Si è chiuso un anno. C’è chi fa il bilancio dei dodici mesi passati e chi pensa già a quelli in arrivo. Noi di Materia Rinnovabile, che per vocazione guardiamo sempre al lungo periodo, abbiamo provato a individuare dieci grandi temi che, emersi nel corso del 2023, con ogni probabilità saranno al centro del dibattito politico, economico e sociale nel 2024. Si parla di tecnologie dal potenziale trasformativo, di politiche per il clima, di finanza e di fenomeni di portata globale, nel bene e nel male.

Ad alcuni di questi temi saranno dedicati i numeri monografici del nostro magazine durante l’anno, per tutti ci sarà comunque spazio per articoli e approfondimenti sul sito.

Intanto, ecco la nostra lista delle dieci parole calde dell’anno appena cominciato.

AI

È senza dubbio la parola del 2024. Tutti ne parlano, molti vogliono saltare sul treno in corsa di una tecnologia dalle potenzialità profondamente trasformative, molti altri ne temono i rischi.

Ma se è vero che in questo ultimo anno l’exploit di OpenAI e del suo ChatGPT ha trasformato l’intelligenza artificiale in un fenomeno pop, i sistemi di machine learning, deep learning e AI generativa erano già tra noi da tempo. Sono usati con profitto, ad esempio, in molti rami della ricerca scientifica: dalla medicina alla farmaceutica, dalla scienza dei materiali al nucleare, dalla climatologia alla biologia. Sono sfruttati nei processi industriali, nella gestione delle infrastrutture, nella pianificazione delle energie rinnovabili, nella previsione dei rischi da eventi estremi. Sono utilizzati anche per fini più controversi, come in campo militare o per la prevenzione del crimine.

C’è chi, come il cofondatore di Google DeepMind Demis Hassabis, parla dell’AI come di un “moltiplicatore dell’ingegno umano” capace di dare impulso a un nuovo Rinascimento delle scienze, mentre altri, come Elon Musk, usano toni apocalittici avvertendo circa un presunto “rischio esistenziale” per il genere umano. Certo è che da grandi poteri derivano grandi responsabilità, e l’enorme potenziale dell’AI va regolamentato – come del resto ha cominciato a fare l’Unione europea – per garantirne uno sviluppo sicuro, sostenibile, equo e responsabile.

Intanto, la prima cosa da fare è capire: per questo il 2024 di Materia Rinnovabile si aprirà proprio con un numero dedicato all’AI e alle tecnologie di frontiera.

Aria condizionata

Il 2023 è stato l’anno più caldo della storia, da quando cioè si è cominciata a misurare la temperatura della Terra. Prima lo era stato il 2022, e presumibilmente il record verrà battuto dal 2024.

In uno scenario di eventi estremi sempre più frequenti e di ondate di calore sempre più intense, l’aria condizionata diventa una strategia di adattamento e sopravvivenza, visto che il caldo estremo uccide. Strategia che però ha l’effetto di un circolo vizioso. Secondo l’IRENA, riscaldamento e raffrescamento sono responsabili di circa la metà del consumo finale di energia globale, che si traduce nel 40% delle emissioni legate all’energia. E la domanda di sistemi di raffrescamento è destinata a crescere del 45% entro il 2050. Va inoltre tenuto presente il problema della povertà energetica, che fa sì che chi avrebbe più bisogno di aria condizionata per sopravvivere non ha i mezzi economici per installarla.

Come mettere dunque d’accordo adattamento e mitigazione, senza dimenticare la giustizia sociale? Una delle sfide del nuovo anno sarà appunto il green cooling: tecnologie energeticamente più efficienti e più pulite, uso di gas refrigeranti alternativi rispetto agli HFC (altamente climalteranti), forestazione urbana, pratiche di green building e politiche per combattere la povertà energetica.

Carbon Capture and Storage

Dopo aver infiammato COP28, le tecnologie di cattura, stoccaggio o utilizzo dell’anidride carbonica, comunemente dette CCS, entrano di prepotenza nel dibattito pubblico. Dopo essere state per anni classificate come tecnologie sperimentali o pilota, negli ultimi due anni i primi impianti a scala industriale hanno spinto l’argomento al centro dell’agone.

“Il settore fossile sta sempre più pubblicizzando i CCS come la soluzione miracolosa per contenere, o addirittura eliminare, le emissioni. Una soluzione allettante per mantenere le cose esattamente come sono, bloccate in uno status quo che continuerà a rendere le aziende fossili sempre più ricche e il resto di noi a correre verso la catastrofe climatica”, ha commentato Catherine Abreu, di E3G.

Sebbene ci sia grande interesse e speranza, al momento “la storia dei CCS, è stata più che altro una storia di fallimenti”, ha dichiarato l’Agenzia Internazionale dell’Energia, nota per il suo equilibrio. Intanto però ENI ha scommesso molto sul progetto CCS di Ravenna, dove la CO₂ catturata sarà stoccata a 2.500 metri di profondità, per sempre. In una situazione critica come questa serve percorrere quante più strade possibili o focalizzarci sulle soluzioni che funzionano meglio, ovvero rinnovabili e efficientamento?

Elezioni

Il 2024 sarà l’anno “più elettorale” di sempre. Oltre 2 miliardi di cittadini sono chiamati al voto, con tre gare elettorali chiave che possono definire le principali sfide ambientali e sociali: USA, UE e India. Tra il 6 e il 9 giugno saranno 400 milioni gli europei chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento e definire quale Commissione guiderà la fase 2 del Green Deal. Ma il rischio ultradestre è reale, con buona pace degli obiettivi ambientali e sociali.

In USA incombe lo spettro di Trump, climanegazionista e pedina impazzita, mentre Biden arriva al voto del 4 novembre stanco e impopolare, nonostante il peso dell’Inflaction Reduction Act. In India è dato per certo il ritorno dell’ipernazionalista Modi, che ha promesso che il carbone rimarrà una fonte energetica primaria per il Paese negli anni a venire.

Altre gare elettorali degne di attenzione, soprattutto per il portato geopolitico, saranno in Indonesia, Bielorussia, Iran, Russia e Taiwan, mentre si voterà anche in UK (Sunak cercherà di consolidare il suo potere) e in Portogallo, dove il Partito socialista spera nel leader Pedro Nuno Santos. Il futuro ambientale dipende da questi risultati elettorali.

Finanza climatica e green

Per gli addetti ai lavori il 2024 va letto come l’anno della finanza climatica. Punto d’arrivo: COP29 sul clima in Azerbaigian, a novembre. Sul tavolo: restaurazione dei mercati del carbonio, Fondo per l’Adattamento, il New Collective Quantified Goal on Climate Finance per movimentare centinaia di miliardi di dollari l’anno a partire dal 2025 per i Paesi in via di sviluppo, Fondo per il Loss and Damage, meccanismi non di mercato, e via dicendo.

In ottobre l’attenzione sarà sulle risorse per la biodiversità all’interno dell’Accordo di Montreal-Kunming. Ora però gli occhi sono puntati sui meeting di primavera delle Banche Multilaterali di Sviluppo, che dovranno accelerare sulla riforma interna, ripensando a nuovi strumenti, alla revisione dei meccanismi di credito delle politiche di indirizzo. Un tema che dovrà essere centrale anche all’interno dei meeting del G7 (e qua ricade una grossa responsabilità sull’Italia che guiderà il gruppo dei sette) e del G20 guidato dal Brasile, che sul tema del debito ha promesso di usare tutta la sua capacità diplomatica. Decisioni importanti che avranno ripercussioni sulle banche centrali, commerciali e sulla finanza tutta. Per gli ESG è l’anno della maturità, è finito il tempo di scherzare, ora si fa sul serio. I poser sono avvisati.

Guerra

La parola, purtroppo, non è mai passata di moda. Ma nell’ultimo scorcio del 2023, con l’esplodere della tragedia di Gaza, il suo orrore ha nuovamente conquistato le prime pagine. Conclamati o sottotraccia, i conflitti armati nel mondo sono ovviamente molti di più di quelli che attirano l’attenzione dei media, e le stime, a seconda di come vengono categorizzati, variano tra i 50 e i 180. Secondo gli osservatori internazionali, le zone di guerra di cui ci si deve oggi preoccupare di più, oltre a Gaza, sono l’Ucraina, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, l’Afghanistan e il Myanmar.

Una preoccupazione che, oltre alla crisi umanitaria, investe anche le politiche climatiche e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Guerra e clima sono legati a doppio filo: se gli effetti della crisi climatica contribuiscono a esacerbare i conflitti, la devastazione della guerra, anche una volta conclusa, distrugge, insieme a infrastrutture e coltivazioni, le possibilità di adattamento e resilienza delle popolazioni.

L’instabilità geopolitica, inoltre, dirotta gli investimenti degli Stati (anche quelli lontani da zone di guerra) verso armi e difesa, a discapito di iniziative di sostenibilità ambientale o cooperazione allo sviluppo. E infine, come è stato calcolato dal Conflict and Environment Observatory (CEOBS), il comparto militare globale ha una scioccante impronta di carbonio di 2.750 milioni di tonnellate di CO2eq, pari al 5,5% delle emissioni globali.

Inflazione

Nel 2023 l’inflazione è stata guidata dai costi crescenti di cibo, materie prime ed energia, causati dall’instabilità geopolitica, dagli impatti climatici e da una generale impennata della domanda, iniziata nel 2022, una conseguenza dei piani di stimolo post-Covid in tutto il mondo. Sebbene l’inflazione stia iniziando a rallentare, rimarrà centrale per tutto il 2024. Secondo l’OCSE la produzione globale, sebbene altamente frammentata, rallenterà nel 2024 a causa degli alti tassi di interesse, che da un lato calmeranno l’inflazione ma anche la crescita. Ciò favorirà le aziende e imprese sostenibili e circolari, che saranno agevolate da canali preferenziali per il credito e da maggiore fiducia degli investitori.

Da tenere d’occhio i prezzi alimentari: il 2024 vedrà temperature record e siccità prolungate, mentre continuerà la fase di instabilità politica in Medio Oriente e Ucraina. Un’eventuale escalation nel Golfo potrebbe far crescere di nuovo i prezzi di petrolio e gas, rovinando i piani dell’Europa, che dopo la Russia ha scommesso sui Paesi arabi per il gas. Infine occhi puntati anche sulla Cina: il rimbalzo dopo tre anni di stop economico non è ancora arrivato. Rischio recessione cinese?

Nature-based solutions

Le nature-based solutions (NBS) comprendono un ampio insieme di soluzioni che sfruttano le caratteristiche della natura o della biodiversità per affrontare le sfide sociali, ambientali ed economiche, inclusa la sfida climatica e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Dall’uso di sistemi naturali per rigenerare il suolo, alle mangrovie per contrastare l’erosione costiera, dall’agroecologia alla piantumazione di alghe, dalla reintroduzione della megafauna alla rinaturalizzazione dei fiumi, dal verde urbano naturale alla tutela degli impollinatori, la lista di soluzioni da rendere prioritarie e inserire nei piani aziendali, territoriali e nazionali è fondamentale.

Nel 2024 i Paesi avranno l’occasione per dichiarare quali NBS intendono adottare nei propri National Biodiversity Strategies and Action Plans, ovvero le strategie e piani per la biodiversità che ogni nazione dovrà presentare a ottobre a Bogotà per la COP16 sulla Biodiversità. Al momento l’Italia non ha ancora presentato il proprio. Dal MASE non c’è da aspettarsi granché, vista la timidezza sul tema. Eppure le NBS sono centrali per la mitigazione e l’adattamento climatico. La speranza è che il movimento per il clima e per l’ambiente metta questa parola al centro della politica.

Nucleare

Complici la crisi energetica globale e i target di decarbonizzazione sempre più urgenti, l’energia nucleare è tornata sulla cresta dell’onda. Tanto che, durante la COP28 a Dubai, 22 Paesi con Francia e Stati Uniti in testa hanno firmato un accordo per triplicarne la produzione entro il 2050. Ma se il nucleare è oggi considerato da molti imprescindibile nel percorso di decarbonizzazione del settore energetico, ci sono dei nodi piuttosto importanti da sciogliere, in particolare tre: sicurezza, rifiuti e costi.

A oggi, secondo le stime della IEA, circa il 10% dell’elettricità globale è prodotta da centrali nucleari. Sono 436 i reattori attualmente attivi in 32 Paesi, di cui ben 93 solo negli Stati Uniti e 56 in Francia. E se c’è chi annuncia la chiusura definitiva delle sue centrali, come la Germania, o l’abbandono graduale del nucleare, come la Spagna, dall’altro lato ci sono Paesi che si stanno dando un gran da fare per costruirne di nuove, come la Cina che, secondo la World Nuclear Association, ha 25 nuovi reattori in cantiere.

Quanto all’Italia, ci sta (ri)pensando. Uscito dal nucleare con lo storico referendum del 1987, il Paese non è però fermo dal punto di vista della ricerca e il ministro Pichetto Fratin ha lanciato a settembre la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. Intanto però rimangono da sistemare, da oltre trent’anni, i rifiuti radioattivi delle centrali dismesse. Chissà se il 2024 sarà l’anno decisivo.

Transitioning away

Transitioning away from fossil fuels in energy systems in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science”. Ovvero: uscire dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza.

Queste due righe sono il risultato, storico, portato a casa dalla COP28 di Dubai: una conferenza sul clima partita con i peggiori auspici, ma che si è rivelata piuttosto sorprendente negli esiti. Presieduta da un petroliere, con un numero record di lobbisti dell’industria Oil and Gas e pesanti restrizioni per le proteste degli attivisti, la COP28 passerà alla storia per almeno due motivi: l’istituzione del fondo Loss and Damage per i Paesi più vulnerabili agli effetti del clima e l’introduzione, per la prima volta, di un chiaro riferimento all’uscita dalle fossili. Certo, non è il netto phase out che si auspicava, ma un più sfumato transitioning away. Si chiede tempo, insomma, ma almeno si ammette chiaramente che le fonti fossili sono il problema.

“Eravamo venuti qui per costruire insieme una canoa – ha dichiarato il rappresentante delle Marshall Islands – Ne abbiamo ora una piena di buchi, ma dobbiamo comunque metterla in acqua.” La canoa del transitioning away sarà dunque la guida per l’azione climatica nel 2024.

 

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Immagine: Ann Savchenko, Unsplash