Senza incentivi e politiche adeguate, le aziende che raccolgono e selezionano gli indumenti usati rischiano il collasso. È questo il monito lanciato da EuRIC, l’associazione europea di riciclatori, che riassume il momento di crisi di un settore in grande trasformazione.
“La crescita dei costi, il calo delle vendite e le lacune legislative europee stanno rendendo economicamente impossibile le fasi di cernita dei vestiti”, ha dichiarato Mariska Boer, presidente del dipartimento tessile di EuRIC, in un comunicato pubblicato il 15 aprile. “Senza efficaci modelli di business che incentivino il riciclo, i rifiuti tessili rischiano di finire nell’inceneritore. Così tutti gli sforzi per creare una filiera circolare saranno vani”. I campanelli d’allarme giungono soprattutto da Paesi Bassi, Regno Unito e Germania, ma anche le associazioni italiane non se la passano bene.
Alle parole di Mariska Boer hanno fatto eco quelle di Andrea Fluttero, presidente UNIRAU (l’Associazione di aziende e cooperative che si occupano della raccolta, selezione e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani), che tra le cause della crisi indica l’aumento dei costi energetici e il calo delle vendite dei materiali di seconda mano provocati dalla situazione geopolitica sempre più tesa in diversi mercati di sbocco, tra cui Nord Africa, Est Europa e Medio Oriente.
“La guerra in Ucraina ha portato a fluttuazioni dei prezzi e il modello di fast fashion cinese si sta espandendo rapidamente”, commenta a Materia Rinnovabile Julia Blees, segretaria generale di EuRIC, indicando i fattori della crisi. “Allo stesso tempo, l'Europa dipende dalle materie prime cinesi e le recenti turbolenze in Asia stanno influenzando anche il settore tessile.”
L’industria tessile a un bivio
L’industria tessile europea si trova in un momento di transizione delicato. Per limitare gli impatti ambientali di uno dei settori più inquinanti del pianeta, l’Unione Europea ambisce a ridisegnare il comparto all’insegna della circolarità. A partire dal Regolamento sull’ecodesign che punta a rendere i prodotti più durevoli, facili da riutilizzare, riparare e riciclare, al contrasto al fast fashion, fino all’istituzione di regimi di responsabilità estesa dei produttori (EPR). Insomma, un periodo di cambiamenti che prepara il campo a un’altra importante novità: l’obbligo europeo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili previsto per l’inizio del 2025.
“Il processo legislativo relativo all'istituzione di schemi EPR è ancora in corso e non crediamo che verrà concluso quest'anno”, aggiunge Julia Blees. “Inoltre, dopo l'entrata in vigore, gli stati membri avranno un periodo di transizione di 18-30 mesi per l'attuazione degli schemi EPR nazionali.”
Oltre a sollecitare l’implementazione dell’EPR, così che gli operatori possano ricevere i contributi ambientali per finanziare le proprie attività di raccolta e selezione degli indumenti, l’appello di EuRIC punta lo sguardo anche sui vestiti del futuro, invocando ambiziosi target di riciclabilità e di tessuto riciclato. Una volta inseriti tra i criteri di ecodesign, ora al vaglio dei funzionari di Bruxelles, questi target stimoleranno la domanda di materia riciclata e quindi l’intera industria del riciclo.
È dello stesso avviso Joseph Valletti, presidente di ARIU (Associazione recuperatori indumenti usati), che ha sottolineato come il sistema italiano sia autofinanziato con i ricavi della valorizzazione delle raccolte e come sia complesso avviare le fibre a riciclo, sia per la scarsa qualità del fast fashion che per la mancanza degli ecocontributi.
Africa e Asia, le rotte degli indumenti usati
Secondo gli ultimi dati disponibili, elaborati dall’Agenzia europea dell’ambiente, la quantità di prodotti tessili usati esportati dall’UE è triplicata negli ultimi due decenni, passando da poco più di 550.000 tonnellate nel 2000 a quasi 1,7 milioni di tonnellate nel 2019. Si tratta di una media di 3,8 chilogrammi a persona, ovvero il 25% dei circa 15 chilogrammi di vestiti consumati ogni anno nell’UE.
Ma dove finiscono questi enormi flussi di indumenti? Nel 2019 il 46% dei prodotti tessili usati è stato esportato in Africa, soprattutto orientale, trovando una seconda vita principalmente nel mercato second hand. Al secondo posto c’è l’Asia, che importa il 41% dell’usato totale. Tra i 27 stati membri, Germania, Polonia e Paesi Bassi sono i maggiori esportatori.
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Immagine: Envato