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Il libro Merchants of Doubt (Mercanti di dubbi, Edizioni Ambiente 2019), scritto da Naomi Oreskes ed Erik Conway, rimane di grande attualità a 15 anni di distanza dalla sua pubblicazione. Evidenzia il problema persistente del negazionismo climatico, del controllo della scienza da parte delle imprese dell’oil&gas e della diffusione della disinformazione legata all'ascesa di una nuova era di liberismo trumpiano. Nonostante i progressi della scienza climatica e la riduzione delle incertezze, la negazione del cambiamento climatico continua per ragioni politiche, ideologiche e di profitto. Oggi Mercanti di dubbi è ancora una lettura essenziale per comprendere le sfide in corso nell'affrontare il cambiamento climatico, la transizione ecologica dell'economia globale e l'importanza di riconoscere e combattere la disinformazione. Abbiamo incontrato Naomi Oreskes nel suo studio per riflettere su come il libro sia più attuale che mai, con il ritorno di Donald Trump e delle Big Oil alla Casa Bianca e l'assalto al Green Deal dell'Unione Europea.
Sono passati 15 anni dalla pubblicazione di Mercanti di dubbi. Il negazionismo climatico è in aumento, il controllo corporativo della scienza è diffuso più che mai, le narrazioni individualiste del libero mercato stanno inondando i media di massa e i social network, mentre la disinformazione è a livello pandemico. Lei aveva previsto tutto questo.
Molto poco è cambiato dalla prima edizione del libro, che è ancora attuale in un modo che io ed Erik vorremmo non fosse e che francamente non avremmo mai immaginato. Ricordo di aver avuto una conversazione con Erik in cui dicemmo: "Se l'amministrazione Obama agirà davvero sul cambiamento climatico, allora questo libro sarà solo di interesse storico, utile per spiegare il ritardo nell'agire sul cambiamento climatico verificatosi dal 1992, con la firma della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, fino all'era Obama". Ma nemmeno nei nostri peggiori incubi avremmo immaginato di trovarci qui, 15 anni dopo, con una situazione altrettanto grave o addirittura peggiore di quella del 2010.
Mentre alcuni dei negazionisti del clima ampiamente analizzati in questo libro sono morti, come Fred Singer scomparso nel 2020, molte istituzioni rimangono attive più che mai.
Nel libro ci sono quattro personaggi chiave [Fred Singer, Robert Jastrow, William Nierenberg e Frederick Seitz, nda], i mercanti del dubbio, tutti ormai deceduti. Ma le istituzioni in cui lavoravano, le mentalità che rappresentavano, continuano a vivere, e in particolare la Heritage Foundation, la prima fondazione libertaria di destra, architetti primari del Progetto 2025, che ora sta informando la nuova amministrazione Trump e la sua intera agenda di deregolamentazione per ridurre e diminuire il governo federale. Sono molto attivi nel minare la scienza del clima e nell'eliminare la regolamentazione del mercato ambientale, come abbiamo descritto nel nostro ultimo libro, The Big Myth.
Per un po' i media, me compreso, hanno smesso di parlare di negazionismo climatico, concentrandosi sull'inattivismo proposto da alcuni climatologi. Immagino che ora che alla Casa Bianca c’è il negazionista in capo dobbiamo ricrederci.
Un altro argomento su cui mi sento tristemente vendicata. Qualche anno fa, parecchie persone, tra cui molti scienziati del clima, persone che stimo, dicevano: "Nessuno nega più il cambiamento climatico. L’inattivismo è la nuova negazione". Tuttavia, fermare le emissioni di gas serra è una questione urgente, per cui se ritardiamo l'azione di fatto neghiamo la chiara evidenza scientifica dell'urgenza del problema. Inoltre, un paio di anni fa Jeffrey Zubrin, uno dei miei postdoc, mentre seguiva la disinformazione su Internet scoprì che online c'erano ancora enormi quantità di negazionismo climatico, un insieme di contenuti che cresceva di giorno in giorno in chat o canali Telegram. Così, mentre l'industria dei combustibili fossili, uomini con costosi abiti a tre pezzi, dicevano in pubblico "sappiamo che c'è il cambiamento climatico e siamo allineati con l'Accordo di Parigi", in privato facevano il contrario. E le azioni pesano più delle parole.
E ora, sotto l'amministrazione Trump, il negazionismo è di nuovo in bella mostra.
Questo dimostra qualcosa che Erik e io sosteniamo da più di 15 anni: il negazionismo non ha mai riguardato la scienza. Quando abbiamo iniziato a fare questo lavoro, molte persone nella comunità scientifica pensavano erroneamente che si trattasse di un problema con la scienza del clima e che se avessero spiegato la scienza più chiaramente, se avessero comunicato meglio, avrebbero potuto fermare il negazionismo. Credevano che si trattasse essenzialmente di un problema di comunicazione scientifica. Con Mercanti di dubbi abbiamo cercato di spiegare che queste persone non dubitano della scienza perché gli scienziati usano troppe parole ricercate o troppi modelli climatici. Negano la scienza per motivi politici, ideologici e di profitto. Fare più scienza non risolverà il problema. 15 anni dopo, la scienza è inequivocabile. L'IPCC usa ora la parola “inequivocabile” per il cambiamento climatico, cosa che non avrebbe fatto molti anni fa. La maggior parte delle incertezze si è ridotta enormemente. Ciò che era stato previsto è accaduto: il mondo si è riscaldato; gli uragani sono peggiorati; il ghiaccio artico estivo sta scomparendo. E nulla di tutto ciò ha cambiato di un millimetro la posizione dei negazionisti del cambiamento climatico.
Quali differenze nella narrazione vede oggi rispetto a 15 anni fa? È la stessa narrazione del negazionismo?
Nell'ambito dell'industria dei combustibili fossili, oggi tutti affermano di accettare la scienza del clima, di essere allineati a Parigi e di "voler essere parte della soluzione". Ma è una narrazione profondamente fuorviante, perché l'industria dei combustibili fossili continua a sviluppare nuovi giacimenti di petrolio e gas. E se si considerano gli sforzi compiuti per trovare soluzioni, come la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, questi rappresentano una minima parte del loro modello di business complessivo, soluzioni che possono essere redditizie solo grazie a crediti d'imposta e sussidi pubblici. Abbiamo poi assistito a una rinascita della narrativa sulla limitazione della libertà. Una delle cose che l'industria del tabacco ha fatto negli anni Novanta, quando venne dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che l'uso del tabacco uccideva le persone, è stata di spostare la narrazione sulla libertà di fumare. Non importa se il tabacco provochi o meno il cancro: si tratta della tua libertà di scelta. Si tratta del diritto di decidere da soli come vivere la propria vita. Una mossa furbissima: chi non crede nella libertà? Negli ultimi anni abbiamo visto questo argomento essere ripreso dall'industria dei combustibili fossili. Nello stato di New York, quando lo stato ha cercato di approvare un nuovo regolamento edilizio per impedire la presenza di gas nelle nuove case, improvvisamente si è parlato di libertà energetica. E si è bloccato tutto nel nome della libertà di scelta.
Anche in Europa si usa lo stesso argomento per le automobili. I cittadini si sono opposti al regolamento sulle auto, adducendo la libertà di scegliere quale auto guidare, a gas o elettrica.
E la carne! Poiché è stata data maggiore attenzione al ruolo dell'allevamento animale nel guidare il cambiamento climatico, qualcosa di cui non si parlava molto 20 anni fa, ora vediamo l'alt-right e l'industria della carne bovina parlare della “libertà di mangiare hamburger” incondizionatamente. “Questi scienziati del clima vogliono togliervi gli hamburger! Vogliono togliervi la libertà di guidare un'auto!”
È il grande ritorno del libero mercato assoluto.
Durante la prima settimana dell'amministrazione Trump, Elon Musk ha parlato della necessità di sbarazzarsi di tutti i regolamenti possibili. Vuole essere libero di fare quello che vuole e di fare più soldi possibile. A pochi giorni dall'insediamento, l'industria tecnologica, che in precedenza aveva adottato iniziative D&I, net-zero e di moderazione dei contenuti, ha deciso di fare un’inversione a 180 gradi. Questo è un nuovo fronte di negazionismo scientifico. Big Tech vuole la libertà di fare ciò che desidera, mentre ci sono prove scientifiche sempre più evidenti che alcune forme di utilizzo dei social media, dell'IA e della tecnologia stanno causando gravi danni, in particolare ai giovani. Questo è un caso da manuale di come, quando la regolamentazione governativa è appropriata, la grande industria si oppone con forza. Lo stesso vale per la transizione ecologica.
Il libero mercato è l'argomento chiave del suo ultimo libro, The Big Myth, inedito ancora in Italia.
Nel libro ci concentriamo sulla storia dell'antitrust, su come sono stati sviluppati gli statuti antitrust e su come la storia abbia dimostrato che il capitalismo non regolamentato non è nemmeno un bene per il capitalismo stesso. Infatti, se si lasciano i mercati da soli, molto spesso degenerano in monopoli. Lo Sherman Antitrust Act negli Stati Uniti, seguito dal Clayton Antitrust Act e da leggi similari in Europa, ha sostanzialmente dato al governo il diritto di intervenire nei mercati per prevenire monopoli e pratiche monopolistiche e anticoncorrenziali. Quando fu approvato lo Sherman Antitrust Act, John Sherman, il principale autore dello statuto, disse due cose. Primo, l'antitrust protegge la concorrenza in modo che il capitalismo possa operare come dovrebbe. In secondo luogo, la concentrazione di quote di mercato porta a concentrazioni di ricchezza che distorcono la democrazia. Ora la storia si sta ripetendo. Stiamo assistendo a concentrazioni di ricchezze gigantesche da parte di aziende tecnologiche ed energetiche che vogliono sbarazzarsi di qualsiasi limite, come le normative ambientali.
Come possiamo contrastare il negazionismo e l'eccesso di deregolamentazione su larga scala del libero mercato?
Una delle cose che accadono nella storia è che disimpariamo e dimentichiamo le lezioni della Storia. Ci convinciamo che "quello era allora e questo è oggi". In The Big Myth io ed Erik Conway analizziamo come alla fine del Ventesimo secolo si sia arrivati a capire che i mercati dovevano essere regolamentati. La spinta è venuta dall'impatto delle pratiche anticoncorrenziali che hanno portato ai monopoli, che hanno distorto il governo e la democrazia, con enormi costi sociali e ambientali, che hanno portato al lavoro minorile, alla mancanza di diritti dei lavoratori, alla devastazione ambientale. Poi sono arrivate le leggi sul lavoro e sull'ambiente, ma la comunità imprenditoriale non ha mai gradito. Tuttavia, fino a Ronald Reagan e Margaret Thatcher, lo stato è stato in grado di stabilire una regolamentazione. Nel frattempo, però, le grandi imprese hanno speso miliardi per finanziare accademici, la propaganda, la scrittura di libri, newsletter, programmi radiofonici, show televisivi, libri per bambini, per convincerci che non avevamo bisogno di una regolamentazione del mercato e che potevamo semplicemente fidarci del libero mercato per fare la sua magia.
Mentre registriamo questa intervista, intere istituzioni − non solo regolamenti − sono sotto attacco da parte dell'amministrazione Trump: l'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti, la NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration. I dati sul clima sono stati cancellati, i programmi di ricerca cancellati, la valutazione della biodiversità cancellata. Quanto dovremmo essere preoccupati dall'amministrazione Trump?
Dipende se Donald Trump rimarrà presidente per quattro anni o se cambierà la Costituzione candidandosi per un altro mandato. Abbiamo visto come il Partito repubblicano stia capitolando su un'ampia gamma di questioni costituzionali. Si deciderà come il potere giudiziario e quello legislativo potranno contenere i suoi ordini esecutivi, alcuni dei quali sono illegali.
Stiamo anche assistendo a un attacco in piena regola alle istituzioni delle Nazioni Unite. Che ruolo ha il negazionismo scientifico nel minare la legittimità di istituzioni, agenzie e strutture internazionali come l'OMS, l'UNFCCC o l'UNEP?
In Mercanti di dubbi una delle cose di cui parliamo è quanto queste persone odino le Nazioni Unite poiché antitetiche alla loro nozione radicalmente individualista di libertà. Il loro odio per il comunismo e il socialismo è legato al loro impegno per un individualismo radicale. Per questo motivo non sopportano tutto ciò che, a loro avviso, sottrae potere e capacità di azione all'individuo. E più quella cosa è lontana dall'individuo, più la odiano. Quindi, in generale, tendono a non essere troppo ostili verso gli enti locali, regionali o statali. Tendono a odiare il governo federale (o l'Unione Europea) e soprattutto le Nazioni Unite. Odiano la nozione di governance internazionale perché la vedono come un'abdicazione alla libertà e all'agenzia personale. In qualche caso magari hanno anche ragione, ma piuttosto che riformare le Nazioni Unite vogliono cancellarle completamente. Questo è ciò che fa l'iper-individualismo del libero mercato. E fa paura.
In copertina: dettaglio della copertina dell'edizione italiana di Mercanti di dubbi