Il cantiere delle regole sulla finanza sostenibile in Europa è ufficialmente riaperto e il dibattito è già acceso. A Bruxelles, però, non si sta solo discutendo della necessità di semplificare e rifondere Tassonomia, CSRD e CSDDD in un unico Pacchetto Omnibus. L’attenzione si sta infatti spostando sulla trasparenza del processo decisionale. In vista della presentazione del Pacchetto, la Commissione europea ha infatti convocato per il 5 e 6 febbraio un incontro a porte chiuse con un gruppo ristretto di stakeholder per un confronto sui tre pilastri normativi, insieme al meccanismo CBAM sul carbon leakage.
Una consultazione che sembra tendere al fossile e al business as usual, mentre fuori dalla porta e nel mercato aumentano le voci di coloro che spingono per mantenere i principi dei pilastri finanziari del Green Deal. A queste, oltre a varie multinazionali, il 4 febbraio si è aggiunta una lettera firmata dall'Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), il Forum europeo per gli investimenti sostenibili (EUROSIF) e i Principles for Responsible Investment (PRI). Le tre sigle, insieme a 162 investitori con 6,6 migliaia di miliardi di euro in asset e a 49 fornitori di servizi, chiedono all’esecutivo europeo di preservare l'”integrità” e l'”ambizione” del quadro normativo delineato nello scorso mandato per mantenere certezza giuridica e salvaguardare investimenti.
Col passare delle ore in effetti il rischio di un annacquamento delle normative sembra essere fondato. Secondo Responsible Investor, che in una nota pubblicata il 5 febbraio pomeriggio cita varie fonti anonime, la Commissione UE potrebbe posticipare a marzo la presentazione della proposta Omnibus, inizialmente prevista il 26 febbraio. Inoltre, pare sia prevista la riapertura della CSRD e della CSDDD a livello 1, cioè sull'atto legislativo di base intervenendo su principi e perimetro di applicazione, non solo su dettagli tecnici. Per la CSRD, l'obiettivo sarebbe allinearla alla CSDDD, escludendo dall'obbligo di rendicontazione le aziende con meno di 1.000 dipendenti. Questo ridurrebbe dell'85% il numero di imprese attualmente coinvolte.
Anche il principio della doppia materialità, che richiede alle aziende di rendicontare sia l'impatto finanziario delle questioni ESG sulle loro attività sia il loro impatto sull'ambiente e sulla società, è a rischio. Potrebbe essere sostituito dalla sola materialità finanziaria, il che renderebbe necessaria una revisione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS). Intanto, per completare il quadro, il 5 febbraio Euractiv ha ottenuto una bozza del programma di lavoro della Commissione europea per il 2025, la cui pubblicazione ufficiale è attesa martedì prossimo a Strasburgo. Il documento include tre pacchetti principali rispetto alla Omnibus: uno sulla sostenibilità, uno dedicato alle PMI e alle imprese di media capitalizzazione e uno sulla semplificazione degli investimenti, che comprende anche la revisione del regolamento sulla finanza sostenibile (SFDR).
Il pacchetto Omnibus e la trasparenza delle consultazioni
“Sono un po’ preoccupata perché solo quattro industrie petrolifere sono state invitate alla consultazione: visto che ne esistono altre là fuori pensavo che forse ce ne dovrebbero essere di più. Ma poi ho visto che ci sono tre associazioni rappresentanti delle industrie fossili. Forse tutte dovrebbero avere una consultazione equa”, aveva ironizzato la settimana scorsa l’europarlamentare Laura Wolters (S&D, Paesi Bassi). Secondo l’ex relatrice della Direttiva sulla due diligence della sostenibilità aziendale (CSDDD), “a voler essere seri, non sembra esserci equilibrio nella consultazione”.
Alle tavole rotonde organizzate il 6 febbraio per discutere di Omnibus, semplificazione e riduzione degli oneri burocratici – con un ordine del giorno che prevede solo un'ora per ciascun gruppo di norme – sarebbero state invitate "31 società, 26 associazioni imprenditoriali e solo 10 ONG". Stando ad un elenco di operatori visionato da Responsible Investors, alla tavola rotonda del 5 febbraio sembra dovessero partecipare "ENI, Total Energies, ExxonMobil, ENGIE e Repsol", mentre per quanto riguarda la finanza sarebbero stati invitati i rappresentanti di "Deutsche Bank, Sociéte Gènèrale Group, Rabobank, CaixaBank, Generali Group, Allianz SE e Candriam".
La critica all’esecutivo UE − al di là dell’etichetta semplificazione o deregulation − non riguarderebbe secondo Wolters soltanto la volontà di rivedere le normative, quanto il metodo: troppo frettoloso ("5 mesi invece che 5 anni") e con una consultazione estremamente limitata. Un punto condiviso anche da oltre 150 organizzazioni della società civile, tra cui ClientEarth, Climate Action Network (CAN) Europe e GlobalWitness, che in una lettera aperta il 5 febbraio hanno ribadito “la ferma richiesta affinché la Commissione europea non crei ulteriore confusione e incertezza riaprendo testi legislativi già concordati, ma si concentri invece sull'applicazione pratica attraverso un processo inclusivo e trasparente.”
L’appello per salvare l’architettura della finanza sostenibile europea
Gli appelli del 6 gennaio da parte di C3D (un'organizzazione che rappresenta 400 aziende francesi) e del gruppo di 11 multinazionali (tra cui DP World, Ferrero, L'Occitane, Mars, Nestlé, Primark, Signify e Unilever) del 17 gennaio, che hanno chiesto alla Commissione Europea di mantenere intatte le norme in corso di revisione, non sono rimasti un caso isolato. Con la lettera pubblicata il 4 febbraio e con il supporto di oltre 200 investitori e altri operatori del settore finanziari, IIGCC, Eurosif e PRI avvertono che "riaprire questi regolamenti nella loro interezza rischia di creare incertezza normativa e potrebbe in ultima analisi mettere a repentaglio l'obiettivo della Commissione di riorientare i capitali a sostegno del Green Deal europeo".
È Aleksandra Palinska, Executive Director dello European Sustainable Investment Forum (EUROSIF), a spiegare meglio le ragioni: "Affinché l'UE possa raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione e competitività industriale, il report Draghi individua un divario annuale di investimenti di 800 miliardi di euro. Per colmare questo divario è necessario il capitale privato”. Per svolgere il loro ruolo, gli investitori hanno bisogno di informazioni aziendali “di qualità, affidabili e comparabili, anche sui rischi e sugli impatti della sostenibilità”.
Nella loro dichiarazione, si legge in un comunicato, “gli investitori affermano che la maggiore trasparenza creata da queste norme sta già avendo un impatto positivo, evidenziando che entro il 2024 le aziende europee avranno dichiarato 440 miliardi di euro di spese in conto capitale allineate alla tassonomia, una cifra che si prevede crescerà in modo significativo”.
L'ultimo intervento in ordine cronologico è infine quello di un gruppo di 240 economisti e ricercatori che esprimono preoccupazione per il fatto che la "semplificazione" possa essere utilizzata come pretesto per ridurre l'ambizione di Tassonomia, CRSD e CSDDD, considerati fondamentali per orientare l'economia europea. I firmatari avvertono che ridurre l'ambizione delle normative sarebbe dannoso non solo per l'azione ambientale e climatica, ma anche per l'economia europea.
In copertina: conferenza stampa di Ursula von der Leyen fotografata da Dati Bendo © European Union, 2025