“Bisogna fermare l'Iran prima che sia troppo tardi", aveva scritto il 21 aprile il ministro degli esteri israeliano Israel Katz su X invitando, con toni piuttosto allarmistici, i suoi omologhi europei a imporre sanzioni sull’arsenale bellico di Teheran. Lunedì 22 è arrivata pronta la risposta del Consiglio Affari Esteri europeo che dal Lussemburgo ha raggiunto un accordo per ampliare l'attuale quadro di sanzioni. L’obiettivo è bloccare l'esportazione dall'UE della componentistica utilizzata per la produzione di droni e missili balistici in Iran e in tutto il Medio Oriente.
Per quanto fosse annunciato, il botta e risposta missilistico delle ultime settimane tra Israele e Iran ha ulteriormente esacerbato le tensioni in Medio Oriente, generando preoccupazioni anche all’interno del mercato petrolifero. Un’escalation del conflitto potrebbe avere ripercussioni sul prezzo di una commodity che tra attacchi terroristici, tensioni e tagli alla produzione sta vivendo mesi di profonda insicurezza.
Le preoccupazioni di IEA e FederPetroli
A inizio anno vi avevamo raccontato come gli attacchi dei ribelli Houthi ‒ gruppo armato sciita che controlla buona parte dello Yemen – ai danni delle navi mercantili nel Mar Rosso avessero ridisegnato le rotte del commercio navale mondiale. Oggi passare dal Canale di Suez, da cui prima degli assalti transitava circa il 12% del petrolio globale, continua a essere troppo rischioso, sia per l’equipaggiamento che per la merce. Così numerose compagnie petrolifere scelgono di circumnavigare il Capo di Buona Speranza, nonostante i viaggi più lunghi e i costi di trasporto inizialmente triplicati, ma attualmente ancora contenuti.
Ma con il sorgere delle nuove tensioni tra Israele e Iran, il Mar Rosso non è più l’unico hot spot che potrebbe complicare la rotta verso le raffinerie europee e italiane. “Kuwait, Qatar, Bahrein, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti sono alcuni dei Paesi dove riempiamo i nostri cargo con petrolio grezzo e prodotti raffinati”, spiega a Materia Rinnovabile Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli. “Se l’Iran, come risposta alle sanzioni, dovesse chiudere il passaggio dello stretto di Hormuz nel Golfo Persico potrebbero venire a mancare circa 1,2 milioni di barili al giorno”. FederPetroli parla di un “rischio di default energetico europeo”, rimarcando il fatto che anche una piccola scintilla potrebbe stravolgere in poche ore i mercati petroliferi internazionali con conseguenze sui prezzi dei carburanti e dei prodotti raffinati esteri.
Meno pessimista è lo scenario presentato dall’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) nell’analisi Oil Market report 2024. “I recenti eventi in Medio Oriente non hanno avuto alcun impatto diretto sulle forniture energetiche globali”, ci risponde via mail una portavoce dell’Agenzia. “Le crescenti tensioni geopolitiche e i prolungati tagli alla produzione dell’OPEC+ avevano già fatto impennare i prezzi globali del greggio sopra i 90 dollari al barile, raggiungendo il livello più alto da ottobre 2023.” Nel momento in cui scriviamo, il prezzo del Brent Crude è sotto gli 87 dollari al barile, tuttavia dall’IEA trapela una certa preoccupazione. Il rischio di un’escalation esiste e va monitorato. Considerando oltretutto che dal Medio Oriente transita un terzo del commercio mondiale di petrolio via mare.
L’influenza di OPEC+ e Cina sul prezzo del petrolio
L’Iran fa parte del cartello OPEC+, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio composta da 13 membri, tra cui Iraq e Russia. L’obiettivo deliberato del cartello è perseguire una politica del taglio alla produzione, in modo da far aumentare il prezzo del greggio in circolazione. Nonostante il divieto europeo a importare petrolio iraniano, Teheran gioca un ruolo importante nelle dinamiche di commercio internazionali, sia perché produce greggio e prodotti raffinati di alta qualità, sia per il peso del suo principale cliente: la Cina.
“Lo stretto di Hormutz è la porta per la Cina”, spiega a Materia Rinnovabile Massimo Nicolazzi, consulente di ISPI sulla sicurezza energetica. “Oggi l’Iran ha la notevole capacità di esportazione di 1,5 milioni di barili al giorno. Con l’inclusione della Russia, l’OPEC è ormai diventata in grado di difendere i prezzi tagliando il volume a suo piacimento.”
Secondo il report della IEA, le prospettive per il resto dell’anno dipenderanno non solo dalle decisioni dell’OPEC+ in merito alla sua politica di produzione, ma anche dalla salute dell’economia mondiale, dalle tendenze della domanda di petrolio e dalle traiettorie produttive dei Paesi non OPEC+, come gli Stati Uniti.
L’escalation in Medio Oriente e il prezzo della benzina
Il 13 aprile il Codacons, l'associazione italiana per la tutela dei consumatori, ha realizzato una mappa nazionale sul caro-carburante. In tutto il Paese sono stati registrati prezzi in rialzo con numerosi distributori che vendevano benzina verde sopra i 2,4 euro al litro.
Secondo Michele Marsiglia, l’aumento delle quotazioni del greggio e dei prodotti raffinati che arrivano dal Medio Oriente ‒ regione da cui siamo fortemente dipendenti – ha inciso notevolmente sul caro-benzina. “Esistono diversi tipi di prodotti sul mercato: gasolio, benzina, greggio e prodotti petrolchimici. Dal Medio Oriente importiamo soprattutto greggi vergini di elevata purezza, per questo è necessario risolvere diplomaticamente i conflitti senza ricorre alle sanzioni.”
Per l’Agenzia internazionale dell’energia, invece, i prezzi della benzina sono aumentati a livello globale a causa di una serie di interruzioni (pianificate e non pianificate) di raffinerie e del cambiamento della composizione chimica della benzina in vista della stagione estiva. Mediamente in Italia per ogni litro di benzina acquistato dagli automobilisti oltre il 50% del prezzo pagato alla pompa se ne va in tasse, comunemente chiamate accise.
Immagine: Envato