“Let’s go back to plastic!” Torniamo alla plastica, anche quella monouso che si disperde facilmente nell’ambiente. Basta quelle orribili cannucce di carta. Così ha twittato il presidente americano Donald Trump il 7 febbraio, annunciando un ordine esecutivo per tornare a sorseggiare Daiquiri e Old Fashion con le tanto vituperate cannucce di plastica.
L’annuncio sensazionalista è uno dei tanti shock dei primi 100 giorni dell’amministrazione Trump, che ha visto gli USA uscire dall’accordo di Parigi, depennare l’agenzia di cooperazione e sviluppo USAID, cancellare ogni referenza al cambiamento climatico sui siti dei ministeri e agenzie americane, assaltare le banche dati su clima e meteorologia della NOAA (l’agenzia responsabile delle previsioni meteorologiche, della ricerca sul clima e del monitoraggio dei disastri naturali), espandere le aree di estrazione oil&gas, ingaggiare guerre commerciali, e via dicendo.
Muoversi veloce e rompere tutto è il motto dei generali di Trump, guidati da Elon Musk, che sta facendo infuriare milioni di americani con la sua invasione illegale dei database federali per riscrivere software e licenziare migliaia di dipendenti pubblici “superflui”, secondo il suo mantra dell’ottimizzazione ad ogni costo. Una strategia caotica, dove ogni annuncio folle, che richiederebbe giorni di analisi per comprendere gli impatti economici e sociali, viene sorpassato e annullato nel giro di 12-18 ore da un nuovo tweet, da un nuovo ordine esecutivo, da una nuova azione del DOGE, il Dipartimento per l’efficienza governativa guidato dal miliardario di Tesla e SpaceX.
Dalla pace in Russia alla crisi a Gaza, dalla guerra multilaterale a suon di dazi al supporto dell’ultradestra globale, è una valanga inarrestabile che travolge giornalisti, scienziate, analisti politici, diplomatici, capi di stato senza il tempo di prendere respiro. Una strategia imbattibile, tanto cara agli aedi dell’alt-right come Steve Bannon.
Assalto alla scienza
Difficile prevedere l’estensione dell’impatto della presidenza peggiore dai tempi di Andrew Johnson, il successore di Lincoln, che fermò il progresso dei diritti civili americani e compromise la Ricostruzione post-guerra civile. Certo il messaggio sulla restaurazione fossile risuona tra l’Internazionale populista, tra guerre all’auto elettrica e l’assalto insensato alle rinnovabili. Ma quel che preoccupa maggiormente è l’assalto alla scienza e alle istituzioni internazionali che si occupano di clima e ambiente. All’interno dell’EPA, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, si è fatto piazza pulita di una buona fetta del personale e si sono insediati lobbisti, funzionari e avvocati legati all’American Chemistry Council e all’American Petroleum Institute, due lobby pro-fossili.
Dalla homepage è sparita la sezione sui cambiamenti climatici, come ipotizzato nell’oscuro Project 2025, la matrice ideologica dei mastini trumpiani. Alla guida della NOAA (che secondo Project 2025 “dovrebbe essere smantellata”) Trump ha messo Neil Jacobs, divenuto noto per aver alterato le previsioni sul percorso dell’uragano Dorian su pressione dello stesso Trump e sempre pronto a dare priorità alla politica sulla scienza.
Come se non bastasse, il gruppo di superfedeli di Elon Musk del team DOGE ha fatto irruzione negli uffici della NOAA il 5 febbraio per entrare nei server, ottenere tutti gli accessi riservati, annunciando una serie di licenziamenti. Un abuso di potere e un vero e proprio assalto alla libertà della scienza. Chi ha assistito alla scena ha descritto alle televisioni una “irruzione illegittima” e non autorizzata. Scene simili si sono verificate al Dipartimento per l’Educazione, al Tesoro (dove sono stati bloccati da un giudice federale) e presto potrebbero arrivare al Pentagono, come annunciato da Trump stesso, che non gode di ampio supporto all’interno della Difesa.
Molti scienziati temono che l’assalto alla NOAA e l’eliminazione del clima da molti siti federali potrebbe essere la prima avvisaglia per la privatizzazione della raccolta dati meteo e climatici, svendendo istituti come il National Weather Service o l’Hurricane Center. Una strategia per depotenziare l’analisi climatica e meteorologica rigorosa e indipendente, da sempre vanto degli Stati Uniti, che a Manua Loa, nel 1965, istituirono il primo centro di analisi dell’atmosfera raccogliendo dati sulle concentrazioni medie di anidride carbonica e altri gas serra.
La tempesta americana intanto ha ripercussioni in Europa, dove il depotenziamento del Green Deal (dalla CSRD e tassonomia al CBAM) e il negazionismo tornano a crescere. Durante l’evento dei Patrioti di Madrid dell’8 febbraio è stato lanciato il movimento MEGA, Make Europe Great Again: vari speaker si sono scagliati contro il presunto “fanatismo climatico” e contro l’Europa del Green Deal e le “lobby ambientali”, rafforzando una narrativa superficiale e oscurantista, secondo cui la transizione è un costo e un pericolo, contraddicendo quello che dice la scienza e una buona fetta della grande industria e finanza internazionale.
Rispondere, uniti, al negazionismo climatico
Azioni senza precedenti richiedono risposte proporzionate, sia in America che in Europa, per arginare un fenomeno che sta rispedendo la transizione indietro di 20 anni, con gravi rischi economici e sociali sul medio e lungo termine. Dopo le grandi manifestazioni dei Fridays for Future e il successo dei grandi negoziati ONU, anche i più ferventi sostenitori si ritrovano dispersi e senza una chiara strategia. Perdono trazione i media che si occupano di raccontare la transizione verde. Viene meno il supporto della grande industria che si allinea lentamente alle sirene della restaurazione.
L’imperativo è riorganizzarsi e velocemente, partendo proprio dall’ascolto di quella parte della società che detesta la transizione o ne è impaurita, o si sente impoverita da essa. A Monaco sabato 8 febbraio sono scese in piazza 200.000 persone contro l’estrema destra clima-negazionista. Un segnale di risposta che richiede mobilitazione civica, non solo in piazza, ma sui media, nelle organizzazioni locali, nelle sedi civiche, tra sindacati e industria. Rivedere le politiche di transizione è dovuto e necessario. Cancellarle per mera postura ideologica è una valanga che va arrestata con convinzione.
Immagine: Dave Lowe (Unsplash)