Nel 2015, Saúl Luciano Lliuya, un agricoltore peruviano, ha realizzato che il ghiacciaio Palcaraju, che sovrasta la sua città natale, Huaraz, stava fondendo a un ritmo allarmante, aumentando il rischio di inondazioni catastrofiche e impattando sulle sue terre. La causa? Per Lliuya, il cambiamento climatico causato dalle emissioni delle grandi aziende fossili.
Con l’aiuto dei climatologi, l’agricoltore ha portato in tribunale la compagnia elettrica tedesca RWE, accusandola di essere responsabile, seppur in parte, della crisi che minacciava la sua comunità. Il caso, inizialmente scartato, è stato poi accolto dalla corte d’appello tedesca, e il processo, lungamente atteso, avrà luogo il 17 marzo 2025, stabilendo un precedente storico: le aziende possono essere ritenute responsabili per i danni climatici che contribuiscono a causare.
Si tratta di un caso emblematico, infatti il numero di cause legali contro le aziende responsabili dei cambiamenti climatici sta crescendo a ritmo sostenuto, con implicazioni economiche sempre più rilevanti. Secondo il rapporto di Zero Carbon Analytics, sono già stati intentati 68 processi per danni climatici a livello globale, con il settore dei combustibili fossili come bersaglio principale.
Il 70% di queste cause è stato avviato dopo il 2015, anno di ratifica dell’Accordo di Parigi, segno di come il ricorso ai tribunali stia diventando una strategia chiave della giustizia ambientale.
I dati mostrano che il 63% delle cause per danni climatici è ancora in corso, ma tra quelle concluse il 44% ha avuto esito favorevole per i querelanti. E se le azioni legali contro le compagnie petrolifere sono le più numerose, quelle che hanno ottenuto i risultati più concreti riguardano la deforestazione, con la quasi totalità delle sentenze positive emesse in Indonesia.
"Le cause per la deforestazione si basano su leggi nazionali che rendono illegale bruciare le foreste”, spiega Dario Kenner, Research Analyst presso Zero Carbon Analytics e co-autore del rapporto, intervistato da Materia Rinnovabile. “Quando i tribunali in Brasile e Indonesia hanno stabilito che alcune aziende avevano deliberatamente incendiato foreste per liberare terreno, c'era già un precedente per richiedere risarcimenti. Ma nel caso dei combustibili fossili non esiste ancora una legge che renda illegale emettere anidride carbonica. Una sentenza che stabilisse questa responsabilità cambierebbe radicalmente lo scenario legale."
Kenner spiega che stiamo assistendo a una monetizzazione del danno ambientale nei tribunali: “Questi casi stanno creando una base giuridica solida per future azioni legali, dimostrando che il danno ecologico ha un costo concreto che può essere richiesto sotto forma di risarcimento".
Negli Stati Uniti, invece, le cause contro le aziende fossili stanno guadagnando terreno: "Oggi, è il paese da tenere d’occhio", commenta Kenner. "A gennaio, la Corte Suprema ha respinto il tentativo delle aziende fossili di trasferire la causa della città di Honolulu ai tribunali federali. Questo significa che il processo procederà nei tribunali statali, aumentando le possibilità di successo per oltre 20 cause simili in attesa." Se uno di questi casi venisse vinto, si creerebbe un precedente che potrebbe avere ripercussioni globali.
L’impatto economico della crisi climatica non si limita alle sole conseguenze ambientali: il rischio legale sta diventando un fattore critico per il mondo finanziario. Il rapporto sottolinea che le aziende coinvolte in contenziosi climatici subiscono impatti tangibili sul proprio valore di mercato.
Dopo l’avvio di una causa legale, le grandi compagnie petrolifere hanno registrato in media una perdita dello 0,57% nel valore delle azioni, che sale all’1,5% in caso di sentenza sfavorevole. Per RWE, la battaglia legale con Lliuya ha comportato oscillazioni di valore fino al 6%.
“In passato, le aziende produttrici di combustibili fossili non sarebbero state collegate ai costi di ripresa da eventi meteorologici estremi come gli incendi che hanno recentemente colpito Los Angeles”, spiega Kenner, e per questo gli stessi governi stanno cercando di rafforzare la regolamentazione per scaricare i costi della crisi climatica sulle aziende più inquinanti. "Negli Stati Uniti, stiamo assistendo a un forte impulso per l’adozione delle cosiddette climate superfund laws, che obbligano le aziende fossili a pagare per i danni climatici. Il Vermont ha già introdotto una legge in questa direzione e altri stati come Massachusetts, Maryland, New Jersey e California stanno seguendo l’esempio.”
Anche in Asia si stanno facendo passi avanti. "Se le Filippine approvassero il Climate Accountability Act, le aziende fossili sarebbero obbligate a contribuire a un fondo di riparazione climatica per risarcire le vittime di eventi estremi come uragani e tifoni." Anche questa legge potrebbe avere implicazioni globali, creando un precedente per “la responsabilità transfrontaliera delle aziende fossili."
Come spiega Kenner, il progresso della scienza dell’attribuzione sta cambiando il gioco: "Oggi possiamo dire con grande precisione che una determinata percentuale di un disastro climatico è dovuta alle emissioni di una specifica azienda. Questo significa che le aziende non possono più nascondersi dietro l’argomento della responsabilità diffusa".
Uno sviluppo che ha avuto un impatto significativo nei casi legati alla deforestazione, dove è più facile dimostrare una correlazione diretta tra la distruzione delle foreste e l’aumento delle emissioni. E il successo di queste cause dimostra che i tribunali possono essere uno strumento efficace nella lotta alla crisi climatica.
Se la legge continuerà a consolidarsi in questa direzione, potrebbe nascere un vero e proprio sistema di responsabilità economica per i danni climatici. Per le aziende, ciò significa affrontare un rischio crescente, sia in termini finanziari che reputazionali. Per la società, invece, un’opportunità unica per accelerare la transizione ecologica, facendo leva su un semplice principio: "Chi inquina paga".
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In copertina: foto di Chris Leboutillier, Unsplash