Jorge Mario Bergoglio veniva dall’Argentina, la cosiddetta “fine del mondo”, come lui stesso dichiarò affacciandosi per la prima volta dalla Loggia di San Pietro. In dodici anni di pontificato, Francesco ha saputo spostare il baricentro morale, politico e pastorale della Chiesa: dal centro alle periferie, dall’Occidente al Sud e all’Est globale, aprendosi a realtà che fino ad allora erano rimaste ai margini, come la Cina comunista e il mondo arabo, e ampliando l’attenzione verso Africa, Asia e America Latina.
Queste regioni, per lungo tempo considerate semplici terre di missione, sono diventate interlocutrici protagoniste nei grandi dibattiti globali su giustizia, ecologia e pace. Francesco non ha solo parlato al Sud globale: ha parlato dal Sud globale. E il suo primo viaggio da pontefice lo ha fatto non casualmente a Lampedusa, l’isola dove approdano − e spesso muoiono nel tentativo − quegli abitanti del Sud globale che scappano dalle proprie terre a causa delle azioni (economiche, coloniali, climatiche, militari, politiche) di quel Nord globale che poi li respinge e non li vuole.
Una chiesa vicina ai suoi fedeli, anche geograficamente
Cresciuto tra le contraddizioni di Buenos Aires, Bergoglio ha vissuto da vicino la povertà, la disuguaglianza e la violenza istituzionale. Nella sua prima esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, ha denunciato l’economia “dell’esclusione e della disuguaglianza”, definendola un’economia che “uccide”. Ha affrontato temi come gli “scarti umani”, l’ecocidio e il debito ecologico.
Nei suoi documenti ha dato voce ai più oppressi, ai migranti e agli esclusi. L’enciclica Laudato Si’ è stata il primo grande testo papale interamente dedicato all’ambiente: un appello alla conversione ecologica, ma anche una dura critica al sistema economico globale, alle imprese e ai paesi ricchi, ritenuti responsabili tanto del riscaldamento climatico quanto della povertà legata allo sfruttamento delle risorse naturali.
Oggi una quota sempre maggiore di cattolici vive fuori dall’emisfero occidentale, sebbene la distribuzione delle risorse umane della Chiesa – in particolare dei sacerdoti – rimanga sbilanciata a favore del Nord globale. In un mondo che conta 1,4 miliardi di fedeli, ma vede la loro presenza diminuire nella vecchia Europa e aumentare in Asia e Africa, il papa argentino ha puntato proprio su questi “nuovi” continenti.
I viaggi del Papa nel Sud globale
Sulle orme della tradizione gesuita, ha viaggiato in tutta l’Asia – dalla Corea del Sud al Giappone, dallo Sri Lanka a Filippine e Mongolia, fino agli ultimi viaggi, condotti ormai in sedia a rotelle, tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. Nei suoi 47 viaggi apostolici in 66 paesi, Francesco ha raggiunto terre fino ad allora dimenticate dalla diplomazia vaticana: Mongolia, Sud Sudan, Iraq, Madagascar.
In Africa, continente che oggi raccoglie il 20% dei cattolici mondiali e in cui il cattolicesimo conosce una crescita dinamica, il papa ha visitato numerosi paesi, tra cui Kenya, Uganda, Sud Sudan e Madagascar. Non sorprende che abbia deciso di aprire il Giubileo straordinario non a Roma, ma nella Repubblica Centrafricana.
Ha lasciato un’impronta profonda anche in America Latina, la sua terra d’origine. Ha sostenuto il processo di pace in Colombia tra governo e FARC, che nel 2016 ha posto fine a oltre cinquant’anni di conflitto armato. Ha denunciato la repressione in Nicaragua, promosso la riconciliazione in Venezuela, incontrato Lula e difeso con forza l’Amazzonia, opponendosi apertamente alle logiche estrattiviste.
Nel suo primo viaggio all’estero da papa, si recò a Rio de Janeiro dove visitò una favela, segno tangibile della volontà di una Chiesa a fianco dei poveri. In quell’occasione criticò l’inazione del clero, invitando a riconquistare i fedeli passati alle Chiese evangeliche o allontanatisi dalla religione, e sollecitò i cattolici a portare la presenza della Chiesa nelle “villas miseria” e nelle favelas, visitandone personalmente una. “Voglio che [la Chiesa] esca per le strade,” disse. “Se non lo fa, diventa una ONG. E la Chiesa non può essere una ONG.”
Papa Francesco in difesa delle popolazioni indigene
Papa Bergoglio non ha esitato a chiedere perdono per i crimini della Chiesa contro i popoli indigeni, sia in Canada sia in Bolivia. Si è confrontato con alcune delle eredità più dolorose della storia cattolica, incluso il suo ruolo nel colonialismo. Durante un discorso in Bolivia nel 2015, chiese perdono per la complicità della Chiesa nella colonizzazione delle Americhe, e in particolare per gli abusi contro le popolazioni indigene.
Nel 2016, in Messico, il suo incontro con le comunità indigene del Chiapas ha assunto grande valore simbolico. Sul volo di ritorno da una delicata visita in Canada – paese scosso dalla presa di coscienza sulle condizioni brutali delle scuole residenziali (gestite in gran parte da ordini religiosi cattolici) – Francesco utilizzò il termine “genocidio” per denunciare i tentativi di cancellare la cultura e le lingue degli indigeni. Otto anni dopo, il Vaticano ha ufficialmente ripudiato la “dottrina della scoperta”, usata in epoca coloniale per giustificare le conquiste europee in America e in Africa.
Cardinali del Sud globale
Non si è limitato ad accendere i riflettori sul Sud globale, ma ha anche costruito una Chiesa che lo rappresentasse. Dei 135 cardinali oggi chiamati a eleggere il prossimo papa, l’80% è stato nominato da lui, e la maggior parte proviene da paesi extraeuropei. Non a caso, è probabile che non sarà l’ultimo papa proveniente dal Sud globale. Ha scelto uomini delle periferie geografiche e sociali: il primo cardinale indigeno latinoamericano (in Bolivia), il primo afroamericano negli Stati Uniti, il primo dalit in India, il primo di origine palestinese, Natalio Shomali Gharib, a Santiago del Cile.
Ha spostato la bussola vaticana verso Est e Sud sul piano geopolitico. Ha promosso un dialogo inedito con la Cina comunista, teso la mano al mondo musulmano visitando Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi e firmando ad Abu Dhabi, nel 2019, il Documento sulla fratellanza umana con l’imam di Al-Azhar. Ha anche ristabilito relazioni con il mondo arabo dopo le tensioni dell’era di Benedetto XVI, registrando primati come il primo papa sulla penisola arabica (ad Abu Dhabi) e la storica visita all’ayatollah sciita Al Sistani in Iraq.
Francesco non è stato un politico, ma ha fatto politica. Ha parlato di “globalizzazione dell’indifferenza”, ha denunciato la guerra mondiale “a pezzi”, ha difeso il diritto dei migranti a una vita dignitosa, ammonito contro populismi e nazionalismi – “costruire muri non è cristiano”, disse attaccando direttamente Donald Trump – e ricordato che “l’incontro con un migrante è un incontro con Cristo”. Tuttavia, come ogni leader che fa politica, non sempre è riuscito nei suoi intenti e molto spesso non è riuscito a superare le contraddizioni della Chiesa stessa.
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In copertina: foto di Dave Malkoff, via Flickr