Una “lotteria globale di codici postali a scapito dei poveri”. A meno di un mese da quando la COP28 ha reso operativo il fondo Loss and Damage, è questa la sintesi scelta dalla charity britannica Christian Aid per il proprio report Counting the Cost 2023: A year of Climate breakdown. Pubblicato il 27 dicembre 2023, il documento analizza i 20 disastri climatici estremi più costosi del 2023 in base al costo pro capite, rilevando che l'impatto economico relativo di questi eventi è molto diseguale, soprattutto per gli Stati che hanno minore responsabilità storica di fronte alla crisi climatica.
L'analisi di Christian Aid
Il costo spazia dagli oltre 4.000 dollari a persona causati dagli incendi che hanno colpito le Hawaii ad agosto 2023 ai 9 dollari a persona delle inondazioni in Perù di aprile. Nella Top20 è presente anche l’Italia, che con i 164 dollari pro capite dell’alluvione dell’Emilia-Romagna si posiziona al sesto posto.
Secondo Christian Aid, il calcolo pro capite offre una prospettiva più personalizzata degli impatti, evidenziando la pressione finanziaria sul cittadino medio piuttosto che il solo dato economico aggregato. L’analisi comparativa dei 20 disastri naturali peggiori del 2023 rende in questo modo evidente che è più facile per i Paesi più ricchi e con una popolazione numerosa assorbire i costi. Ad esempio, una volta ripartiti su 1,4 miliardi di abitanti, i 31 miliardi di dollari di danni causati dalle inondazioni stagionali in Cina (16° posto in classifica) ammontano a circa 23 dollari pro capite.
Al contrario, nel caso del Malawi (17° in classifica), i 680 milioni di dollari necessari per una ripresa completa dal ciclone Freddy di marzo possono sembrare un importo relativamente basso. Tuttavia, si legge nel report, poiché il reddito medio in Malawi è inferiore a 500 dollari all'anno, il costo pro capite di 33 dollari a persona per far fronte ai costi di recupero rappresenta più del 5% dei redditi già molto bassi. Allo stesso modo, le piccole isole sono particolarmente vulnerabili ai disastri costosi.
L'impatto economico della tempesta a Vanuatu (al 3° posto con 947 dollari pro capite) rappresenta circa un quarto del reddito annuale di ogni vanuatese.
“Quando si parla di crisi climatica, c’è una lotteria globale dei codici postali che va a scapito dei poveri”, ha commentato il CEO di Christian Aid Patrick Watt. “Nei Paesi più poveri, le persone sono spesso meno preparate ai disastri legati al clima e hanno meno risorse con cui riprendersi. Il risultato è che muoiono più persone e la ripresa è più lenta e più diseguale. C’è una doppia ingiustizia nel fatto che le comunità più colpite dal riscaldamento globale abbiano contribuito poco al problema.”
L'importanza del Fondo Loss and Damage
Il report di Christian Aid non si ferma al consuntivo, ma anzi contiene alcune raccomandazioni. Soprattutto alla luce del nuovo Fondo Loss and Damage, approvato dalla COP28 e ora operativo.
“I governi devono urgentemente intraprendere ulteriori azioni a livello nazionale e internazionale, per ridurre le emissioni e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico. E laddove gli impatti vanno oltre ciò a cui le persone possono adattarsi, il fondo per le perdite e i danni deve essere finanziato per risarcire i Paesi più poveri per gli effetti di una crisi che non è stata provocata da loro”, conclude Watt.
È infatti bene ricordare che a oggi il Fondo Loss and Damage ha raccolto 700 milioni di dollari, mentre le stime sull’entità del finanziamento realmente necessario raggiungono anche i 400 miliardi di dollari all’anno, come sostenuto dal report The loss and damage finance landscape, pubblicato dalla Loss and Damage Collaboration e dalla Heinrich-Böll-Stiftung.
Infine, oltre a consigliare un maggiore sforzo in finanza climatica, nel documento Christian Aid invita i leader mondiali ad aumentare gli investimenti in allerta precoce e azione tempestiva.
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