Le bioenergie possono diventare un pilastro della transizione energetica italiana, ma senza sostenibilità il loro contributo rischia di essere vano. È quanto emerge dal report Il ruolo delle bioenergie nella strategia di decarbonizzazione nazionale, realizzato da Greenhouse Gas Management Institute Italia (GHGMI-I) in collaborazione con il WWF Italia e pubblicato a dicembre 2024.

Le bioenergie sono tecnologie che trasformano le biomasse, ovvero materiali organici provenienti da piante e animali, in energia o in carburanti. Lo studio analizza come possano essere integrate nelle strategie italiane per ridurre le emissioni di anidride carbonica, in particolare nei trasporti. Il report esamina contestualmente le varie filiere tecnologiche e le materie prime che si prevede di utilizzare, mettendo in evidenza l’importanza di impiegare queste risorse solo nei settori dove non esistono valide alternative.

I rischi delle bioenergie

Per le organizzazioni internazionali che si occupano di clima ed energia (come l’IPCC, la IEA e l’IRENA), le bioenergie possono svolgere un ruolo significativo nel consentire al sistema energetico globale di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050. Anche le strategie di decarbonizzazione dell’Unione Europea, del resto, puntano molto su queste fonti. Tuttavia, stando al report del WWF, i rischi riguardano un aumento non controllato delle bioenergie. In sintesi, gli effetti negativi potrebbero riguardare la concorrenza con i terreni per la produzione alimentare e la silvicoltura, l’uso dell’acqua, gli impatti sugli ecosistemi e i cambiamenti nell’uso del suolo. Aspetti tutti interconnessi, come spiegato da due recenti report IPBES.

Rispetto alle bioenergie, ricorda il WWF citando l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), alcuni di questi impatti negativi sono inoltre accentuati dalla previsione di una produzione su scala industriale. Quest’ultima favorirebbe il ricorso a monocolture dedicate su larga scala e accentuerebbe le conseguenze in termini di cambiamenti di uso del suolo e di deforestazione. 

Biocarburanti e trasporti

“I maggiori ostacoli alla transizione energetica giusta sono l’assenza di una vera governance e l’incapacità di avere una visione generale e sottrarsi all’influenza degli interessi particolari”, sostiene Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del WWF Italia. “Le bioenergie possono essere sostenibili, cioè derivanti davvero da residui e certificate, ma in quantità molto inferiori a quelle di cui si favoleggia, e comunque mai vicine a usi massicci come quelli della mobilità su ruote o della sostituzione del metano per edifici e servizi.”

Stando al report, una seconda “illusione” sarebbe infatti pensare che i biocarburanti possano rappresentare una alternativa in toto ai combustibili fossili nel settore dei trasporti. L’analisi del ciclo di vita dei biocarburanti liquidi mette invece in evidenza come la stragrande maggioranza dei biocarburanti oggi sul mercato europeo, proveniente da colture agricole, offra pochi, o addirittura nulli, miglioramenti del bilancio complessivo delle emissioni di gas serra rispetto alla benzina fossile o al diesel. “Noi oggi stiamo sprecando [le bioenergie] o, meglio, le stiamo usando per ritardare l’elettrificazione dei trasporti e dell’uso domestico del gas: invece occorre pianificarne da subito l’utilizzo nei settori energivori e nel trasporto marittimo e aereo. Se continueremo a perseguire obiettivi impossibili, a rimetterci saranno non solo la biodiversità e le foreste, e già questo è un pericolo enorme: ci rimetterebbe anche l’economia del paese, condannata sempre a rincorrere la transizione energetica, senza mai diventarne protagonista.”

La geopolitica dei biocarburanti

La strada dei biocarburanti liquidi solleva interrogativi non solo ambientali ma anche geopolitici. Il loro crescente utilizzo, infatti, sta aumentando la dipendenza dell’Unione Europea – e dell’Italia in particolare – da economie extra UE, con la Cina in primo piano. Questo scenario mette in guardia contro l’idea che tali energie possano garantire la sovranità energetica. 

Per il WWF, la vera soluzione per decarbonizzare il trasporto leggero su strada, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, passa attraverso i veicoli elettrici a batteria. Al contrario, biogas e biometano trovano applicazione nelle cosiddette attività hard-to-abate – settori industriali difficili da decarbonizzare come chimica, cemento, acciaio, carta, ceramica e vetro – dove possono rappresentare un’opzione strategica nel breve termine. In particolare, il biometano potrebbe essere cruciale entro il 2030, in attesa che tecnologie low-carbon come l’idrogeno verde diventino accessibili su larga scala.

Lo scenario italiano e il ruolo delle istituzioni

In Italia, l’utilizzo di biomasse, biogas, bioliquidi e della frazione organica dei rifiuti solidi urbani per scopi energetici è cresciuto costantemente dal 1998, raggiungendo 11,2 Mtep nel 2021. Guardando al 2030, la produzione di biometano da biomasse residue agricole, zootecniche, agroindustriali e dai rifiuti organici potrebbe toccare i 3 miliardi di metri cubi senza impatti significativi sull’ambiente e sull’uso del suolo. Tuttavia, il WWF avverte: l’impiego di colture dedicate o a rotazione rischia di compromettere risorse idriche, suolo e territorio.

Un intervento istituzionale mirato diventa quindi cruciale. La gestione sostenibile delle biomasse richiede dati affidabili e aggiornati, essenziali non solo per attuare la direttiva ETS e il regolamento Effort Sharing, ma anche per redigere i Piani integrati per l’energia e il clima. È necessario un impegno congiunto di organismi chiave come MASE, MASAF, ISPRA, CREA e ISTAT, supportato da risorse adeguate. Inoltre, serve riformare il sistema di incentivi, che oggi privilegia il blending del biometano con il gas naturale per i trasporti, senza premiare abbastanza altri utilizzi più strategici nella decarbonizzazione.

 

Immagine: Italia