Nel percorso di diversificazione del mix energetico, il biometano è una soluzione strategica, al centro delle politiche dell’Unione Europea, come ha confermato anche Giulia Cancian, segretaria generale di European Biogas Association.
L’Italia, però, procede a rilento, nonostante l’approvazione di uno specifico decreto nel 2022. “Se si vuole ottenere il pieno sviluppo della filiera serve un impegno condiviso, capace di trasformare un potenziale promettente in un pilastro concreto della decarbonizzazione, superando le diverse barriere economiche, normative e logistiche”, spiega a Materia Rinnovabile Paolo Maccarrone, direttore scientifico dell’Outlook Biometano 2024, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano.
Biometano in Italia: impianti e produzione
Prima di tutto, la situazione attuale: sul nostro territorio insistono 115 impianti di biometano allacciati alla rete del metano, per una capacità produttiva totale di quasi 67.000 smc/h (standard metri cubi all’ora). “Un dato ufficiale che, pur raggiungendo la grande maggioranza degli impianti esistenti, non ne fotografa la totalità: risulta infatti difficile rilevare quelli che non sono allacciati alla rete, e che utilizzano quindi carri bombolai e cisterne criogeniche per il trasporto del biometano”, prosegue Maccarrone.
A livello geografico si rileva una netta concentrazione al Nord, dove si trovano 77 impianti, con una taglia media di 887 smc/h e una produzione media immessa in rete di oltre 49.000 smc/h, a cui segue il Sud, con 25 impianti (taglia media pari a 482 smc/h, produzione di circa 10.7000 smc/h), e infine il Centro con soli 13 impianti (365 smc/h la taglia media, quasi 7.000 smc/h la produzione).
L’obiettivo al 2030
In totale l’attuale produzione di biometano in Italia equivale a circa 570 milioni di metri cubi/anno immessi in rete: una cifra ben lontana dagli obiettivi contenuti nel PNIEC, che fissa quota 5,7 miliardi di metri cubi/anno per il 2030. Entro lo stesso anno il target europeo, attraverso le risorse del piano REPowerEU, è quello di raggiungere i 35 miliardi di metri cubi di produzione.
Se si guarda al numero di impianti attivi nel 2022 all’interno dell’Unione, il nostro paese rientra sì tra i principali stati produttori ma è in netto ritardo rispetto a Francia e Germania, che la fanno da padrone, rispettivamente con il 46% e il 25% della produzione complessiva europea, contro il nostro 3%. Ci precedono anche i Paesi Bassi e la Svezia con il 7%, poi la Danimarca con il 5%.
Biometano, cosa dice il DM 15/09/2022
Per accelerare lo sviluppo del biometano, due anni fa il governo italiano ha varato un apposito Decreto (DM 15/09/2022) che disciplina l’accesso alle risorse stanziate nell’ambito del PNRR, pari a 1,73 miliardi di euro, tra il 2023 e il 2025. Si cerca così di promuovere sia la riconversione degli impianti di biogas già esistenti sia la costruzione di nuovi impianti, attraverso un meccanismo di aste competitive e due diverse tipologie di incentivi: un sostegno in conto capitale e una tariffa incentivante per il biometano prodotto.
Tuttavia, le 4 aste (su 5) finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata inferiore al contingente disponibile e pari a 176.000 smc/h, valore a cui vanno sottratte le rinunce, per cui il contingente effettivo è al momento 122.270 smc/h, ovvero circa un miliardo di metri cubi/anno.
Questo scarso interesse è dovuto a diverse ragioni. Per esempio, la maggior parte delle richieste di autorizzazione riguarda gli impianti di biometano di nuova realizzazione, perché la conversione di quelli a biogas già esistenti non è semplice né sempre conveniente. “Entrano in gioco tanti aspetti: serve più spazio, anche per ospitare lo stoccaggio del digestato [uno dei prodotti di scarto della lavorazione, ndr], e c’è una soglia dimensionale minima sotto la quale l’investimento non risulta sostenibile e non c’è nemmeno disponibilità di componenti per l’upgrading. Inoltre, anche la distanza dalla rete di distribuzione del metano può pesare: più è lontana, più i costi di allacciamento salgono.”
C’è poi una sorta di conflitto tra i diversi sistemi di incentivazione. “Ne esistono anche per il biogas, in particolare sotto forma di prezzi minimi garantiti per l’energia immessa in rete. Molti gestori di impianti a biogas esistenti, quindi, hanno rimandato la partecipazione alle prime aste, in attesa di conoscere questa nuova tariffa: la pubblicazione è avvenuta poco prima della quarta asta, che infatti ha registrato un incremento dei partecipanti. Secondo gli analisti ci potrebbe essere un ulteriore incremento con la quinta e ultima asta, attualmente in corso, ma non è possibile conoscere i numeri ufficiali finché non sarà chiusa.”
Pro e contro del biometano
Insomma, la situazione è complessa, con varie barriere da abbattere, oltre ai diversi pro e contro del biometano. Tra i vantaggi, sicuramente quello di essere una risorsa rinnovabile, che non richiede investimenti infrastrutturali sostanziali per il suo sfruttamento (soprattutto nel caso di riconversione di impianti a biogas), ma la semplice immissione nella rete esistente di distribuzione del metano.
Inoltre, c’è un’importante riduzione della CO2 rispetto al metano fossile. “L’attuale capacità installata in Europa di 6,4 miliardi di metri cubi/anno equivale a una diminuzione delle emissioni di 30 milioni di tonnellate all’anno. Va poi considerato che il digestato, derivante dal trattamento anaerobico di scarti e residui organici, può essere riutilizzato come fertilizzante dei campi, in un’ottica di economia circolare.”
D’altra parte, però, ci sono anche svantaggi. Primo fra tutti, un costo di produzione ancora elevato. “In base ai risultati delle nostre analisi, il costo di un metro cubo di biometano, il cosiddetto LCOE, è più del doppio dell’attuale prezzo di mercato del metano di origine fossile. Tra l’altro, le previsioni per il futuro, al netto di tensioni geopolitiche attualmente non prevedibili, dicono che il prezzo di quest’ultimo sarà in ulteriore diminuzione nei prossimi anni.”
Se si vuole evitare che la produzione del biometano diventi un extra costo a carico delle famiglie e delle imprese, bisogna renderla competitiva attraverso un meccanismo di incentivazione, come quello in corso, che però non è sufficiente. “La durata dell’attuale sistema, in particolare il prezzo garantito di vendita del biometano, è pari a 15 anni, mentre la vita utile di un impianto è stimata in 20 o più anni: considerato che gli impianti non sembrano economicamente sostenibili in assenza di incentivi, è forte il rischio che vengano spenti al termine del quindicesimo anno.”
Le tematiche aperte per il futuro
Se si guarda al lungo periodo, ci sono anche altre tematiche in chiaroscuro che potrebbero diventare rilevanti. “Se la produzione effettivamente accelerasse, potrebbe esserci competizione sul reperimento delle materie prime, con conseguente aumento dei costi. Anche perché l’ipotesi di reperirle altrove appare poco percorribile. Oltre alle importanti spese di trasporto, nel caso degli impianti FORSU (quelli alimentati con la frazione organica dei rifiuti solidi urbani), una recente normativa UE ha introdotto il principio di prossimità, per cui in futuro i rifiuti potranno provenire da un’area ristretta, che può essere anche inferiore a quelle di alcune province.”
Altro tema sensibile è quello dello smaltimento del digestato, che, con l’aumento degli impianti per numero e capacità, deve trovare superfici di spandimento sempre più grandi, compatibilmente con il fatto che ci sono dei limiti alla quantità utilizzabile per ettaro, dovuti alla presenza più o meno alta di nitrati. “Poiché i costi legati allo spandimento sono attualmente a carico del produttore, la localizzazione dell’impianto è fondamentale per limitare le spese logistiche e di stoccaggio. Comunque, se anche venissero realizzati tutti gli impianti vincitori delle aste, cosa che non sempre accade, e venissero mantenuti quelli esistenti, la superficie agricola disponibile a livello nazionale per lo spandimento risulterebbe ben superiore a quella necessaria, evidenziando che il potenziale di produzione di biometano in Italia è significativamente più alto rispetto allo scenario attuale. Va però sottolineato il problema legato alla distribuzione asimmetrica degli impianti, molti al Nord e pochi al Centro-Sud, nonostante la superficie agricola utilizzata in diverse regioni meridionali, come Puglia e Sicilia, sia molto elevata.”
Per il biometano serve una visione a lungo termine
In ogni caso, se l’Italia vuole pianificare una forte crescita della capacità installata, si profilano all’orizzonte possibili e numerose situazioni di stress della filiera, con ripercussioni potenziali sulla continuità operativa e sui costi di gestione dell’impianto. “Questo rende urgente una serie di interventi a livello normativo”, conclude Maccarrone. “Innanzitutto bisogna pensare a un allungamento degli incentivi per gli impianti che vengono realizzati adesso. Secondo, urge avere visibilità sul dopo: cosa succederà al termine della quinta gara, quindi verso marzo-aprile 2025? Al momento non si ha notizia di altri incentivi. Come si intende arrivare agli obiettivi stabiliti dal PNIEC? Anche se una politica industriale di lungo termine in Italia non è mai esistita, va ribadito ancora una volta che questo non aiuta.”
Immagine: Envato