Questo articolo è disponibile anche in inglese / This article is also available in English
Alla COP28 di Dubai l’espressione “transitioning away” mise per la prima volta d’accordo tutte le delegazioni sulla fine dell’era dei combustibili fossili, formando la cosiddetta Troika, l’alleanza per il clima composta da Emirati Arabi Uniti, Azerbaijan e Brasile. Proposta dal presidente del Brasile Lula, l’alleanza promise di proteggere l’Accordo di Parigi e impegnarsi a limitare il surriscaldamento globale entro gli 1,5°C.
A un anno di distanza però, con l’inizio della COP29 a Baku, i piani di espansione dei progetti oil & gas combinati dai tre paesi ospitanti − in Brasile si terrà COP30 − non coincidono con le promesse fatte. Secondo un report delle organizzazioni Oil Change International e Observatório do Clima, i paesi della Troika di COP29 sono sulla buona strada per aumentare la loro produzione combinata di petrolio e gas del 32% entro 2035.
I progetti approvati da Emirati Arabi Uniti e Brasile nel 2024 rappresentano il 32% di quelli globali e sarebbero capaci di rilasciare in atmosfera potenzialmente 2,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. La scienza è sicura da tempo: trivellare nuove aree per l’estrazione di gas e petrolio significa fallire l’obiettivo degli Accordi di Parigi. E secondo il servizio di monitoraggio ambientale dell’agenzia spaziale europea Copernicus, la soglia del grado e mezzo verrà in ogni caso superata già alla fine del 2024, virtualmente l’anno più caldo mai registrato dal 1940.
Emirati Arabi Uniti, Azerbaijan e Brasile avevano inoltre promesso di adottare piani climatici (NDCs) ambiziosi, ma che al momento non menzionano le esportazioni di combustibili fossili. “L’impronta carbonica combinata dell’alleanza raddoppia se contiamo l’export di petrolio e gas”, ha dichiarato Shady Khalil, Global Policy Strategist di Oil Change International, ricordando l’importanza dei prossimi NDCs attesi per febbraio 2025.
I conflitti d’interesse dei paesi ospitanti le COP
Sia la COP28 di Dubai che la COP29 in Azerbaijan sono simili per un aspetto che agli occhi dell’opinione pubblica potrebbe minare la credibilità delle conferenze stesse: il conflitto d’interesse. Le ultime due conferenze sul clima infatti sono state organizzate da petrostati che basano la propria economia sui combustibili fossili. E mentre lo scorso anno il sultano al-Jaber, CEO della compagnia petrolifera emiratina ADNOC, aveva inaugurato la COP28 negando il nesso tra le fonti fossili e il riscaldamento globale, venerdì 29 ottobre l’amministratore delegato di COP29 Elnur Soltanov è stato sorpreso dagli attivisti di Global Witness a promuovere opportunità di investimenti nella compagnia petrolifera statale azera Socar, di cui fa parte come consigliere.
“Il video di Soltanov mostra il chiaro conflitto di interessi tra l’essere amministratore delegato della COP e un membro del consiglio della compagnia petrolifera nazionale del paese ospitante che ha massicci piani di espansione”, commenta a Materia Rinnovabile Regine Richter dell’organizzazione ambientalista Urgewald. “Dopo le rivelazioni sugli accordi segreti del sultano Al Jaber dello scorso anno, c’è il serio rischio che le conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici diventino invece discorsi sui combustibili fossili.”
L’Azerbaijan a tutto gas
Per il regime del presidente Ilham Aliyev il petrolio e il gas rappresentano circa la metà del PIL del paese e oltre il 90% delle sue esportazioni. Solo nel 2023 Socar ha dedicato oltre 300 milioni di dollari all’esplorazione di nuove riserve. Secondo uno studio condotto da Banking on Climate Chaos Coalition, tra il 2021 e il 2023 Socar ha ricevuto prestiti per oltre 6,8 miliardi di dollari da istituti finanziari come JPMorgan Chase e Citigroup. E le banche giapponesi Mitsubishi UFJ Financial e Mizuho Financial hanno supportato l'espansione fossile azera con centinaia di milioni di dollari.
Un report di Global Witness che si basa su dati forniti da Rystad Energy ha calcolato che Socar e i suoi partner sono pronti ad aumentare la produzione annua di gas dell’Azerbaijan dagli attuali 37 miliardi di metri cubi a 49 miliardi di metri cubi entro il 2033. Tra i partner c’è anche l’Unione Europea che, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Aliyev, punta a importare da Baku almeno 20 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2027.
Il ruolo ambiguo del Brasile
Le contraddizioni tra le promesse climatiche e le politiche energetiche nazionali sono evidenti anche in Brasile, spesso raccontato come potenziale campione climatico del Sud Globale. Nonostante gli annunci di Lula di allineare gli NDCs brasiliani a un percorso di decarbonizzazione in linea con gli Accordi di Parigi, il Brasile punta a diventare il quarto produttore di petrolio al mondo.
Le ultime proiezioni del governo brasiliano prevedono infatti che entro il 2030 la produzione nazionale raggiunga il picco di 5,3 milioni di barili, con una crescita di quasi il 50% rispetto ai livelli attuali. Quasi tutti i nuovi progetti oil & gas approvati nel 2024 portano la firma della compagnia petrolifera statale Petrobras.
In copertina: Sultan Al Jaber, presidente di COP28, e Mukhtar Babayev, presidente di COP29, alla cerimonia di apertura dei negoziati di Baku © COP29