*da Dubai
Mentre sui social e sui media infiamma la protesta contro la presidenza di COP28 di al Jaber, beccato a dire che “la scienza non sostiene che serve un phase-out delle fonti fossili”, vale la pena tornare sull’Italia e sulle parole di Giorgia Meloni.
La prima ministra ha approfittato della missione per numerosi incontri bilaterali e ben due momenti in plenaria (durante il panel di alto livello sulla sicurezza alimentare e in plenaria), per presentare la posizione del suo Governo davanti al mondo intero sulla strategia di decarbonizzazione tricolore.
La premier ribadisce gli obiettivi diplomatici, affermando come “la COP28 rappresenti un momento chiave nel nostro impegno per contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5°C” e sottolineando come l’Italia in linea con l’Europa voglia “la triplicazione della capacità di generazione di energia rinnovabile nel mondo entro il 2030 e il raddoppio del tasso globale di miglioramento annuale dell'efficienza energetica”. Magari accelerando le autorizzazioni e riformando le Soprintendenze.
Non ha negato il phase-out delle fossili, ribadendo che “è un obiettivo che dobbiamo continuare a centrare, chiaramente lo dobbiamo fare mentre produciamo altre fonti energetiche quindi il tema è sempre lo stesso, gli obiettivi sono chiari e mi paiono condivisi”. Anche se il gas rimane chiave, dato che ENI paga dividendi record allo Stato.
Non ha nemmeno deluso la società civile e i commentatori sulla finanza climatica mettendo 100 milioni di euro per il fondo loss and damage (più di chiunque altro) e confermando 300 milioni di euro per rifinanziare il secondo round di replenishment Green Climate Fund, ribadendo la dotazione di 4,2 miliardi di euro per il Fondo italiano per il clima (su cui bisognerà approfondire bene per vedere come è speso). Annunci importanti che servono a mettere una patina di credibilità internazionale in vista della Presidenza italiana del G7 nel 2024 e cercare una nuova area di consenso al centro in Italia. Ma che vanno letti con la giusta attenzione.
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L’Italia come hub di energia pulita nel Mediterraneo (“stiamo lavorando per diventare un polo strategico per l'energia pulita, sviluppando le infrastrutture e capacità di generazione necessarie”) è in realtà ancora centrata sul gas e sui gasdotti, basta ricordare il grande supporto al progetto EastMed voluto da Edison, che porterà gas da Israele all’Italia, diventato recentemente progetto prioritario per la EU. Oppure le relazioni con l’Egitto (in pieno collasso economico), che chiede di pompare sempre più gas all’ENI per tenere in piedi i consumi di condizionatori nel Paese. Basta vedere la lista dei bilaterali: il Presidente della Repubblica di Turchia Recep Tayyip Erdoğan, il Presidente dello Stato d’Israele Isaac Herzog, il Presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il Presidente della Repubblica araba d’Egitto Abdelfattah al-Sisi. Difficile prevedere che, oltre che di migranti e pace, in Palestina non abbiano parlato di accordi su gas e petrolio (vista la presenza ben visibile di De Scalzi nella delegazione).
Ribadisce la solita teoria di una transizione ecologica fatta rispettando la neutralità tecnologica e “libera dal radicalismo”. Dunque ancora fossili, ma con il supporto dei sistemi di carbon capture e sequestration (CSS), biofuel, nuove tecnologie per decarbonizzare l’estrazione dell’Oil&Gas. Niente efficientamento energetico, rivoluzione dei trasporti, boom delle rinnovabili. Insomma pieno allineamento con Egitto, Israele, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Libia. Non sono mancati gli innumerevoli comunicati stampa dell’alleanza per la decarbonizzazione (delle operazioni) del settore petrolifero, con l’annuncio di ENI di far parte della Oil&Gas Decarbonisation Accelerator, una piattaforma lanciata dalla presidenza di COP28 come strategia di pubbliche relazioni delle grandi multinazionali.
Ha colpito poi l’attenzione dedicata all’atomo, grande cavallo di battaglia del governo Meloni. “Non abbiamo preclusioni su tecnologie nuove, se si può avere un risultato positivo sono disposta a parlarne, ma la grande sfida sarà la fusione nucleare e credo che l'Italia debba avere la capacità di pensare in grande", ha dichiarato la premier Meloni durante un punto stampa a Dubai. Ma che sia una posizione più ideologica che figlia di una reale strategia energetica lo si è visto sempre nei giorni scorsi quando una ventina i Paesi ‒ tra cui Stati Uniti, Francia e Regno Unito ‒ hanno stretto un patto con l’obiettivo di triplicare entro il 2050 la produzione di energia atomica. Firmato anche dall’Italia? Niente affatto.
Il “nucleare pulito”, quello di quarta generazione, è soprattutto un affare di USA, Francia e anche Emirati Arabi Uniti (che in queste prime giornate di negoziato stanno supportando praticamente qualsiasi pledge esca dalle sale dell’Expo di Dubai). “Il nucleare non è stato ucciso dagli ambientalisti, ma dal nucleare stesso”, commenta Stefano Ciafani, riconfermato ieri presidente di Legambiente. “I costi del nucleare rimangono molto più alti delle rinnovabili, anche con le sovvenzioni statali. Il mercato ha già decretato cosa è meglio per l’Italia.”
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Come si concretizzeranno le posizioni del governo Meloni lo vedremo il prossimo anno. L’importante è dare priorità a triplicare la capacità rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica a livello globale, spiega Luca Bergamaschi, del think tank ECCO. “La conferma degli obiettivi europei è un segnale dell’impegno dell’Italia sul clima, che per la Premier si concretizzerà con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) atteso, nella sua versione finale, a giugno 2024.”
“All’Italia serve una transizione pragmatica e non ideologica”, continua Ciafani. “L’illusione della neutralità tecnologica rischia di far diventare l’Italia non competitiva sul panorama internazionale. Nel mondo gli investimenti vanno sulle rinnovabili. Secondo la IEA nel 2023 gli investimenti sulle rinnovabili saranno 1,7US$ per ogni dollaro investito nelle fossili. Questa è un’onda che va cavalcata non osteggiata”.
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