperazione – ha detto Peter Schmidt, presidente della sezione Agricoltura e Ambiente del CESE – sono imprescindibili per creare delle vere supply chain circolari.” E poi, ha ricordato l’attivista colombiana Slendy Diaz, sintetizzando in una breve frase il senso di tutta la convention, “se l’economia lineare è basata sulla competizione, l’economia circolare si fonda al contrario sulla collaborazione”.
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Immagini: ECESP