Il mondo ha accolto con stupore, incredulità e orrore il cosiddetto “piano” esposto da Donald Trump nel corso dell’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza”, ha detto. “Ne saremo i proprietari. Abbiamo l’opportunità di fare qualcosa che potrebbe essere fenomenale, la Riviera del Medio Oriente.” Per far questo, oltre ad annettere Gaza, bisogna fare la pulizia etnica dell’intera popolazione palestinese. “Dovremmo rivolgerci ad altri paesi interessati, con un cuore umanitario, e ce ne sono molti che vogliono farlo, e costruire vari domini che alla fine sarebbero occupati dai 1,8 milioni di palestinesi che vivono a Gaza”, che è un posto “sfortunato”.

Una proposta spaventosa, inumana, ingiusta, che ipotizza di scacciare (per la seconda volta) da questo lembo di terra milioni di rifugiati, che per oltre un anno hanno subito bombardamenti tali da cancellare ogni possibilità di vivere decentemente, oltre a devastare case e infrastrutture. E poi, checché ne dica il presidente degli Stati Uniti, al momento nessun paese, nessun leader, nessuna nazione del pianeta ha affermato di essere disposto ad accettare questo esito.

Lo staff di Trump fa marcia indietro

Probabilmente anche questa storia − come molte altre lanciate dal giorno dell’inaugurazione di questa presidenza − ha solo una funzione tattica, “transazionale”, e va prese poco sul serio. Per tanti osservatori, ad esempio, Canada e Messico sembrano aver accettato completamente ogni imposizione statunitense pur di evitare (per un solo mese) i dazi commerciali minacciati. Altri però hanno fatto notare che i dazi USA sono stati cancellati in cambio di praticamente nulla, ovvero misure largamente simboliche, o che i due paesi confinanti avevano già deciso da tempo di implementare.

Ipotizzando per assurdo di prendere sul serio il “piano” di Trump, e immaginando che sia possibile trovare veramente un’altra collocazione per i palestinesi di Gaza, trasformare in un parco turistico la Striscia pare un’impresa inutilmente costosa. Del resto già alle 20 di mercoledì 5 febbraio (ora di pranzo a Washington) la portavoce del presidente Karoline Leavitt, l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff e il segretario di stato Marco Rubio hanno precisato e fatto marcia indietro. Non c’è nessun piano scritto, non c’è nessuna intenzione di annettere la Striscia, ma nemmeno di mandare soldati americani a Gaza. E Trump, riferisce il senatore repubblicano del Missouri Josh Hawley, “non ha intenzione di spendere neanche un dollaro” a Gaza.

Nei giorni della proclamazione del “cessate il fuoco” avevamo riassunto la terribile devastazione provocata dall’azione di Israele, condannata duramente dalle Nazioni Unite. Un piccolissimo territorio, 365 chilometri quadrati in tutto, lungo 40 chilometri e largo da 6 a 12 nel punto più ampio. Un milione dei 2,3 milioni di abitanti hanno dovuto abbandonare le abitazioni. In 470 giorni di guerra sono morti per mano di Israele 46.500 palestinesi, di cui 18.000 bambini, mentre almeno altri 11.000 risultano dispersi e i feriti superano i 110.000. Secondo una stima ONU dell’ottobre 2024 i bombardamenti hanno prodotto oltre 50 milioni di tonnellate di macerie, sono inagibili il 70% delle strade e il 70% delle condutture idriche, la rete elettrica è stata annientata e le infrastrutture non esistono più.

Quanto costerebbe a Trump ricostruire Gaza?

Solo per rimuovere le macerie, che contengono bombe inesplose e ogni sorta di contaminanti, oltre a resti umani, si calcola che ci vorrebbero 1,2 miliardi di dollari. Parliamo di un volume pari a 12 volte le dimensioni della Piramide di Giza. Per ricostruire la Gaza che c’era prima della guerra secondo l’UNDP servono 40 miliardi da qui al 2040. Figurarsi per trasformarla in una seconda Montecarlo, come ha detto Trump, o come disse a suo tempo il cognato, Jared Kushner. Anche Steve Witkoff è uno del settore: amico di Trump dal 1986, è un miliardario delle costruzioni e del real estate. Giustamente è stato nominato inviato per il Medio Oriente. Witkoff pensa che per rimettere a posto Gaza servirebbero almeno 15 anni, e che oggi come oggi il posto è “completamente inabitabile”. 

Per giocare, proviamo a immaginare lo stesso quanti soldi servirebbero per permettere a Gaza di diventare “meglio di Monaco”, e riempirsi di turisti come una vera waterfront property. Calcoliamo 2 miliardi di dollari per togliere i materiali; 50 per ricostruire da capo le infrastrutture e le comunicazioni. Almeno 20, 30 miliardi per costruire un centinaio tra hotel e resort di lusso, 10 miliardi per la marina, casinò e attrazioni varie, 5 miliardi per l’aeroporto internazionale e 5 per un porto turistico e commerciale. Più il marketing, più le case per chi dovrà far girare i servizi della “Riviera di Gaza”: forse qualche centinaio di migliaia di “servitori”, magari palestinesi cui sarà consentito di restare.

 

In copertina: Netanyahu e Trump durante una visita del presidente USA in Israele nel 2017 fotografati da Amos Ben Gershom GPO © Israel Ministry of Foreign Affairs via Flickr